Iniziazione al Kalachakra per la Pace nel Mondo Graz 2002
Insegnamenti di Sua Santità il 14° Dalai Lama su: Gli stadi intermedi della Meditazione di Acharya Kamalashila, Le trentasette pratiche del Bodhisattva di Ngulchu Thogme Zangpo, La lampada sul sentiero verso l’illuminazione di Lama Atisha Dipamkarashrijnana.
Appunti, traduzione ed editing del Dott. Luciano Villa e di Graziella Romania nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.
Seconda parte del primo giorno, 15 Ottobre 2002
Sua Santità il Dalai Lama
UNA SOFFERENZA IN PIÙ
Gli esseri umani, a diversità di quanto accade agli animali, sono dotati d’una formidabile capacità di pensiero, di pianificazione, di valutazione e di progettazione a lungo termine. Conseguentemente, i piaceri ed i dolori che proviamo come esseri umani, si rivelano anche come sensazioni molto più intense e dirompenti. E’ perciò possibile che gli esseri umani finiscano per provare una sofferenza in più, un dispiacere ulteriore, dipendente proprio dalle capacità di pensiero che li contraddistingue. Facciamo un esempio. Nel nostro caso, non ci basta, a diversità degli animali, raggiungere una qualche dimensione di felicità provvisoria ed essere capaci d’eliminare delle situazioni di sofferenza contingente. Come dicevo prima, proprio perché noi, esseri umani, abbiamo la capacità di fare progetti a lunga scadenza, inoltrandoci in valutazioni ma anche in congetture, finiamo per stabilire delle separazioni fra noi stessi e gli altri. Basandoci su queste divisioni, operiamo una serie di distinzioni che ci portano ad individuare delle differenziazioni tra nazioni, tra razze e tra religioni. … <!– @page { margin: 2cm } P { margin-bottom: 0.21cm } –>
Ragionando in questo modo, realizziamo una serie infinita di separazioni, giungendo ad elaborare null’altro che delle illazioni nell’ambito dei nostri discorsi, facendoci delle idee sbagliate, a volte, cadendo in un eccesso di aspettative, a volte dubitando troppo.
QUANDO LA NOSTRA INTELLIGENZA RAGIONA DISCRIMINANDO
Così, quando ci basiamo puramente sulla nostra fredda intelligenza e ragionando in modo discriminante, finiamo in preda a molti tipi d’infelicità. Questo lo trovate descritto molto chiaramente nel famoso testo denominato “I quattrocento versi” di Aryadeva, in cui si dice: “Le persone più elevate, e pure quelle eccelse, avvertono la sofferenza mentale, mentre la gente comune percepisce la sofferenza fisica.” Il che significa che coloro che detengono molto potere, ingente ricchezza, non finiscono tanto per essere attanagliati dalla sofferenza fisica, quanto da quella mentale, che avvertono ancor più degli altri. Nel caso invece della gente comune, accade l’opposto. Questi ultimi sono maggiormente tormentati dalla sofferenza fisica, in quanto afflitti da necessità materiali. I loro problemi sono, in primo luogo, di natura contingente: perché non sono in grado di procurarsi vestiti a sufficienza per coprirsi dal freddo, alimenti per sfamarsi e tutta una serie di beni materiali. E’ quindi chiaro che gli esseri umani avvertono una sofferenza molto più intensa, una sofferenza supplementare, causata proprio dalle distorsioni cui s’arriva con un certo modo di pensare.
I PROBLEMI E LE SOFFERENZE CHE INCONTRIAMO SONO IL RISULTATO DELL’ATTEGGIAMENTO MENTALE CON CUI LI AFFRONTIAMO
Come avevo detto prima, la sofferenza fisica può essere alleviata, può presentarsi meno intensa, grazie allo sviluppo materiale, perché ci spalanca la porta a disponibilità tangibili. Tuttavia, non si possono né ridurre né minimizzare, accumulando beni materiali, le sofferenze che incontrate a causa della vostra visione mentale, per la vostra attitudine mentale. Un esempio lampante consiste nel vedere tanta gente abbiente, che potrebbe avere a propria disposizione tutte le possibili risorse materiali, ma che continua a sperimentare tutta una varietà di sofferenze mentali. E’ un fenomeno che, se ci facciamo caso, possiamo tutti quanti osservare.
