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LEZIONE
MAGISTRALE
DI
SUA SANTITÀ TENZIN GYATSO XIV DALAI LAMA
all’Università
Roma Tre
In
occasione del conferimento della Laurea ad honorem in biologia
Roma, 14 ottobre 2006
INTRODUZIONE
E'
stata conferita oggi dal Rettore dell'Università Roma Tre,
Prof. Guido Fabiani la Laurea Honoris Causa in Biologia a Sua Santità
Tenzin Gyatso XIV Dalai Lama, massimo esponente del buddismo tibetano
e capo del governo in esilio del Tibet. Promossa dalla facoltà
di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell'Ateneo, la laurea ha
come motivazione "l'aver promosso e sostenuto l'istituto Mind
and Life, e l'aver promosso in generale il dialogo tra scienza e
spiritualità".
E’
la prima volta che il Dalai Lama riceve l’alto riconoscimento
in una disciplina scientifica. “All’origine del
conferimento della Laurea Honoris Causa in Biologia - ha sottolineato
il Rettore Fabiani - c’è l’interesse che Lei ha
dimostrato per la Scienza e le sue applicazioni e, in particolare, il
riconoscimento per l’impegno che l’ha distinta a livello
internazionale nel contribuire a tenere vivo il dialogo tra Scienza e
Spiritualità, tra Scienza e Religione, grazie al Suo essere
massima guida religiosa del Buddismo”.
Fin
dalla gioventù il Dalai Lama, infatti, ha manifestato un
grande interesse per le scienze e le sue connessioni con lo spirito e
ha costantemente dedicato l’autorevolezza del suo ruolo alla
promozione del più ampio dibattito culturale, soprattutto
attraverso l’istituzione di centri per la formazione e la
ricerca scientifica. A lui si deve nel 1987 la nascita del Mind and
Life Institute
con
cui
ha
promosso e sviluppato il dialogo fra la scienza cognitiva occidentale
- in particolare la biologia e le neuroscienze - e la spiritualità
orientale, non limitandosi al Buddismo tibetano, ma estendendo il
dibattito anche ad altre scuole di pensiero.
“I
numerosi spunti di riflessione che offre il Buddismo nello studio
della mente umana, attraverso la meditazione
- ha proseguito il Rettore Fabiani - favoriscono sicuramente
l’esplorazione più approfondita del rapporto tra mente e
corpo umano. Il Buddismo può aiutare anche gli scienziati di
formazione occidentale a comprendere e sviluppare nuove prospettive
di ricerca”.
La
maggior parte delle attività del Mind
and Life Institute,
che si svolgono a Dharamsala in India, hanno coinvolto nel corso
degli anni molti scienziati di chiara fama tra cui: Arthur Zajonc,
Anne Harrington, Paul Eckman, Daniel Goleman, Anton Zeilinger, Steve
Chu.
In
particolare gli studi incentrati sull’unità
mente-cervello hanno condotto a risultati di rilevanza scientifica
internazionale.
"La
tradizione antica che collabora con la scienza moderna: ecco la mia
visione dell'insegnamento e della ricerca". È un Dalai
Lama sorridente, ma anche disorientato e forse infastidito da un
eccessivo clamore, quello che si è presenta all'Università
di Roma Tre per ricevere la Laurea Honoris Causa in Biologia. Gremita
l'Aula Magna. Oltre mille giovani partecipano alla cerimonia (tra
loro, ma in minoranza, anche monaci tibetani e fedeli buddisti), e
centinaia di studenti, docenti e ricercatori rimasti fuori si devono
accontentare dei maxischermi allestiti in alcune aule della facoltà
di Lettere.
Accolto
con grida e tifo da stadio e decine di fotografi e operatori che non
gli lasciavano nemmeno lo spazio per raggiungere la propria
postazione da "candidato", Tenzin Gyatzo, il
quattordicesimo Dalai Lama, ha voluto dedicare gran parte della
propria lezione magistrale agli studenti e ai giovani, ascoltando a
lungo le loro domande. Il sorriso e l'ironia sono quelli di sempre,
così come la risata contagiosa. L'ottimismo di fondo, dichiara
lui, è intatto.
