S.S. Dalai Lama: Insegnamenti Kalachakra Graz 2B

Iniziazione al Kalachakra per la Pace nel Mondo Graz 2002

Insegnamenti di Sua Santità il 14° Dalai Lama su: Gli stadi intermedi della Meditazione di Acharya Kamalashila, Le trentasette pratiche del Bodhisattva di Ngulchu Thogme Zangpo, La lampada sul sentiero verso l’illuminazione di Lama Atisha Dipamkarashrijnana.

Appunti, traduzione ed editing del Dott. Luciano Villa e di Graziella Romania nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.

Prima parte del secondo giorno, 16 Ottobre 2002

Sua Santità il Dalai Lama

LA FEDE SOSTENUTA DALLA SAGGEZZA

Nel caso d’una persona dall’intelligenza acuta, quest’ultima inizierebbe, in primo luogo, da sé stessa ad analizzare gli insegnamenti, evidenziandone i difetti, i vantaggi, gli svantaggi, i relativi benefici provvisori ed ultimi, le finalità di tale pratica e così via. Ed avendo compreso del tutto gli insegnamenti, potrà sviluppare una forte fede. Cosicché, questa convinzione rappresenta l’autentico processo di sviluppo della fede per un praticante buddista. Di conseguenza, si afferma che lo sviluppo della fede deve essere sorretto dalla maturazione della saggezza. <!– @page { margin: 2cm } P { margin-bottom: 0.21cm } –>

I “QUATTROCENTO VERSI” DI ARYADEVA

Lo stesso argomento viene spiegato nei “Quattrocento versi” di Aryadeva, in cui si ribadisce che, in primo luogo, dovrebbero essere interrotte le pratiche non meritorie e, secondariamente, si dovrebbe abbandonare l’atteggiamento dell’auto-attaccamento al sé, ed infine dovreste far cessare tutti i tipi di visioni errate. Qui Aryadeva spiega ora come, punto per punto, dovremmo gradatamente impegnarci nella pratica. All’inizio dovreste arrestare tutte le azioni non-meritorie che vi proiettano in una condizione di vita negativa ed allora, secondariamente, dovreste lasciare da parte l’auto-attaccamento. E’ proprio l’afferrarsi al sé la causa radice della nostra nascita nel samsara, nel ciclo dell’esistenza, e questo auto-attaccamento è inoltre la radice delle emozioni affliggenti. In tal modo, nella seconda fase della pratica, dovreste provare ad eliminare quindi la predisposizione all’auto-attaccamento con i relativi semi. In questo modo dovreste realizzare la liberazione, che consiste semplicemente nell’assenza degli oscuramenti alla liberazione stessa, ed in quel momento dovreste, infine, annientare anche tutte le visioni errate.

RIMUOVERE ANCHE LE IMPRONTE

Il che significa che non è sufficiente rimuovere solamente l’auto-afferrarsi al sé ed i relativi semi, dovreste anche eliminare le impronte lasciate alle spalle da tale attitudine, perché sono queste impronte a fungere da ostruzioni alla realizzazione dell’onniscienza, dell’illuminazione. Per eliminare tali impronte, si deve meditare completamente sulla mancanza del sé, avvalendosi incessantemente dell’analisi, del ragionamento e della logica. Occorrerebbe anche sostenere tale genere d’analisi attraverso l’incessante pratica dell’accumulazione dei meriti. Aryadeva, date le circostanze, riassume l’argomentazione dicendo: “Chi s’impegna in un genere tanto sistematico di pratiche è una persona saggia.”

PERCHÉ OCCORRE PRENDERE RIFUGIO?

Questi contenuti corrispondono esattamente a quanto spiegato a proposito dei tre individui o tre stadi del sentiero, rispetto ai tre soggetti, come chiarito da Atisha nella sua “Lampada sul sentiero. Nel testo, Atisha parla inoltre della necessità di prendere rifugio, e così via. Perché occorre prendere rifugio? Quando vi impegnate nella pratica degli stadi del sentiero, mi riferisco al percorso relativo all’individuo dalle limitate capacità mentali, vi dedicate da un lato alla pratica di evitare gli atti negativi e, dall’altro, all’accumulazione delle azioni positive. Oltre a ciò, si dovrebbe anche nutrire una autentica fiducia nell’insegnamento del Buddha. Esattamente in questo contesto e per questo motivo vi è stato chiesto di sviluppare una forte fede nell’insegnamento del Buddha: verso il Buddha, il Sangha, il Dharma ed anche nei riguardi dell’infallibilità del rapporto di causa-effetto. Ed allora dovreste sviluppare la pratica congiunta della mente della calma dimorante e della comprensione speciale. In questo modo potrete maturare una forte forza opponente positiva, che eliminerà l’auto-attaccamento con la relativa causa radice, i semi e le impronte. E’ proprio questo il processo della pratica spiegata nelle tre fasi del sentiero relativo ai tre individui dalle differenti capacità mentali.

LA PREZIOSITÀ DELLA RINASCITA UMANA

Nelle “Trentasette pratiche del Bodhisattva, il testo inizia parlando della necessità di riflettere sulla preziosità della vita umana, di quanto è difficile da ottenersi. Similarmente, sottolinea l’esigenza di riflettere sull’impermanenza, sulla morte, per entrare quindi nel merito del processo di presa del rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha. In questa guisa, tutti questi punti sono dettagliatamente spiegati nelle “Trentasette pratiche del Bodhisattva. Occorrerebbe molto tempo per chiarire nei minimi particolari ciascuno di questi argomenti, ma soprattutto, il punto principale di questi insegnamenti riguarda la constatazione della preziosità di questa vita umana in cui ci troviamo. Dobbiamo renderci conto che è estremamente importante realizzare lo scopo di ottenere questa vita umana tanto preziosa. Tuttavia, per realizzare questo traguardo, dobbiamo conoscerne il percorso, grazie al quale possiamo giungere ad esaudire l’aspirazione d’ottenere una nuova vita umana: da qui emerge la necessità di conoscere il significato della vita umana.

DISTRAZIONE MENTALE

Il modo migliore per conseguire la comprensione del significato del valore della vita umana è con l’ascolto, la riflessione e la meditazione sugli insegnamenti del Buddha. Che cosa disturba e che cosa impedisce la pratica dell’ascolto, della riflessione e della meditazione? La risposta la ritroviamo nella distrazione mentale, nell’eccitamento mentale. Perciò il testo illustra, inoltre, la necessità di intraprendere le pratiche in un luogo isolato, senza distrazioni, sia di tipo fisico che mentale.

L’IMPORTANZA D’UN MAESTRO COMPLETAMENTE QUALIFICATO

L’autore ci fornisce, inoltre, dettagliate spiegazioni sulla necessità di contare su un maestro spirituale completamente qualificato. Fare assegnamento su un maestro pienamente valido è estremamente importante per un praticante sincero. Proprio per questo motivo, il Buddha stesso ha insegnato estesamente queste caratteristiche, è entrato nel merito delle qualità specifiche o delle capacità che devono essere possedute da chi desideri essere un maestro spirituale. Inoltre, espone le qualificazioni necessarie che devono essere conseguite da un maestro di disciplina monastica, le capacità che devono essere realizzate da un maestro tantrico che desideri diventare un vero lama e conferire iniziazioni. Tutti questi punti sono stati spiegati molto dettagliatamente dal Buddha stesso.

Per quelli di voi che stanno cercando un buon lama e che desiderano contare sul suo consiglio spirituale, è estremamente importante esaminare in primo luogo le qualità che deve dimostrare un tanto elevato maestro spirituale. Non è per niente conforme ai principi morali rincorrere chiunque abbia il titolo di lama, senza aver effettuato alcuna analisi ed indagine. All’inizio, quando non siete tanto sicuri se un lama è o meno affidabile, potete limitarvi, in questo caso, ad ascoltare semplicemente i suoi discorsi e ad assistere ai suoi insegnamenti. Lo si può considerare pure come un amico spirituale, chiedendogli consigli ed istruzioni. Tuttavia, non esiste necessità alcuna di dover ritenere questa persona come il vostro lama radice spirituale. Non è infatti conforme ai principi morali reputare un individuo come il vostro lama spirituale e trovarvi più tardi a dover affrontare con lui delle contrarietà. Di conseguenza, all’inizio è estremamente importante analizzare ed esaminare l’affidabilità di quel lama. Se quella persona si rivela effettivamente come un lama attendibile e completamente qualificato, da qualsiasi lato lo esaminiate, lo dovreste sempre trovare corretto, fidato e compassionevole, dimostrandosi puro, sia esternamente sia internamente. Solo dopo aver verificato in un lama queste qualità, allora potrete considerare quella persona come il vostro lama, ed allora potrete iniziare a ricevere determinati voti e precetti, prendendo determinate iniziazioni e così via.