Diventa pertanto lampante comprendere che i problemi e le sofferenze che incontriamo sono semplicemente un risultato dell’atteggiamento mentale con cui li affrontiamo. Questo tipo di afflizioni si possono minimizzare ed eliminare unicamente cambiando il tipo di prospettiva mentale, di attitudine mentale, e non attraverso risorse materiali all’esterno di noi stessi.
ESISTONO DUE MODI DI PERCEPIRE LA FELICITÀ E LA SOFFERENZA
Ricapitolando questo punto, quando parliamo dell’esperienza della gioia e dell’afflizione, dobbiamo renderci conto che vi sono due modi di percepire la felicità e la sofferenza. Il primo è fortemente connesso alle esperienze tangibili che sperimentiamo coi nostri sensi, mi riferisco a tutte quelle sensazioni piacevoli o dolorose che avvertiamo attraverso le cinque facoltà dei sensi, mentre il secondo rappresenta quelle esperienze di felicità e sofferenza, basate sulla nostra mente o sul nostro atteggiamento mentale. Tra queste due, la felicità e la sofferenza sperimentate con la mente sono molto più forti e più intense di quelle provate attraverso le cinque facoltà sensoriali.
Un chiaro esempio consiste nell’esaminare per un attimo la situazione di chi ha a sua disposizione ogni tipo di risorsa materiale. Senz’altro non dovrà affrontare alcun problema d’ordine contingente né sofferenze fisiche. Ma quando avvertirà che la sua mente non si troverà appagata ed anzi debba soffrire: forse che queste disponibilità d’ordine materiale riusciranno a far tacere i tormenti delle sofferenze che starà provando a livello mentale? D’altra parte, quand’anche si dovesse trovare nella situazione di dover proprio sopportare un certo qual dolore fisico, ma si è tanto forti da riuscire ad accettare mentalmente quella situazione, in quel caso ci saremo posti nella condizione di riuscire a tollerare anche quella pena fisica. Per esempio, facciamo il caso di una persona che si dedica completamente a professare una certa pratica religiosa. Quanto più si trova tesa verso l’obiettivo che sta perseguendo, tanto più sentirà germogliare in se una sensazione di soddisfazione, avvertirà un nuovo slancio, anche se dovesse imbattersi in notevoli difficoltà contingenti mentre porta avanti quella pratica religiosa. Questi ostacoli non lo bloccherebbero affatto. Anzi, invece di trovarli insormontabili, quel praticante giungerebbe ad avvertire quelle difficoltà come delle prove necessarie, magari difficili, ma tutt’altro che insormontabili. Anzi, queste si trasformerebbero, in fonti d’ulteriore appagamento e soddisfazione. Non certo di frustrazione. Quanto più s’impegnerà, tanto più vedrà la sua meta vicina, il che lo inciterebbe a proseguire.
Possiamo fare un’infinità d’esempi in proposito. In questo modo si può essere capaci di vincere le sofferenze fisiche grazie alla prontezza mentale che riesce ad accettare una determinata situazione, proprio perché si è capaci d’intravederne le sue grandi finalità. E di esempi ne potremmo fare veramente tanti in proposito: tutti dimostranti che possiamo aver ragione delle sofferenze fisiche quando siamo tesi verso uno scopo particolarmente importante. In tale caso, anche se dovessimo far fronte a molti problemi fisici, non ci scoraggeremmo affatto. Anzi, giungeremmo al punto di riuscire ad affrontare quei problemi fisici con un senso di piacere, provando una gran gioia, come se ne dovessimo ricevere una ricompensa.
Così, per riassumere questo punto, dalle due esperienze che si realizzano, intendo tra quelle percepite a livello dei sensi e quelle elaborate dalla mente, queste ultime risultano molto più importanti.
ESISTE UN METODO PER RIMUOVERE I PROBLEMI MENTALI
Per quanto riguarda la capacità di gestire i propri problemi mentali, come ho precedentemente detto, dal momento che questi sono puramente il risultato del vostro atteggiamento mentale e della prospettiva mentale in cui li avete inquadrati, ne consegue che essi possono essere minimizzati ed eliminati solo cambiando la vostra visione mentale, la vostra percezione mentale. Di conseguenza, scopriamo che esiste una via, che ci sono gli strumenti ed esiste un metodo per rimuovere i problemi mentali. Ed è, quindi, importante conoscere questi metodi ed i mezzi con cui possiamo minimizzare ed anche eliminare molte di queste afflizioni mentali, di questi problemi mentali. Per poter procedere su questo indirizzo, al fine di poter affrontare la tematica dei mezzi e metodi per rimuovere questi problemi mentali, è importante saper conoscere e riconoscere le buone qualità umane innate.