Si
trattava, in effetti, di un'occasione unica nel suo genere: era la
prima volta che il Dalai Lama riceveva l'alto riconoscimento in una
disciplina scientifica. "All'origine del conferimento della
laurea honoris causa in Biologia - ha spiegato il rettore
dell'ateneo, Guido Fabiani - c'è l'interesse che lei ha
dimostrato per la scienza e le sue applicazioni e, in particolare, il
riconoscimento per l'impegno che l'ha distinta a livello
internazionale nel contribuire a tenere vivo il dialogo tra scienza e
spiritualità, tra scienza e religione. Se quest'uomo non fosse
diventato monaco - ha spiegato il rettore - sarebbe diventato un
ottimo ingegnere".
Gli
invitati e gli studenti hanno accolto con un lungo applauso la
dichiarazione in latino del conferimento del riconoscimento.
Un
incontro molto importante e svoltosi in un clima piacevole. Cosi il
Dalai Lama Tenzin Gyatso, in visita a Roma, ha definito l'udienza
avuta ieri con Papa Benedetto XVI in Vaticano. ''Quello con il nuovo
Papa e' stato un colloquio piacevole e molto importante - ha detto il
leader tibetano al quale è stata conferita la Laurea Honoris
Causa in Biologia dall'Università Roma Tre - Sono soddisfatto
dell'incontro durante il quale abbiamo parlato dell'armonia religiosa
e dell'impegno per il dialogo tra le religioni.
LEZIONE MAGISTRALE DI SUA SANTITÀ IL DALAI
LAMA
Sono molto
onorato di ricevere questa laurea ad honorem in biologia. Certo,
tutti sanno che non sono un biologo e che anzi le mie conoscenze in
questo campo sono molto limitate. Ma sono convinto che la biologia
sia molto importante. Vedete, io spesso spiego che ci sono delle
buone qualità negli esseri umani, quali l’affetto, la
compassione, per le quali di fatto credo che il fattore biologico sia
il fattore chiave, fin dal momento in cui veniamo al mondo. Credo che
l'origine della filosofia sia nella mente, ma, grazie alla biologia
ed al fattore biologico, sviluppiamo immediatamente il sentimento
della vicinanza verso la mamma. Dipendiamo completamente da nostra
madre. Fin tanto che ci porta in grembo ci sentiamo felici e sicuri.
ma non appena viene separato dalla madre, il figlio piange.
Ecco, questi
sono fattori biologici, perché noi abbiamo bisogno di taluni
tipi di emozioni che ci uniscano. Volevo fare una domanda agli
scienziati, anzi la faccio adesso, sulle tartarughe o sulle farfalle.
Generalmente la loro madre depone le uova e poi le lascia, va via ed
i piccoli devono vedersela da soli. Per natura, la madre non ha alcun
senso di responsabilità, non si prende in alcun modo cura dei
suoi piccoli.
Ecco quindi
che i piccoli delle tartarughe o delle farfalle e le rispettive
madri, se messi gli uni insieme alle altre, non credo che siano in
grado di dimostrare affetto reciproco.
Non lo credo.
Invece, in queste specie, nel caso dei mammiferi e degli uccelli, la
sopravvivenza dei piccoli dipende completamente dalle cure di altri.
Prendersi
cura dei propri piccoli diventa proprio un fattore biologico. Quindi
proprio per questo fattore biologico io credo che si vadano
sviluppando talune sensazioni emotive positive. E così io
spesso mi avvalgo di questo fattore per capire meglio l’importanza
della compassione. Mi avvalgo spesso di questo fattore biologico e
quindi forse per questo motivo mi merito questa laurea ad honorem…
Non saprei, non saprei… (applausi)
Comunque
sono estremamente felice del fatto che tutti gli oratori abbiano
sottolineato il fatto che questo lavoro non appartiene solo a me, ma
è stato svolto da un gruppo di persone di cui fanno parte
alcuni scienziati, alcuni buddisti compreso me, naturalmente. A
questo studio abbiamo dedicato gli ultimi 20 anni.
Gli obiettivi
del nostro lavoro sono due. Il primo è semplicemente quello di
ampliare la conoscenza umana in diversi campi. La scienza moderna
sembra essere fino a oggi in grado di studiare le cose che si possono
calcolare e misurare. La mente e la coscienza non possono essere
misurate, ma queste appartengono ad un campo molto diverso.