IL VERO DHARMA

Proprio per questa ragione all’inizio di questo testo si spiega, inoltre, la necessità di prendere rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha. Di questi tre, l’obiettivo principale del rifugio o protettore principale è il Dharmaratna. Il termine sanscrito ratna si riferisce a “mantenere l’identità” e, nel caso della locuzione dharma, s’intendono tutti i fenomeni, perché ogni fenomeno detiene le proprie caratteristiche attinenti ed identità specifiche. Ma, in questo contesto, non stiamo discorrendo di Dharma con quel significato. Qui stiamo parlando del Dharma nel senso di una pratica che vi sostiene, vi protegge, evitandovi di cadere nelle condizioni negative dell’esistenza. In altre parole, intraprendendo una pratica spirituale così elevata, questa vi tutelerebbe dal precipitare in una condizione negativa dell’esistenza all’interno dei tre reami. E quindi il vero Dharma rappresenta qui la vera cessazione e l’effettivo percorso delle Quattro Nobili Verità.

LA VERA CESSAZIONE

Quando ora parliamo della vera cessazione, intendiamo riferirci ad una qualità capace d’arrestare determinati difetti negativi, che sono stati eliminati sviluppando le forze opponenti positive. Di conseguenza, non ci riferiamo all’assenza di un qualcosa che sia stato presente fin dall’inizio, perché il sorgere e lo svanire rappresentano una tendenza naturale di tutti i fenomeni impermanenti. Qui stiamo piuttosto riferendoci alla vera cessazione, che si realizza, si coltiva e si concretizza con lo sforzo di un praticante. Intendo dire che non sarete in grado di realizzare la cessazione se non coltiverete determinati forze opponenti positive. Se non sviluppate questi qualità positive, i difetti negativi continueranno a rimanere all’interno della vostra mente. È grazie allo sviluppo di tali forze opponenti positive che potrete quindi essere in grado di rimuovere quei difetti. Proprio per questa ragione questa condizione di rimozione, d’eliminazione delle emozioni affliggenti è denominata vera cessazione e, quando realizzerete una siffatta condizione di compimento, allora avrete raggiunto un requisito, da cui non potrete far ritorno alle condizioni negative dell’esistenza. Che cosa induce questa condizione di cessazione? Realizziamo questa prerogativa che tronca i difetti negativi attraverso il vero sentiero. Anche se esistono differenti tipi di percorsi, quando qui parliamo del vero sentiero, ci riferiamo soprattutto al percorso, o alla saggezza che percepisce direttamente la vacuità, comprende la realtà ultima. Per tale motivo la vera cessazione ed il vero sentiero rappresentano proprio i costituenti dell’oggetto reale del rifugio.

IL SANGHA

Per sviluppare tale Dharma, tale vero percorso, è importante contare sulla guida di un insegnante spirituale, il Buddha. Di conseguenza il Buddha è inoltre considerato come l’oggetto ultimo del rifugio. E similmente, prendiamo inoltre rifugio nel Sangha. Con questo termine, il Sangha, ci riferiamo a tutti i praticanti spirituali che hanno realizzato l’uno o l’altro dei livelli o della forma della vera cessazione o del vero sentiero. È importante prendere rifugio in questi esponenti del Sangha, perché rappresentano i riferimenti della nostra pratica spirituale. Ecco così questi tre oggetti del rifugio – il Buddha, il Dharma ed il Sangha – su cui un buddista dovrebbe contare di tutto cuore.

LA PRATICA DEI TRE ADDESTRAMENTI

Proprio per questo motivo nelle “Trentasette pratiches’illustrano altri tipi di pratiche, come la necessità di sviluppare, oltre alla presa del rifugio, anche una sincera convinzione dell’infallibilità del rapporto di causa ed effetto. Questo passo è spiegato in specifici versi, laddove si dice di “vedere i piaceri dei tre regni come la rugiada si deposita sull’erba” ovvero, in modo transitorio, impermanente. In questo senso dovremmo capire che tutto ciò che sperimentiamo all’interno del samsara è permeato fondamentalmente della natura della sofferenza. Solo riflettendo sulla natura della sofferenza, ripensando specialmente alla sofferenza condizionata, potrete sviluppare un’aspirazione alla realizzazione della liberazione. Ed il metodo per realizzare la liberazione consiste nella pratica dei tre addestramenti: l’addestramento alla moralità, l’addestramento alla stabilizzazione meditativa e l’addestramento alla saggezza.

Queste pratiche si riferiscono a quelle caratterizzanti gli individui dalle capacità mentali sia limitate sia di grado intermedio. Tuttavia, queste pratiche, pur relazionate alle situazioni di soggetti dalle capacità mentali limitate o di grado intermedio, rappresentano delle attività preliminari, necessarie per intraprendere le fasi successive del percorso caratterizzanti una persona di grande portata mentale.

I TRE VELENI

Se proviamo a ricapitolare i punti essenziali di ciò che sto illustrando, diventa importante capire che la nostra mente è afflitta da ciò che sono conosciuti come i tre veleni: l’attaccamento, la rabbia e l’ignoranza. Se ci riflettiamo anche solo per un momento, ci diventerà abbastanza chiaro quanto siamo disturbati dal sorgere di queste emozioni affliggenti. Per esempio, nella nostra vita quotidiana ci diventa molto chiaro renderci conto come la nostra mente è disturbata quando cadiamo in preda all’attaccamento o quando diventiamo prigionieri della rabbia o dell’odio. Tuttavia, il problema sta nella presunzione di tendere normalmente a percepire il sorgere dell’attaccamento, della rabbia e così via come un processo naturale della mente; senza renderci conto che si tratta d’un atteggiamento negativo, anzi, ci sembra che non sia per nulla sconveniente reagire in quel modo. Per esempio, quando incontrate eventi sfavorevoli o delle circostanze negative, reagite sviluppando l’odio e la rabbia. Viceversa, quando capitate involontariamente in una circostanza favorevole, sviluppate compiacimento per quella situazione piacevole e, quindi, attaccamento.

Di conseguenza, è estremamente importante capire che ciò che ci rende completamente infelici dipende dallo sviluppo e dalla presenza di queste emozioni negative: come l’attaccamento e l’odio. Se prendete anche in piccola considerazione quest’argomento, vi diventerà molto chiaro come il sorgere dell’odio e della rabbia vi renda infelici. Non appena si presenta la rabbia, la pace della vostra mente ne risulta completamente disturbata. Nel caso dell’attaccamento, può essere abbastanza differente. Perché l’attaccamento sorge in rapporto ad un oggetto, che ha l’apparenza di rendersi alquanto caro al vostro cuore, di sembrarvi abbastanza attraente. Tuttavia, quando avete permesso alla vostra mente di lasciarsi avvincere da quell’oggetto, in modo da risultarne un attrazione assillante, in conseguenza di ciò la vostra mente si rivelerà ancora gradualmente disturbata. Un esempio inequivocabile l’avete quando siete ossessionati, o allorché provate un forte attaccamento verso una persona o un oggetto particolare, allora non potrete tollerare nemmeno le più lievi manchevolezze o dei difetti secondari di quella persona. Di conseguenza, non soltanto quando siamo completamente svegli, ma anche quando sogniamo, è la presenza dell’attaccamento e dell’odio a molestare completamente la pace della nostra mente. Inoltre, questa condizione frastornata della mente lascia nel tempo un’impronta negativa. Ed è il risveglio, è l’attivazione di queste impronte negative, a renderci sofferenti in futuro. Fintantoché saremo preda all’attaccamento ed all’odio, di sicuro non potremo avvertire una pace ed una felicità duratura.

POSSIAMO ELIMINARE LE EMOZIONI AFFLIGGENTI?

Dobbiamo ora chiederci: “Possiamo eliminare queste emozioni negative affliggenti come l’odio e l’attaccamento?”. Tutti possiamo capire, e tutti possiamo percepire, che la forza dell’attaccamento e dell’odio può essere minimizzata, può essere ridotta. Ma la domanda è: “Siamo effettivamente in grado d’eliminarli completamente?” È, a questo punto, importante capire se è possibile eliminare l’ignoranza, perché l’attaccamento e l’odio traggono la loro radice dall’ignoranza. Dobbiamo pertanto affrontare il difficile compito di comprendere se l’ignoranza – che è la causa radice dell’esistenza ciclica, la causa radice del samsara e la causa radice della sofferenza – può essere o meno eliminata.

PUÒ ESSERE ELIMINATA L’IGNORANZA?