Ma
la mente e la coscienza non si possono misurare. E’ un campo
molto diverso, dunque. Nel frattempo, le emozioni sono sempre con
noi. Anche gli scienziati fanno esperienze emotive. Quindi, per
espandere la conoscenza umana in tutti i campi, ho capito che c'era
bisogno di una cooperazione tra la scienza moderna e quello che io
chiamerei l'antico pensiero indiano, non solo il buddismo, ma anche
l'induismo.
Queste
filosofie spesso spiegano la mente e le emozioni e sia l'induismo sia
il buddismo hanno, a mio modo di vedere, delle cose in comune, come
la pratica dello yoga e la meditazione, che oggi sono diffuse. Ho
pensato che queste filosofie sarebbero state utili e che una maggiore
interazione avrebbe fatto nascere nuove idee, nuove prospettive.
Questo era il primo obiettivo, che rimane ad un livello accademico.
Ma poi c’è
un’altra cosa. Nonostante la scienza e la tecnologia siano così
progredite, penso che la società umana abbia ancora molti
problemi, molti problemi emotivi. Per risolvere questi problemi non
ci possiamo affidare ai farmaci o esclusivamente a degli strumenti
esterni. Credo che la risposta non sia completa. Molti problemi
emotivi non nascono necessariamente da elementi fisici, ma piuttosto
nascono nella nostra mente. È l’uomo stesso che ha
creato taluni tipi di emozioni. E la soluzione va cercata all'interno
di quella stessa sensazione. A volte creiamo delle emozioni
particolari.
Per questo l'antica tradizione
indiana di conoscenza della mente e delle emozioni può essere
utile nel trovare un qualche rimedio ai problemi emotivi.
Poi però se prendiamo
questo metodo, le antiche tradizioni religiose, e ne prendiamo solo
una citazione, facciamo affidamento su una sola citazione, non è
sufficiente.
Dobbiamo esaminare,
sperimentare e indagare con metodo scientifico. Io di solito
definisco questo metodo come etica laica, che non si basa su un credo
religioso o su insegnamenti che si trovano nei libri o vengono
impartiti dagli insegnanti, ma piuttosto è una conoscenza che
viene dall'indagine, dalla sperimentazione che riguarda gli
scienziati.
Allora credo che possa essere
più utile per la collettività.
E questo quindi il secondo
motivo, per trovare un rimedio per i nostri problemi emotivi
attraverso queste tradizioni antiche – con la cooperazione
della scienza moderna. Questo è il secondo motivo.
Questa
laurea ad honorem credo sia dunque una specie di riconoscimento per
il nostro lavoro e in particolar modo questa laurea ad honorem che
giunge da un’università che, per quanto mi è dato
di capire, non è antica ma che tuttavia per la sua sede, Roma,
è il luogo in cui per migliaia di anni il pensiero filosofico
era molto avanzato. Possiamo dunque vedere queste mura antiche,
questi edifici antichi, che ci ricordano che questo posto è
molto antico e ha un patrimonio culturale molto ricco. Beh, penso che
questo vi sia stato già insegnato. Quindi mi sento davvero
molto onorato nel ricevere questa laurea ad honorem da parte di
un’università di Roma. Lo apprezzo molto. Lo apprezzo
davvero moltissimo. E poi… E poi non so cos’altro dire!
(risate e applausi).
Potrei
aggiungere una cosa, nei sistemi di istruzione moderni (e questo non
lo penso solo io, ma anche molti amici hanno la stessa opinione
sull'educazione moderna, la cosiddetta educazione occidentale), c'è
una attenzione quasi esclusiva al cervello e alla conoscenza, ma non
si presta abbastanza attenzione all'etica. Quindi vorrei approfittare
di questo occasione per chiedervi la cortesia di pensare più a
come coltivare “il cuore”, non la preghiera, non
necessariamente la meditazione, ma ragionare sulla base delle
scoperte scientifiche.
Un cuore più
compassionevole e funzioni cerebrali più efficaci: con questi
elementi si può vedere la realtà con più
chiarezza. Se la nostra mente è troppo agitata, allora non
riusciamo a vedere la realtà nel modo giusto. Quindi una mente
calma è essenziale per conoscere la realtà. Di solito
la chiamiamo oggettività. E’ molto importante.
Per
conoscere la realtà, la ricerca obiettiva e imparziale è
estremamente essenziale. Questa è una cosa. La seconda è
la mente più compassionevole. oggi gli scienziati hanno
iniziato a scoprire nuove cose sulla nostra mente: una mente più
calma - e credo che questo sia molto importante - aiuta a mantenere
il nostro sistema immunitario. Emozioni distruttive come la paura,
l’odio, la rabbia, di fatto indeboliscono il nostro sistema
immunitario. Quindi anche dal punto di vista della salute la
compassione è un elemento molto rilevante. Quindi la
compassione non deve essere considerata materia religiosa ma
semplicemente come un elemento importante per la felicità
della nostra vita. Ecco… (applausi) Ecco, volevo dirvi questo,
che di solito chiamo “etica laica”. Laico non significa
rifiuto della religione o della fede. Secolare, secondo gli indiani,
significa rispettare tutte le religioni e anche rispettare chi non
crede. Ma laico secondo il pensiero indiano significa rispetto di
tutte le religioni e anche rispetto di coloro che non credono. Tutti
devono essere trattati come fratelli e sorelle. Grazie! (applausi).
http://www.rainews24.it/ran24/rubriche/incontri/interviste/dalailama_lectio_magistralis.asp
SUA
SANTITÀ IL DALAI LAMA RISPONDE ALLE DOMANDE DEGLI
STUDENTI
Tanti ragazzi
all'incontro con il Dalai Lama. "Dovete trovare le
risposte secondo la vostra tradizione. Non tutti i problemi possono
essere risolti con la tradizione tibetana". E' la frase con cui
il Dalai Lama, ospite dell'Università Roma Tre per ricevere
una laurea ad honorem in biologia, ha risposto a una domanda sulla
possibilità per i giovani di trovare risposte nella tradizione
tibetana e buddista. "Non aspettatevi troppo - ha poi aggiunto -
se i problemi sono vostri, dovete risolverli da soli".
Tra le domande degli studenti,
molte proprio sull'interesse che il Dalai Lama ha dimostrato nel
dialogo tra spiritualità orientale e scienza occidentale: "Se
- ha ribadito Sua Santità - nello studiare qualcosa troviamo
che c'è ragione o prova di esso, dobbiamo accettare la
validità, anche se è in contraddizione con le
spiegazioni naturali delle scritture. La didattica moderna -
continua, rivolgendosi agli studenti delle facoltà
scientifiche - si concentra molto sulla conoscenza, sul cervello, ma
trascura l'aspetto etico-morale. Per questo mi sento di lanciare un
appello: pensiamo di più, insieme alla parte scientifica, a
promuovere l'etica e il cuore. Solo attraverso questa via si può
vedere più chiaramente la realtà. Per questo - aggiunge
- serve una mente più compassionevole, più calma e con
più empatia, elementi fondamentali per una vita felice".
Temi di stretta attualità, che suscitano spesso lunghi
applausi, come quando ad esempio si parla dell'etica laica: "Dobbiamo
rispettare tutte le religioni e dobbiamo rispettare anche coloro che
non credono. Tra religione e materialismo dovremmo sempre scegliere
una terza via: una vita etica, morale, di consapevolezza. E proprio
voi giovani potete contribuire a questo".
Amerigo, studente di Ecologia,
chiede al Dalai Lama: "Siamo indotti a pensare che con la morte
tutto sarà finito. È vero questo? Ha il buddismo un
antidoto a questa nostra convinzione? E questa esperienza è
accessibile a noi giovani occidentali?". La prima risposta, su
due piedi, è: "Non lo so". Scherza il Dalai Lama: la
domanda, in effetti, era posta in modo molto complesso, mentre lui ha
sempre cercato di utilizzare concetti e parole semplici. Poi si torna
sui toni seri e inizia una piccola lezione sull'identità del
sé: "Il concetto buddista è che corpo e anima sono
collegati. Il corpo cambia durante la vita, ma tra l'io, il corpo e
la mente c'è un collegamento molto stretto. La morte -
aggiunge - fa parte della nostra vita. Così come tutte le
tradizioni che contemplano la vita dopo la vita, il buddismo pensa
che ci sia una rinascita. La morte è soltanto un cambiamento
del corpo, ma non del sé". E a chi gli domandava quale
fosse la strada per raggiungere la felicità e la pace
interiore, la risposta è quella più semplice: "La
fede in Dio, chiunque esso sia. La religione allevia la sofferenza e
dà speranza".