Sarebbe ora di notevole giovamento ed abbastanza utile riflettere sul modo in cui si determinano alcuni processi naturali. Facciamo l’esempio del caldo e del freddo. Entrambi si escludono reciprocamente e risultano in opposizione. Consideriamo ora, a titolo d’esempio, l’ambiente di questa sala in cui siamo tutti raccolti. Se ne aumentate il grado di riscaldamento, il freddo verrà naturalmente ridotto o minimizzato, mentre, se, viceversa, aumentate l’immissione d’aria fredda, verrà ridotto il calore. Ciò accade perché il caldo ed il freddo si escludono l’un l’altro in termini della loro continuità: quando l’uno s’innalza, l’altro naturalmente s’indebolisce, in quanto se n’è ridotta reciprocamente la resistenza. Questo è proprio il modo in cui funzionano i fenomeni all’interno della legge della natura. Quando riunite due forze in conflitto tra loro, positiva e negativa, calda e fredda, in conseguenza di ciò osserverete che, se aumentate la potenza dell’una, l’altra s’indebolisce. A partire perciò dalla comprensione del processo naturale di come procedono le cose, nel caso della mente umana (anche se questa è di natura non-fisica, incolore, priva di forma) troverete che ci sono due tipi di menti, in conflitto rispetto al loro modo di percepire e di comprendere gli oggetti.

LA RISOLUZIONE DELLA CONTRADDIZIONE

Facciamo l’esempio di una mente che vede un foglio di carta di colore bianco, mentre un’altra percepisce quella stesso pezzo di carta come nero. Così i modi di percezione di queste due menti sono in conflitto e completamente in contraddizione. Ora, è qui importante scoprire quale delle due ha ragione: una percepisce la carta come bianca e l’altra come nera. A questo punto, se non siete molto sicuri della spiegazione: che cosa dovete fare? Iniziate a scrutare molto attentamente quel pezzo di carta, studiatelo in modo particolareggiato per diverse volte, indagatene le differenze di forma e valutate se è bianca o nera. Se non siete ancora molto convinti, allora, potete anche cercare l’aiuto di altre persone: chiedete loro se la carta è bianca o nera. Procedendo in questo senso, potrete gradualmente scoprire che la mente che percepisce quella carta come bianca è corretta, mentre la mente che la avverte come nera è in errore. Il caso della mente che riconosce quel pezzo di carta come bianco è basato su un fondamento valido, in quanto il colore osservato può essere convalidato con l’aiuto di molte altre persone. Mentre non può essere altrettanto nel caso della percezione di quella carta come nera, perché può dipendere da un difetto visivo, o da altri fattori. Ne discende che quanto più prolungherete ed arricchirete la vostri analisi, tanto più potrete convalidare il vostro punto di vista, e potrete osservare la validità della mente in rapporto alla capacità di vera comprensione dell’oggetto.

LIMITANDOCI ALLE APPARENZE NON POSSIAMO CAPIRE LA REALTÀ

Poniamoci ora quest’altra domanda: chi è nel giusto? La mente che percepisce i fenomeni come esistenti in modo indipendente, inerente o effettivo, oppure quella che li vede come privi d’esistenza propria? Queste due menti sono in conflitto rispetto al processo d’apprendimento dell’oggetto. Anche nel caso della mente che si aggrappa e che percepisce la realtà come inerentemente esistente, se può essere convalidata, se ha un fondamento e un supporto molto forte, allora potremmo dire che la mente che percepisce l’oggetto come caratterizzato da una vera esistenza è una mente corretta. In questo caso non troviamo, comunque, degli argomenti di validazione, non esiste un fondamento tanto valido. L’unico motivo che potreste addurre, consiste nel dire: “Tutto ha esistenza inerente, perché la mente la percepisce in tal modo.” La vostra affermazione “La mia mente vede che” non rappresenta un ragionamento valido, perché qualsiasi fenomeno percepite, non è necessariamente vero. Perché c’è sempre una disparità fra l’apparenza e la realtà. Quando ci limitiamo alle semplici apparenze, non possiamo capire la realtà.

Ora, nel caso della mente che percepisce e che vede le cose come non aventi esistenza inerente, questa può essere convalidata riflettendo innumerevoli volte sulle vostre diverse esperienze. Anche quando proviamo a contrassegnare un oggetto per designazione, quest’operazione si rivela inaffidabile, in quanto i fenomeni per la loro stessa natura tendono a cambiare. Così, quando osservate tutto ciò, vi diventa subito chiaro che i fenomeni sono interconnessi, correlati, cambiano e non esistono in quanto tali mentre li percepiamo.

D’altra parte, se dite che le cose esistono inerentemente come sono percepite dalla mente, allora dovrete confrontarvi con molteplici esperienze in conflitto tra loro. Al nostro livello comune, tendiamo ad accettare tutto ad un grado molto superficiale, senza dedicarci ad un’analisi approfondita, senza preoccuparci di esaminare, ricercare meglio. Di conseguenza non ne vediamo l’incoerenza, non ne percepiamo la contraddizione. Ed è a causa di ciò che tendiamo a reputare che qualunque esperienza ho sperimentato nel passato e qualsiasi disegno ho progettato per il futuro, entrambe esistono proprio davanti a noi ora, caratterizzati da una vera esistenza inerente.

Ma se dedicherete del tempo a queste considerazioni ed analizzate quanto questo sia lontano dal vero, allora potrete scoprire d’esservi sbagliati: quel che avete sperimentato nel passato è ormai trascorso, quel che avete progettato deve ancora venire. Comprenderete che tutto è correlato, interconnesso, collegato e tende a cambiare. Di conseguenza, non esiste alcunché contraddistinto da vera esistenza indipendente. Non troverete, perciò, nessun altro motivo per dire che “Le cose mi appaiono come aventi esistenza inerente.”

UN FONDAMENTO VALIDO

Ora, nel caso della mente che percepisce i fenomeni come non aventi esistenza inerente, più riflettete su questa convinzione, più forte sarà la vostra certezza in proposito, e più energica ancora risulterà la vostra esperienza. Ciò dipende dal fatto che quel che avete percepito ha un fondamento valido, un principio solido. Si tratta della verità che sostiene quel che avete capito, quindi quanto più esaminate, quanto più analizzate, più l’oggetto vi diventerà chiaro.

L’ATTACCAMENTO E L’ODIO NON SONO INNATI NE’ PERENNI

È estremamente importante realizzare un altro concetto in termini di rimozione delle emozioni affliggenti, come nel caso del sorgere dell’attaccamento e dell’odio: non è vero che dovunque ci sia una mente, là dovrebbe risiedere attaccamento ed odio. Non credeteci. Ed è inoltre importante rendersi conto che queste emozioni affliggenti come l’odio e l’attaccamento non permangono in noi per sempre: non rimaniamo continuamente arrabbiati, non sviluppiamo ininterrottamente attaccamento. Anzi, le situazioni sono soggette al cambiamento: di mattina potreste sviluppare attaccamento verso una particolare persona, verso un oggetto speciale, mentre alla sera potreste provare rabbia od odio verso quella stessa persona, o disgusto verso quello stesso oggetto.

Poiché nella nostra vita quotidiana tutti sperimentiamo il sorgere dell’odio e dell’attaccamento, e poiché questi “veleni”, come l’attaccamento e l’odio, e così via, sono in continuo cambiamento, non ci accompagnano per tutta la nostra esistenza, il semplice costatarlo rappresenta la chiara dimostrazione che questi sentimenti possono cambiare, non rimangono in noi per sempre, fintantoché esisterà la nostra mente. Facciamo un altro esempio lampante: ci sono occasioni in cui provate soltanto attaccamento e non odio, viceversa, ne esistono delle altre in cui sperimentate soltanto odio e non avvertite attaccamento, in altri casi ancora, esistono momenti in cui siete offuscati soltanto dall’ignoranza senza provare né attaccamento né odio, si verificano persino ulteriori situazioni in cui tutti questi difetti permangono in voi ad un livello non evidente. Pertanto, partendo da queste premesse, potrete sviluppare in questo modo la convinzione di poter minimizzare ed eliminare queste oscurazioni.

SAMSARA E NIRVANA

Come ho precedentemente enunciato, le emozioni affliggenti sono la causa della nostra infelicità e frustrazione. Quando riusciamo a rimuoverle, specialmente l’ignoranza, che rappresenta la causa radice di tutti i tipi di emozioni affliggenti, otteniamo a quel punto la liberazione dal samsara, mentre la condizione che comporta l’interruzione delle emozioni affliggenti è denominata “liberazione” o nirvana. Proprio questo è il significato della liberazione, come è spiegato nel Buddismo in generale e specialmente nella scuola Madhyamika di pensiero.

Di conseguenza, se ci pensate un attimo, potrete scoprire che quel che ci rende realmente infelici sono l’attaccamento e l’odio. E, naturalmente, potreste provare a sostenere che avvertiamo a volte della felicità quando maturate odio ed attaccamento: per esempio quando sviluppate l’attaccamento verso un particolare oggetto o una certa persona, che potrebbe offrirvi un qualche genere di rinforzo o felicità provvisoria. Similmente, quando siete molto arrabbiati ed indirizzate delle espressioni offensive verso le persone che non gradite, potreste anche provare un certo senso di soddisfazione, ma queste si rivelano solo delle esperienze provvisorie e molto superficiali. A lungo termine non faranno altro che arrecarvi molta sofferenza.

PIACERE E ATTACCAMENTO

È quindi molto pertinente ricordare qui un verso dal Ratnavali di Nagarjuna, in cui dice che “Potreste provare un ipotetico tipo di piacere quando criticate in modo indisponente; ma, non è forse meglio astenersi dal biasimare, evitando d’irritare gli altri?”. Così, allo stesso modo, quando provate attaccamento potete avvertire un certo genere di soddisfazione provvisoria, ma sarebbe molto meglio non provare affatto alcun attaccamento.

RIMUOVERE L’IGNORANZA

Da tempo immemorabile, l’attaccamento e la rabbia hanno convissuto in noi come amici, e sembravano beneficiarci provvisoriamente ed in un senso superficiale. Ma se fossimo senza questi amici negativi, godremmo d’una felicità duratura. Poniamoci ora la domanda principale: è possibile rimuovere l’ignoranza, la causa radice di tutti i tipi di sofferenza e delle emozioni affliggenti? Se riflettete sui punti che ho appena spiegato, potreste farvi una certa idea della possibilità di poter rimuovere l’ignoranza. Se è questo il caso, allora vale la pena fare un tentativo per eliminare l’ignoranza, ed è appunto in questo contesto che il Buddha ha insegnato le Quattro Nobili Verità.

IL CARMA CONTAMINATO E LE EMOZIONI AFFLIGGENTI

Tra le Quattro Nobili Verità, nella vera sofferenza troviamo le spiegazioni dei tre tipi di sofferenze, specialmente di quella condizionata. La causa radice della sofferenza condizionata ne rappresenta la vera origine; quest’ultima è di due tipi: il carma contaminato e le emozioni affliggenti. Tra questi due, la causa principale della sofferenza sono le emozioni affliggenti, al cui interno, come la causa principale, identifichiamo l’ignoranza. Per ignoranza ci riferiamo all’idea sbagliata della realtà, o al vero afferrarsi. E quando eliminate completamente la vera attitudine all’afferrarsi al sé ed ai fenomeni, realizzate quindi una condizione di cessazione delle emozioni affliggenti, che è conosciuta come la liberazione o nirvana. Per realizzare tale liberazione dobbiamo coltivare il percorso spirituale, il vero sentiero, soprattutto la saggezza che realizza la vacuità.

COME POSSIAMO CONTROLLARE LE EMOZIONI AFFLIGGENTI?

Quando riflettiamo sulle modalità in cui risultiamo dominati dalle emozioni affliggenti, dobbiamo, in primo luogo, renderci conto come queste ci arrecano solo sofferenze e problemi su problemi. Ora, a questo punto, nel momento in cui stiamo provando a riflettere sulla sofferenza che grava su noi stessi, non stiamo facendo una riflessione vuota, quella in cui, pur non provando sofferenza, tentiamo ugualmente di scovare una certa sofferenza, non è il nostro caso. Se riflettete su voi stessi, sulla vostra realtà personale, troverete che anche se desiderate la felicità, la pace assoluta, il più grande piacere, continuate tuttavia ad incontrare un flusso incessante di sofferenze e di problemi. E quando incappate in tali flussi senza tregua di sofferenze e di problemi, fermatevi un attimo, fate una pausa e riflettete, chiedendovi:”Da dove vengono tutte queste sofferenze? Da dove provengono tutti questi problemi?” Scaturiscono, ovviamente, dalla mancanza di controllo della vostra mente, dalla carenza di disciplina della vostra mente e dalla assenza di pacificazione della vostra mente. Ed è per la mancanza di controllo e di disciplina della mente che osserviamo l’agitazione ed i conflitti dilagare del mondo.

DOV’È LA CAUSA PRINCIPALE DELLA SOFFERENZA?

I conflitti e l’agitazione che vediamo nel mondo non rappresenta certo una situazione che noi tutti desideriamo, e che neppure ci aspettiamo. Ma, anche se non li bramiamo, noi continuiamo ad imbatterci incessantemente in tutti questi problemi perché la nostra mente non è pacificata, perché non abbiamo purificato la nostra mente, contro la nostra stessa volontà siamo stati trascinati in questa situazione di conflitti e di problemi. È perciò importante farci questo domanda: “Qual’è la causa principale di questi problemi, qual’è la causa principale di questa sofferenza?” La causa principale di questa sofferenza è dentro di voi, perché la vostra mente non è disciplinata, perché la vostra mente non è purificata.

CAPIRE LA REALTÀ COSÌ COME È

Proseguendo nella ricerca della causa principale della sofferenza, nel buddismo ritroviamo una spiegazione interessante laddove si parla di due tipi di visioni errate. Una di queste consiste nel negare o smentire l’esistenza d’un fenomeno, mentre, all’opposto, l’altra visione errata consta nell’esagerare la portata d’un evento, d’un qualcosa. La negazione qui si riferisce a considerare qualche cosa di esistente come inesistente, mentre, all’opposto, per esagerazione si intende qui l’affermare che qualcosa esiste anche se non è così. Qualsiasi di queste due visioni estreme professiate, questa vi offuscherà la mente, arrecandovi problemi e sofferenza. Perciò questo passo indica chiaramente che è estremamente importante capire la realtà così come è, senza esagerazioni e senza smentita alcuna. Penso che questa sia una avvertenza molto interessante.

Potreste, tuttavia, sviluppare un certo genere di piacere epidermico a negare o ad esagerare la realtà.

Se, ad esempio, quando siete dediti a produrre una qualsiasi cosa, iniziate ad avvertire un certo senso di compiacimento e vi attaccate ad essa, potreste tendere a trovare in quell’oggetto un certo genere di beneficio, di rasserenamento, ma a lungo termine, non soltanto non vi sarà di nessun aiuto, ma vi arrecherà frustrazione ed infelicità.

SOFFERENZA E COMPASSIONE

Di conseguenza, è estremamente importante meditare sulla sofferenza in generale e, specialmente, sulla sofferenza condizionata. Purtroppo, anche se dobbiamo imbatterci nella incessante sofferenza della nostra vita quotidiana, non prestiamo molta attenzione alla fonte reale di questi problemi, alla vera sorgente di queste sofferenze. Perciò, dovreste, in primo luogo, capire chiaramente le sofferenze di cui siete afflitti, e, quindi, dovreste provare a sviluppare compassione verso gli altri esseri senzienti. La compassione, come ho spiegato in precedenza, è una mente che desidera che tutti gli esseri senzienti siano liberi dalla sofferenza. Per questo motivo dovreste percepire tutti gli esseri senzienti come molto cari e vicini al vostro cuore, sviluppando quindi l’amorevole gentilezza, la compassione. Chiariamo meglio: l’amorevole gentilezza è una mente che aspira che tutti gli esseri senzienti vengano a contatto con la felicità, mentre la compassione è una mente che aspira che tutti gli esseri senzienti siano liberi dalla sofferenza.

Questi punti sono spiegati dalla pagina 6 in poi degli “Stadi della Meditazionedi Kamalashila:

Di conseguenza, percepisci tutti gli esseri erranti

come immersi in un grande fuoco di indigenza.

Pensa che siano tutti come te nel ripudiare la povertà:

“Ah! Tutti voi miei cari esseri senzienti siete afflitti da tanto dolore.

Che cosa posso fare per rendervi liberi?”

ed assumermi tutte le vostre sofferenze.

Se siete impegnati nella meditazione univoca

o a svolgere le vostre attività ordinarie,

meditate sempre sulla compassione,

visualizzando tutti gli esseri senzienti,

e desiderando che siano liberi dalla sofferenza;

. … e così via.

Ed ecco l’argomento fondamentale che dovreste aver ben presente: “Desidero la felicità, nello stesso modo in cui tutti gli esseri senzienti aspirano ad essa; non desidero la sofferenza, come tutti gli esseri senzienti la disdegnano, per questo stesso motivo mi sento in diritto d’aspirare alla felicità e di rimuovere la sofferenza, così come è il caso di tutti gli altri esseri senzienti.”

COMPASSIONE ED AMOREVOLE GENTILEZZA

Se riflettete su quanto gli esseri senzienti sono afflitti dalla sofferenza, allora potrete coltivare la compassione, e quando riflettete sul modo in cui gli esseri senzienti sono privati della felicità, proprio per questo motivo svilupperete l’amorevole gentilezza.

Come è spiegato molto esplicitamente e molto chiaramente nel Bodhicharyavatara o “Guida allo stile di vita del Bodhisattvadi Shantideva, è importante riflettere sul modo in cui gli esseri senzienti sono direttamente ed indirettamente gentili nei nostri riguardi. Questo argomento diventerà molto chiaro specialmente se riflettete sulla realtà interdipendente ed interconnessa del mondo attuale. Potrete chiaramente scoprire come il successo della vostra vita personale ed il conseguimento della vostra esclusiva felicità dipendono dallo sviluppo, dal conseguimento della felicità e dalla stabilità generale della società, della nazione, del mondo preso nel suo insieme. Se la società, il mondo intero fosse appagato, felice, stabile ed in sviluppo, allora, anche voi, come componenti specifici di quella società, di quella nazione, proverete la felicità ed il successo. Viceversa, se la società e la nazione nell’insieme sono piegati da conflitti ed in preda allo sconforto, non sarà possibile nemmeno per voi, come singola persona specifica, avvertire la felicità.