"Il buddismo - chiede Elena,
studentessa di Cinema - ci insegna che tutti i problemi provengono
dalla mente. Nonostante questo, siamo circondati da situazioni
esterne come la guerra, la povertà e le discriminazioni
sociali, che causano sofferenza. Come possiamo conciliare queste due
idee?". "È vero - risponde il Dalai Lama - tutta la
sofferenza proviene dalla mente. Pensiamo ad esempio al terrorismo:
questo proviene dall'odio, e il problema si trova nella nostra mente.
L'inquinamento, ancora, proviene dal riscaldamento dell'atmosfera,
che proviene dall'avidità, anch'essa nella nostra mente. Alla
base di tutto questo - continua - vi è l'ignoranza:
sviluppiamo il cervello! L'ignoranza si ridurrà e queste
sofferenze non si verificheranno più. E poi aggiungo: per odio
e avidità l'antidoto è la tolleranza. Cerchiamo di
essere più compassionevoli, contribuiremo a ridurre i
problemi".
"Giovani, non aspettatevi
troppo", risponde poi sorridente a Viola, studentessa di
lettere, che gli ha posto una domanda sulla possibilità dei
giovani occidentali di comprendere profondamente il sé, così
come i tibetani: "Non tutti i problemi del male possono essere
risolti con la tradizione tibetana. Per questo - continua - ai
giovani italiani dico: dovete trovare la risposta ai vostri problemi
secondo la vostra tradizione. Cercare altrove non serve". E poi,
scherzando: "Se i problemi sono vostri, ve li dovete risolvere
da soli".
Il momento più commovente
della cerimonia è sicuramente l'ultima domanda, quella posta
da Diki, una studentessa tibetana che da sei anni vive in Italia.
Dopo essersi laureata all'università di Trento con una tesi
sui tibetani in esilio, si sta specializzando a Roma sui diritti
delle minoranze. Commossa e con la voce che trema, chiede: "La
politica del Dalai Lama è quella della non violenza. Pensando
al Tibet e alla Cina, che cosa può fare il Dalai Lama per
aiutare un popolo oppresso che sta soffrendo?". Scrosciano gli
applausi, tanti in sala espongono bandiere e striscioni inneggianti
al Tibet libero dall'oppressione cinese che dura da più di 47
anni e a causa della quale hanno perso la vita oltre un milione di
tibetani. Il Dalai Lama, capo del governo tibetano in esilio e premio
nobel per la Pace nel 1989, risponde con molta franchezza: "Apprezzo
molto la preoccupazione per il destino dei tibetani. La nostra lotta
è basata su una rigorosa non violenza e sul pensiero
compassionevole, per questo tendiamo a minimizzare i sentimenti
negativi nei confronti dei cinesi. Un mio vecchio amico che ha
trascorso 18 anni nei gulag cinesi è venuto da me e mi ha
detto di aver visto poche occasioni di pericolo. Tra queste, gli ho
chiesto, quali? E lui: 'Il rischio di perdere la compassione verso i
cinesi. Vedete - aggiunge - il fondamento del nostro pensiero è
di considerarli fratelli, anche se continuano a fare male al nostro
popolo, questo è il puro significato della non violenza. Noi i
problemi con la Cina vogliamo risolverli, ma per fare questo la Cina
ci deve dare autonomia, dobbiamo poter preservare la nostra cultura e
la nostra lingua. Se la Cina - conclude - vuole essere una
superpotenza rispettata a livello mondiale, basta con le
mistificazioni della realtà, gli attacchi alla libertà
personale e alla libertà di stampa: la Cina dev'essere
ragionevole. E non riusciamo a capire perché, a queste nostre
domande, la Cina non risponde in maniera favorevole".
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