RESPONSABILITÀ VERSO GLI ALTRI

È grazie al conseguimento d’una chiara comprensione che potreste naturalmente sviluppare un forte senso di responsabilità, un intenso senso di preoccupazione per il benessere degli altri. Ed è in questo modo che disporrete della facoltà di sviluppare gradualmente un’aspirazione a realizzare l’illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Proprio per questo motivo, negli Stadi della Meditazione di Kamalashila, egli considera lo sviluppo della compassione come la causa, la bodhicitta come il fondamento e le pratiche di generosità, e così via, come i mezzi per perfezionare il sentiero, per realizzare l’illuminazione. Ora, quando parliamo della compassione come la causa, non stiamo alludendo a tutti i tipi di compassione, ma soprattutto stiamo riferendoci alla grande compassione. E’ lo sviluppo di questa grande compassione, che ci infonde la resistenza mentale per impegnarci personalmente nell’attività di rimozione della sofferenza dagli altri esseri senzienti. Esattamente per questo motivo, nel verso dell’omaggio nella Madhyamikavatara di Chandrakirti, egli porge omaggio proprio alla grande compassione, e non ai Buddha od ai bodhisattva. Perché egli afferma che è questa generazione della compassione la causa per la realizzazione della bodhicitta, la causa per conseguire l’illuminazione, la causa per trasformarsi in un bodhisattva.

LA PREZIOSITÀ DEGLI ALTRI ESSERI SENZIENTI

Quando riflettiamo sulla natura della compassione, dobbiamo aver chiaro che si tratta della mente completamente focalizzata sulla sofferenza degli esseri senzienti nostre madri ma privi d’aiuto. Perciò questa qualità tanto meravigliosa, come la compassione, non può essere sviluppata in assenza degli esseri senzienti. E quando parliamo della condizione d’illuminazione, dobbiamo aver compreso, inoltre, che si tratta d’una qualità che realizziamo riflettendo sulla necessità di conseguire il benessere da parte degli esseri senzienti. Anche quando parlate di sviluppare la saggezza che realizza la vacuità, questa si trasforma in una causa per realizzare l’illuminazione. Tuttavia, anche la saggezza che realizza la vacuità non può trasformarsi in una causa per realizzare l’illuminazione in assenza di un desiderio altruistico che intenda conseguire l’illuminazione stessa. Di conseguenza, sia che si tratti d’un percorso o d’un risultato Mahayana, tutte queste qualità positive si possono coltivare solo in rapporto agli altri esseri senzienti ed in loro assenza non è possibile sviluppare queste qualità. In questo modo, dovreste perciò realizzare quanto sono preziosi gli altri esseri senzienti e come sono gentili verso di voi, in rapporto alla vostra pratica, alla vostra vita giornaliera e così via.

LA GRANDE COMPASSIONE

Quando sviluppate questa grande compassione, desiderando che tutti gli esseri senzienti siano liberi da sofferenze, allora quella mente produce un atteggiamento speciale, che non fa riferimento soltanto allo sviluppo d’una mente benevola, ma che s’assume realmente la responsabilità d’impegnarsi nell’atto di rimuovere la sofferenza dagli altri esseri senzienti, il che rappresenta la causa della produzione della bodhicitta e, gradualmente, a sua volta, conduce al conseguimento dell’illuminazione.

Riguardo all’addestramento della mente alla bodhicitta, leggeremo ora il verso numero 10 dalle Trentasette Pratiche del Bodhisattva, che recita:

A che giova la felicità personale,

se gli esseri senzienti nostre madri,

che, da tempo senza inizio,

si sono dimostrati gentili verso di noi, soffrono?

Di conseguenza, occorre sviluppare la pratica del Bodhisattva,

generando l’intenzione altruistica

di raggiungere l’illuminazione

per liberare dalla sofferenza un numero illimitato di esseri senzienti.

L’ADDESTRAMENTO ALLA BODHICITTA

Per questo motivo, da questo verso in avanti, il testo tratta della pratica dell’addestramento della mente alla bodhicitta, per questa stessa ragione il verso successivo esprime inoltre la pratica di scambiare sé stessi con gli altri, generando in questo modo la bodhicitta, illustrando quindi il modo per accrescere e rinforzare l’energia della bodhicitta sviluppata dal praticante.

LA BODHICITTA CONVENZIONALE

Riguardo al processo di sviluppo della bodhicitta convenzionale, troviamo una spiegazione molto più chiara negli Stadi della meditazione di Kamalashila, dove, alla pagina 6 afferma:

La bodhicitta è di due tipi: convenzionale ed ultima.

La bodhicitta convenzionale

equivale allo sviluppo del pensiero iniziale

che aspira a raggiungere

l’insuperabile e perfettamente completato stato di Buddità

per beneficiare tutti gli esseri senzienti erranti;

la si può ottenere dopo aver preso i voti dalla compassione

per liberare tutti gli esseri dalla sofferenza.

Si dovrebbe coltivare la bodhicitta convenzionale

in un processo simile a quello descritto nel capitolo sull’etica morale nel Bodhisattvabhumi,

generando questa mente attraverso l’assunzione dei voti del Bodhisattva

da un maestro che si attiene ai precetti del Bodhisattva;

… e così via.

Ora il testo parla dei due tipi di mente convenzionale, dei due modi di generazione della bodhicitta convenzionale. Questa qualità trae le sue radici dallo sviluppo della grande compassione. Come ho precedentemente evidenziato, la grande compassione ispira un atteggiamento speciale che, a sua volta, conduce a sviluppare la bodhicitta, che desidera non soltanto aiutare gli altri esseri senzienti, facendo loro realizzare uno stato più elevato, ma è protesa al raggiungimento del vero obiettivo principale, consistente nel venire in aiuto degli altri esseri senzienti perché realizzino la condizione dell’illuminazione. E riguardo alla natura della bodhicitta convenzionale, ne dobbiamo distinguere due tipi: la bodhicitta dell’aspirazione e quella dell’impegno. Quest’ultima si riferisce a quella bodhicitta che si coltiva una volta ricevuti i voti del bodhisattva e contraddistingue chi realmente s’impegna negli atti di un bodhisattva. Entrambi questi due tipi di menti sono inquadrabili tra quelle appartenenti alla bodhicitta convenzionale. Nella Lampada sul sentiero di Atisha troviamo spiegati molto più chiaramente sia il processo di ammissione a questi tanto rilevanti voti del bodhisattva, sia lo sviluppo di generazione di tale bodhicitta, se leggete dal verso 6 in avanti:

Per quegli eccellenti esseri viventi,

che desiderano la suprema illuminazione,

spiegherò i metodi perfetti

tramandati dai maestri spirituali.

… e così via.

Ciò spiega il processo di ricevimento dei preziosi voti del bodhisattva. Proprio per questo motivo, trattando la motivazione alla base di questi voti, il testo continua spiegando come sviluppare, inoltre, la calma dimorante, la visione speciale e così via.

I TRE ANIMALI SIMBOLO

Dal momento che avete rivolto lo sguardo alla ruota della vita, o ciclo dell’esistenza, va rimarcato che la sua causa radice è rappresentata dalle emozioni affliggenti della mente, come l’attaccamento, l’odio e l’ignoranza, che sono indicate da questi tre animali. L’attaccamento è simbolizzato da un piccione, un uccello, l’odio è espresso da un serpente e l’ignoranza è rappresentata da un maiale. L’illustrazione è disegnata in modo tale che la coda dell’uccello ed il serpente fuoriescano dalla bocca del maiale, simboleggiando che l’attaccamento e l’odio traggono la loro radice dall’ignoranza. E, come ho appena accennato, si tratta della stessa ignoranza considerata la causa radice degli innumerevoli fenomeni che osserviamo all’interno del ciclo dell’esistenza.

Questa ruota, che illustra in cinque parti la vita, costituisce una rappresentazione trasmessa dal Buddha stesso, con la raccomandazione, alle istituzioni monastiche, di raffigurarla all’entrata d’ogni monastero o tempio.

SVILUPPARE CON UN RITUALE LA BODHICITTA DELL’ASPIRAZIONE

Torniamo al processo di sviluppo della bodhicitta convenzionale. Quando, all’interno della vostra mente, maturate un certo genere di sensibilità o di capacità, o d’apprezzamento della necessità di generare la bodhicitta convenzionale, per stabilizzarla, dovreste, di conseguenza, maturare la bodhicitta dell’aspirazione basandovi su un rituale o su una cerimonia. Un tal processo di concepimento della bodhicitta dell’aspirazione tramite un rituale, presenta il vantaggio di rinsaldare la mente nello stesso modo in cui, domani, realizzeremo succintamente la cerimonia di generazione di questa speciale bodhicitta. Ed in occasione del conferimento dell’iniziazione potrete ricevere i voti del bodhisattva dell’impegno.

LE DUE RACCOLTE: DI MERITI E DI SAGGEZZA

Un individuo che ha coltivato la bodhicitta e si sforza di realizzare l’illuminazione, dovrebbe accumulare le due raccolte: di meriti e di saggezza. Parlando dell’accumulazione del metodo e della saggezza, dobbiamo renderci conto che si tratta d’una condizione assai rilevante ai fini della realizzazione dell’illuminazione. Quando ci riferiamo alla condizione risultante di un essere illuminato, il Buddha, dobbiamo aver chiaro che questa rappresenta un attributo corrispondente al raggiungimento d’una perfezione totale di compimento degli scopi degli altri esseri senzienti. Il che non s’ottiene con delle benedizione provenienti dall’esterno. Tale stato di perfezione è invece correttamente realizzato comprendendo ciò che deve essere eliminato e quello che, viceversa, va acquisito. È sviluppando la consapevolezza discriminante riguardo a ciò in cui ci si deve impegnare e, viceversa, in ciò che va abbandonato, che si giunge a coltivare gli antidoti positivi contro l’oscuramento alla liberazione ed all’illuminazione. In questo modo si perviene ad eliminare queste due oscurazioni e per questo si realizza l’illuminazione.

IL CORPO DELLA FORMA E DI VERITÀ

Di conseguenza, quando parliamo di come seguire un percorso che conduce a realizzare l’illuminazione, è estremamente importante contare sugli insegnamenti del Buddha, l’attività della parola del Buddha. E per contare effettivamente sulle argomentazioni del Buddha, per comprendere direttamente il discorso del Buddha, lo si può fare soltanto vedendo realmente il Buddha. È in questo contesto che il Buddha compare sotto forma del corpo della forma. Quest’ultimo, di conseguenza, sarebbe il corpo per gli altri, mentre il corpo di verità o Dharmakaya sarebbe il corpo per se stessi. Il corpo della forma viene considerato come il corpo per gli altri perché è attraverso questo corpo della forma che il Buddha può direttamente comparire agli esseri senzienti. Perciò questi ultimi, basandosi sui suoi insegnamenti, possono seguirne il percorso. La manifestazione di un tal corpo della forma agli altri esseri senzienti dipende molto dalla realizzazione delle attività dell’adempimento spontaneo e privo di sforzo, e per realizzare tale condizione dovreste concretizzare la completa condizione dell’illuminazione, acquisendo la saggezza onnisciente.

LA CONDIZIONE DI UNICITÀ DEI TRE SEGRETI

Una chiara spiegazione per realizzare una tale condizione la si trova nel Tantra, laddove si parla dell’impegno simultaneo del mantra e dell’energia, o dell’impegno concomitante dell’energia e della mente. Non potremo realizzare una condizione d’adempimento spontaneo e privo di sforzo dei desideri degli esseri senzienti finché non realizziamo il controllo totale sull’impegno simultaneo dell’energia e della mente. E quando raggiungiamo una condizione in cui si realizza un impegno contemporaneo della mente e dell’energia, allora si realizza l’attività sublime, che spontaneamente e senza sforzo adempie allo scopo degli esseri senzienti. Realizzando quella condizione, si concretizza l’attributo dell’indivisibilità dei tre segreti: ovvero l’inscindibilità del corpo segreto, della parola e della mente. È la fase più sottile, in cui questi diventano inseparabili. Per realizzare una tal condizione d’unicità dei tre segreti – il corpo, la parola e la mente – occorre addestrarsi partendo dallo stadio iniziale. In altre parole, si dovrebbe realizzare una condizione d’attività della parola, della mente onnisciente e del corpo, come inseparabili e d’un solo sapore. In assenza d’un tal conseguimento, non sarebbe possibile adempiere spontaneamente e senza sforzo agli scopi degli altri esseri senzienti. Questo svolgimento delle pratiche è spiegato soltanto nell’Altissimo Anuttara Yoga Tantra, un insegnamento così profondo non lo trovate nel Sutra della Perfezione della Saggezza.

Questo corpo della forma, che sarebbe il corpo per gli altri, trae la relativa origine o fonte nel dharmakaya, ed in effetti esso è una emanazione del dharmakaya. Il Dharmakaya sarebbe il corpo per se stessi, perché è un corpo, che è realizzato da sé e che non può comparire come un oggetto visibile ai discepoli, agli esseri senzienti. In effetti, è proprio da questa condizione del dharmakaya che si presenta il corpo della forma. È, inoltre, precisamente quello il significato del tathagata, in quanto tatha si riferisce alla talità, che si ascrive al corpo di verità. Per l’appunto, il corpo della forma proviene da questo tatha, o dalla talità, mentre gata significa venire, comparire, discendere.

LA CONDIZIONE DEL DHARMAKAYA

Di conseguenza, se riflettete sulla natura del corpo della forma, comprenderete che si tratta d’un corpo che possiede la natura della molteplicità, che esprime funzioni complesse. E quando vi riferite e riflettete sul corpo di verità di saggezza, allora troverete che questo corpo di verità di saggezza è una condizione in cui tutte queste varie e molteplici funzioni dell’oggetto spariscono e si dissolvono nell’unico gusto della talità. In questa condizione del dharmakaya tutte le manifestazioni, elaborazioni della dualità dell’oggetto-oggetto e così via, cessano di esistere: è una condizione di cessazione totale di tutte le manifestazioni convenzionali.

LA CAUSA SIMILE AL RISULTATO

Entrambi i corpi, il corpo di verità di saggezza ed il corpo della forma, si alimentano a partire dalle loro rispettive cause, perciò le loro cause dovrebbero presentare delle somiglianze tra loro. In altre parole il risultato, il dharmakaya ed il corpo della forma, presentano delle affinità nelle loro origini. Di conseguenza, quando parliamo della generazione della bodhicitta convenzionale, o bodhicitta come tale, intendiamo una mente focalizzata sugli infiniti esseri senzienti, tanto da poter scorgere la peculiare concentrazione di questa mente, in quanto è mirata unicamente sull’infinito numero di esseri senzienti. Ed anche in termini di pratica attinente, si adotta una varietà infinita di metodi, come la pratica delle sei perfezioni e così via. È grazie ad una tal pratica che si attualizza infine il corpo della forma. In conseguenza di ciò potete ravvisare che la causa ha aspetti simili al risultato, il corpo della forma, che è inoltre la natura della molteplicità.

Ora nel caso della causa per il corpo di verità di saggezza, la causa è saggezza che realizza la talità o la vacuità. Quando parliamo della saggezza che realizza la vacuità o la talità, intendiamo una saggezza priva di apparenze dualistiche, essa rappresenta uno stato dove non esiste dualità tra l’oggetto e l’oggetto, si tratta quindi d’una condizione completamente esente da tutti i tipi di manifestazioni e di elaborazioni, e, di conseguenza, è una aspetto simile a quello del dharmakaya.

E per attualizzare questi due corpi, il corpo di verità ed il corpo della forma, dobbiamo contare sull’accumulazione di due raccolte: l’accumulazione dei meriti e l’accumulazione della saggezza. Sono appunto queste le due cause. Nel caso dell’accumulazione dei meriti, essa si trasforma nella causa per l’attualizzazione del corpo della forma. Nel caso dell’accumulazione dei meriti, questa ha un aspetto simile al risultato: il corpo della forma. La spiegazione di questo fenomeno dipende dal fatto che, quando vi impegnate nell’accumulazione dei meriti, vi interessate anche all’ accumulazione dei diversi mezzi e metodi, vi impegnate nella raccolta dei differenti tipi di virtù.

Mentre, nel caso dell’accumulazione di saggezza, state riflettendo semplicemente sul modo ultimo d’esistenza di tutti i fenomeni. In questo caso, la loro natura ultima è tale da rivelare la loro mancanza d’esistenza inerente ed indipendente. Altrimenti, se davvero esistesse quest’esistenza indipendente o inerente, allora la si dovrebbe trovare quando la si cerca; ma tutte le volte che tentiamo di trovarla, non è possibile individuare una tal realtà. In questo modo, in ultima analisi, pertanto, tutte queste diverse, complesse varietà di fenomeni che noi percepiamo, alla fin fine o in termini di loro realtà ultima, sono tutti della stessa natura, sono tutti della stessa entità, la quale è l’essenza della vacuità, l’entità di mancanza d’esistenza inerente: quella realtà ultima può essere denominata come vacuità, verità ultima, talità e così via.

In questo modo, questi aspetti infiniti, che percepiamo, che vediamo basandoci sulla verità convenzionale, si rinvengono proprio quando facciamo riferimento, quando ci riportiamo a loro con una mente che non ne analizza la loro natura, che non esamini la loro realtà ultima. Così, questa molteplicità della realtà convenzionale, queste funzioni infinite, vengono scorte soltanto da una mente convenzionale, non da una mente di saggezza tesa ad identificare la verità ultima. Questo, in breve, è il significato delle due verità: convenzionale ed ultima.

DUE VERITÀ, DUE MENTI DIFFERENTI

Nella prospettiva di una mente convenzionale emergono delle apparenze dualistiche, mentre nella visione di una mente che percepisce la realtà ultima, tutte queste apparenze dualistiche cessano di esistere, svaniscono. Il che ci conduce di nuovo alla verità fondamentale, alle due verità: la verità convenzionale e la verità ultima. Quando parliamo di due tipi di menti, una che percepisce l’apparenza delle varietà di fenomeni, un’altra che scorge soltanto la realtà ultima, tali percezioni si rendono possibili perché di fatto, al fondamento, esistono le due verità, la verità convenzionale e la verità ultima, e quindi abbiamo due menti differenti, una che osserva la molteplicità, gli infiniti aspetti dei fenomeni ed un altra, che individua soltanto la realtà ultima.

DUE METODI

Il metodo convenzionale è necessario per accumulare meriti e per porgere direttamente aiuto agli infiniti esseri senzienti, mentre la realtà ultima è assolutamente importante per recidere la radice del ciclo dell’esistenza. Ed è sviluppando queste due qualità, l’accumulazione di meriti e l’accumulazione di saggezza, che si realizzano gradualmente i due corpi: il corpo della forma ed il corpo di verità. I mezzi per realizzare quella condizione s’identificano: da un lato nell’impegno nel metodo dell’accumulazione delle sei perfezioni, come pratica appartenente alla verità convenzionale, e dall’altro nelle profonde pratiche di sviluppo della saggezza che accerta fino in fondo il modo in cui che le cose esistono. È, di conseguenza, importante conseguire i meriti e la saggezza per realizzare le due condizioni del corpo del Buddha: il corpo della forma e il corpo di verità.

Allora, riferendoci agli Stadi della Meditazione, leggiamo:

Dopo la generazione della mente

di risveglio della bodhicitta convenzionale,

sforzati di coltivare la mente di risveglio della bodhicitta ultima.

La bodhicitta ultima è trascendentale ed esente da ogni elaborazione.

È estremamente chiara, è l’oggetto ultimo, inossidabile,

costante, come una lampada di burro indisturbata dal vento.

LA BODHICITTA ULTIMA

Tutto ciò sta ad indicare che, avendo generato la bodhicitta convenzionale, dovreste sviluppare la bodhicitta ultima, come saggezza che realizza la vacuità. Tuttavia, la bodhicitta ultima, o saggezza che realizza la vacuità, è una mente condizionata dallo sviluppo della bodhicitta convenzionale. Questa saggezza è detta trascendentale, in quanto avete realizzato direttamente la vacuità ed in questo modo avete oltrepassato, o attraversato, il livello della percezione mondana, dell’esistenza terrena, perciò è denominata trascendentale. Ed è inoltre esente da tutti i tipi di elaborazioni: sia l’elaborazione dell’afferrarsi al sé (in questo il caso l’elaborazione è un qualcosa d’esistente, in quanto l’auto-attaccamento è effettivamente esistente), o trattarsi dell’elaborazione dell’oggetto della negazione, che rappresenta la vera esistenza. Tuttavia, anche l’esistenza vera è inesistente, in quanto consiste in un oggetto di negazione ed è un’elaborazione, che inoltre cessa di comparire a quella saggezza che direttamente percepisce la vacuità. Quella mente è, inoltre, esente dalle elaborazioni della dualità dell’oggetto-oggetto. La spiegazione dipende dalla bodhicitta ultima, o saggezza che percepisce direttamente la vacuità, perché quando questa è completamente focalizzata sulla vacuità dell’oggetto, percepisce o è completamente focalizzata sulla vacuità dell’oggetto, non emerge alcuna apparenza dualistica del soggetto della mente. E, poiché anche questa bodhicitta ultima percepisce direttamente la vacuità, ne consegue l’assenza d’apparenze dualistiche di qualunque tipo. Questo bodhicitta ultima è inoltre considerata come un qualcosa di estremamente chiaro, perché è la mente che completamente percepisca l’oggetto nella sua totalità. Inoltre è denominata l’oggetto dell’ultimo, perché è una mente che percepisce la verità ultima. Ed è ancora designata come inossidabile, perché quando avete raggiunto la prima terra del bodhisattva bhumi, nell’ambito dei dieci livelli del bodhisattva, allorché avete realizzato il primo terreno del bodhisattva, in quel momento svilupperete questa saggezza che direttamente penetra e percepisce la vacuità. Quando raggiungerete questa condizione tanto elevata, allora avrete completamente eliminato gli oggetti della negazione. Anche qualora non si riuscisse ad annullare completamente l’oggetto dell’eliminazione o della negazione, tuttavia, dal momento che per così tanto tempo avete coltivato quel percorso della visione, le macchie ed i difetti semplicemente non potranno manifestarsi, non potranno sorgere. È inoltre denominato costante, perché a questo punto avete ora realizzato la comprensione speciale riguardo alla vacuità; e per realizzare la comprensione speciale, dovete realizzare la calma dimorante. In tal modo si realizza questa condizione in cui si attua un’unione totale della calma dimorante con la comprensione speciale. Ed è a causa della realizzazione della calma dimorante, che la mente non cade nelle distrazioni, non vaga ed è completamente focalizzata sulla vacuità. Poiché è esente dall’eccitamento, libera dalla distrazione mentale, esente dall’ottusità mentale o dal rischio di degenerare, e poiché è completamente focalizzata sull’oggetto, è una condizione chiamata “costante, come una lampada di burro indisturbata dal vento”.

Allora negli Stadi della Meditazione si legge:

Si realizza ciò con la familiarità costante e rispettosa

praticando lo yoga della meditazione della calma dimorante

e della comprensione speciale per un lungo periodo di tempo.

Ed allora cita il Sutra del Chiarimento del Pensiero.

LA SUCCESSIONE DEL CAMMINO

Di conseguenza, per coltivare e sviluppare questa bodhicitta ultima, che è influenzata dalla bodhicitta convenzionale, non è sufficiente aver semplicemente realizzato la vacuità, né che la mente si trovi sotto l’influsso dalla bodhicitta. Per sviluppare un’unione intensa della calma dimorante con la comprensione speciale finalizzati alla vacuità, è importante rendersi conto che si può realizzare una tal condizione d’unione della calma dimorante e della comprensione speciale, focalizzati alla vacuità, solo dopo un lungo periodo di riflessione, d’analisi e di ripetute ricerche. È quindi importante intraprendere una pratica sistematica che in primo luogo sviluppi la calma dimorante ed allora generi la comprensione speciale in rapporto alla vacuità.

In generale queste due qualità, la calma dimorante e la comprensione speciale, sono comuni sia ai Buddisti che ai non-Buddisti. Nel caso dei non-Buddisti, nella loro pratica esistono pure delle pratiche di sviluppo della calma dimorante e della comprensione speciale, ed in questo modo sono in grado di liberarsi da determinati livelli di desideri ed inoltre possono trasferirsi da un certo livello di concentrazione ad altri stadi più elevati attraverso la percezione dei più bassi livelli di concentrazione come disturbati ed afflitti, mentre riconosceranno come pacifici quelli più elevati. Grazie a questa comprensione potranno realizzare i quattro livelli di concentrazione, e così via. Qui, comunque, quando parliamo della pratica Buddista, o piuttosto della pratica Mahayana per realizzare l’illuminazione, intendiamo evidenziare l’importanza d’intraprendere una pratica sistematica finalizzata in primo luogo allo sviluppo della mente della calma dimorante e quindi alla comprensione speciale. Questa pratica congiunta ci porta al conseguimento della loro unione: della calma dimorante con la comprensione speciale. È tramite questo procedimento che si diventa capaci di sviluppare una salda saggezza univoca della comprensione speciale in rapporto alla vacuità.

Allora, come è espresso alla pagina 7, Kamalashila dice:

Gli yogi non possono eliminare le oscurazioni mentali

solamente familiarizzandosi alla sola meditazione della calma dimorante.

Saranno soltanto temporaneamente soppresse

le emozioni disturbanti ed le frustrazioni transitorie.

Senza la luce della saggezza,

il potenziale latente delle emozioni disturbanti

non può essere completamente distrutto

e non sarà quindi possibile la loro completa eliminazione.

Queste argomentazioni spiegano la ragione per la quale dobbiamo sviluppare l’unione della calma dimorante con la comprensione speciale. Come è chiaramente descritto nel testo, sviluppando soltanto la mente della calma dimorante non riusciremo a rimuovere le emozioni affliggenti con i loro semi. Se sviluppate unicamente la mente della calma dimorante, questa potrebbe giovarvi a rilassare la vostra mente, potrebbe rendere la vostra mente più gradevole e più dolce, ma non vi sarà d’aiuto alcuno per ridurre le emozioni affliggenti con i loro semi.

DIFFERENZA FRA I SEMI E LE IMPRONTE DELLE EMOZIONI AFFLIGGENTI

Esiste una differenza fra i semi e le impronte delle emozioni affliggenti. Quando parliamo dei semi delle emozioni affliggenti, ci si riferisce a quei tipi di potenziali che possono venir attivati e produrre ancora delle emozioni affliggenti quando incontrano determinati fattori e condizioni esterne, mentre le impronte delle emozioni affliggenti rappresentano un oscuramento all’illuminazione: anche se incontriamo dei fattori e delle condizioni, esse non potranno generare le emozioni affliggenti, comunque rimangono un ostacolo molto forte a realizzare l’illuminazione. Ne va compreso il punto principale: se sviluppate soltanto la mente della calma dimorante potrete sopprimere e rimuovere alcuni dei livelli più grossolani delle emozioni affliggenti, ma non vi sarà possibile eliminare le emozioni affliggenti ed i loro semi. Potrete annullarle soltanto contando sulla luce della saggezza, la saggezza che realizza la vacuità.

Il Sutra del Chiarimento del Pensiero dice inoltre:

Anche se meditate avvalendovi della concentrazione univoca,

non distruggerete la concezione errata del sé,

e le vostre emozioni affliggenti vi disturberanno ancora.

Ciò è come la meditazione univoca di Udrak.

Soltanto quando si ha provveduto

ad esaminare specificamente la mancanza del sé dei fenomeni,

ed a svolgere le meditazioni in base a quell’analisi,

si otterrà la causa che ci porterà alla liberazione;

Nessuna altra causa può portare alla pace.

Come è già abbastanza evidente da questi stessi versi: se meditate solamente sulla mente della calma dimorante, vi può risultare un giovamento soltanto in termini di riduzione dell’intensità della manifestazione delle emozioni affliggenti, ma, comunque, presto o tardi, queste emozioni affliggenti si ripresenteranno e non potrete sradicarle contando unicamente sulla mente della calma dimorante. Ora, se è questo il caso, qual’è il metodo migliore per rimuovere queste emozioni affliggenti con i loro semi? Ciò è spiegata nel verso:

Quando si è specificamente esaminata la mancanza del sé dei fenomeni,

e le meditazioni sono effettuate in base a quell’analisi,

proprio quella è la causa della liberazione risultante.

IN PRIMO LUOGO REALIZZARE LA MANCANZA DEL SÉ DEI FENOMENI

Il che significa che dovete in primo luogo realizzare la mancanza del sé dei fenomeni, ed allora dovete ripetutamente familiarizzare la vostra mente, vale a dire dovete completamente abituarvi a quella comprensione, a quella realizzazione: è proprio in questo modo che potrete eliminare l’auto-attaccamento al sé, e potrete realizzare la liberazione.

Ora, se vi ponete un’ulteriore domanda: “Esiste qualunque altro percorso, tranne quello della saggezza, che realizza la mancanza del sé, che conduce a realizzare il nirvana?” Allora Kamalashila ribadisce:

Nessuna altra causa può portare alla pace.

La pace qui si riferisce alla liberazione. Non c’è altra causa che può condurre al raggiungimento della liberazione, l’unica causa definita è la realizzazione della mancanza del sé di tutti i fenomeni.

Ci riferiamo ora a pagina 8 degli Stadi della Meditazione, dove si legge:

La mente dello yogi sarà distratta da vari oggetti

se coltiva soltanto la comprensione speciale,

senza meditare sulla mente della calma dimorante.

Sarà instabile come una lampada di burro al vento.

Poiché la chiarezza della consapevolezza primordiale sarà assente,

si dovrebbe coltivare allo stesso modo queste due:

la comprensione speciale e la mente della calma dimorante.

Di conseguenza, il Sutra della Grande e Completa Trascendenza della Sofferenza

dice: “Gli ascoltatori non possono vedere la natura del Buddha,

perché il loro assorbimento univoco è più forte ma la loro saggezza è più debole.”

“I Bodhisattva possono vederlo, ma non chiaramente,

perché la loro saggezza è più salda,

ma la loro concentrazione univoca è più debole.

Mentre i Tathagata possono vedere tutto,

perché possiedono in un grado uguale

la mente della calma dimorante e la comprensione speciale.”

SVILUPPARE AD UN GRADO UGUALE LA CALMA DIMORANTE E LA COMPRENSIONE SPECIALE

In generale, in termini di generazione della comprensione speciale, essa deve essere preceduta dallo sviluppo della mente della calma dimorante. Tuttavia, se in una situazione particolare, pensate di maturare la comprensione speciale in assenza di una mente della calma dimorante, ne conseguirà che la comprensione speciale non risulterà molto salda, perché si rivelerà scarsamente stabile, condizione quest’ultima che si realizza con la meditazione della calma dimorante. Ed a causa di questa mancanza di stabilità, il processo analitico, che si sta realizzando sulla comprensione speciale, non riuscirà tanto penetrante da realizzare esattamente la profondità dell’oggetto, sia che si tratti d’un fenomeno convenzionale, che d’un fenomeno ultimo. Di conseguenza, il testo dà risalto alla necessità di sviluppare ad un livello uguale la calma dimorante e la comprensione speciale. Perciò lo scritto afferma che, nel caso degli Shravaka o degli ascoltatori, essi hanno sviluppato una più forte meditazione univoca, ma non la saggezza, mentre il Bodhisattva possiede una saggezza più salda, ma non la concentrazione univoca a quello stesso grado, mentre i Tathagata possono percepire chiaramente ed intensamente tutto, perché fruiscono ad un grado uguale della calma dimorante e della comprensione speciale.

Non è facile comprendere queste argomentazioni, anche se non vi dovessero sembrare difficili, perché, quando si afferma che i Tathagata possono vedere tutto, in quanto possiedono ad un grado uguale la mente della calma dimorante e la comprensione speciale, ci troviamo di fronte ad un compito non semplice ai fini dell’interpretazione del significato. Forse questo è spiegato dal punto di vista della differenza fra un praticante, che si ritrova nella fase dell’addestramento, ed un Buddha, che ha raggiunto la fase del non più addestramento. Nel caso di un praticante nella fase dell’addestramento, egli deve alternare la sessione di meditazione a quella di post-meditazione, mentre al livello del Buddha, non è più necessario alternare la sessione meditativa a quella di post- meditazione. Il Buddha ha raggiunto una tale condizione, in cui può vedere molto chiaramente tutti i fenomeni, sia convenzionali che ultimi. Pertanto, questo concetto trova forse la sua spiegazione a partire da quel punto di vista. O potete anche riferirvi ad una citazione dall’Uttaratantra di Maitreya, dove dice: “Anche se la verità convenzionale e quella ultima non sono percepite così chiaramente e precisamente quanto sono comprese dal Buddha…

Il testo spiega ora i prerequisiti generali indispensabili per meditare sulla calma dimorante e sulla comprensione speciale:

I prerequisiti preliminari necessari per lo sviluppare

la meditazione della calma dimorante sono:

vivere in un ambiente confacente;

limitare i desideri ed essere soddisfatti;

non essere coinvolti in troppe attività;

mantenere la pura etica morale,

ed eliminare completamente l’attaccamento,

e tutti gli altri tipi di pensieri concettuali;

… e così via.

Nel testo trovate una chiara spiegazione di ciò che s’intende per ambiente confacente. In modo che il praticante, determinato a realizzare la calma dimorante, abbia ben chiaro l’importanza di coltivare queste cause per realizzare la meta.

Il testo, oltre al resto, spiega le cause necessarie per realizzare la comprensione speciale, illustrandone tre cause. E’ meglio che ci fermiamo qui per entrare domani in una spiegazione più dettagliata.

Sarebbe opportuno che stasera troviate una certa disponibilità di tempo per riflettere su questi soggetti, che espongono il processo di generazione della bodhicitta, che ci guidano alla meditazione sull’amorevole gentilezza, sulla compassione e così via. Ciò sarebbe abbastanza utile per quanto affronteremo domani, quando realmente parteciperemo allo sviluppo dei temi della bodhicitta dell’aspirazione con l’espressione dell’impegno, per concludere gli insegnamenti dopo la cerimonia della generazione della bodhicitta dell’impegno.

Colophon

Questa prima bozza d’appunti, a cura di Luciano Villa e Graziella Romania, sui preziosi insegnamenti offerti da Sua Santità il XIV Dalai Lama in occasione del Kalachakra di Graz dal 15 al 17 ottobre 2002, è da ritenersi provvisoria, quindi lacunosa, con possibili errori nonché imperfezioni, anche rilevanti, e non rappresenta affatto una trascrizione letterale delle parole in inglese di Sua Santità il Dalai Lama, ma semplicemente un limitato spunto di riflessione. Un particolare ringraziamento al Ven. Ghesce Tenzin Darghye Rinpoche, del Private Office di Sua Santità il Dalai Lama, organizzatore del Kalachakra di Graz, ed al Ven. Lakdhor dalla cui traduzione in inglese si è provveduto a quella in italiano.

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