DIPENDIAMO RECIPROCAMENTE DAGLI ALTRI
Per esempio, la vedo in un certo modo o percepisco in questa maniera: se osservate con attenzione questa società umana, scoprirete che tutti quanti tendiamo a vivere in collettività. Il che significa che noi viviamo in un ambito collettivo e che dipendiamo completamente e reciprocamente gli uni dagli altri. E, fin dal momento in cui veniamo generati, a fin quando diventiamo adulti, fintantoché non siamo in grado di occuparci di noi stessi, dobbiamo dipendere dalla gentilezza degli altri. Perché siamo condizionati dalla nostra stessa struttura biologica, dalla costituzione medesima del nostro corpo.
Quanto più ci sentiamo vicini, tanto più saremo in grado di sviluppare compassione ed attenzione reciproca, l’uno con l’altro, tanto più potremo realizzare la pace e la felicità. Cosicché, è grazie ai benefici derivanti da questi valori umani fondamentali, che possiamo dire che questi stessi valori umani basilari si presentano importanti, diventano necessari, in modo da considerarli come delle qualità indispensabili.
NON È LA STESSA COSA PER ALCUNI ANIMALI
Nel caso delle farfalle o delle tartarughe non sembra intercorrere molta dipendenza fra la madre e la loro prole.
Per esempio, dopo che le farfalle hanno depositato le uova, la loro prole non può venire a contatto coi loro genitori e, nel caso delle tartarughe, queste si limitano a scavare la buca per lasciare le uova per poi dileguarsi. Proprio perché conducono una vita indipendente fin dalla nascita, anche se riusciste a portate la madre vicino alla sua figliolanza, dubito che la sappiano riconoscere, che gli esseri da loro generati possano di conseguenza individuare e rispondere alla loro madre, manifestando un qualsiasi genere di amore e di affetto nei suoi riguardi.
Ciò è forse dovuto alle loro predisposizioni, ad abitudini consolidate dalle vite precedenti, od alla loro struttura fisica. Nel caso dei piccoli delle tartarughe, proprio per le loro abitudini affermate nelle vite passate o per la loro struttura fisica, essi sono in grado di badare da subito a sé stessi. Non appena odono il suono delle onde dell’oceano, si sentono attratti da qel richiamo: in quel momento si muovono gradualmente verso l’acqua e sono già autosufficienti.
Le loro madri, ovviamente, non accorrono ad invitare i piccoli a prendere la direzione del mare e neppure ad insegnar loro a nuotare. Non ci sono proprio. Così, pertanto, finiscono per condurre una vita indipendente. Il che ci impedisce d’osservare dell’affetto fra la prole ed i genitori.
NEL CASO DEGLI ESSERI UMANI
Ora, nel caso degli esseri umani, a causa della nostra struttura fisica, fin dalla nascita siamo già capaci di mostrare un forte amore ed affetto verso i nostri genitori, specialmente verso la nostra madre.
Sto evidenziando questi punti non dal punto di vista religioso, di chi accetta l’esistenza di vita passate o future, ma come una semplice osservazione delle modalità di sopravvivenza e di sviluppo degli esseri umani. Ebbene, è proprio per riuscire a sopravvivere ed a svilupparsi che gli esseri umani devono dipendere completamente dalla maturazione dei valori umani, dall’amore e dalla compassione propria della natura umana.
E nel caso di un bambino, intendo di un essere umano, fin dalla nascita egli dipende dal latte della madre. Quindi, fino a quando non diventa autosufficiente, dipende ancora completamente dalla benevolenza dei suoi genitori, ed anche quando è adulto è condizionato anche allora dalla gentilezza degli altri esseri umani.
Fintanto che avrete una persona a voi vicina, finché sarete in compagnia di qualcuno che potrà occuparsi di voi, vi sentirete più in pace,molto più tranquilli, più a casa.
È, quindi, importante condurre una vita improntata al rispetto degli altri, evitando di danneggiare chicchessia, prodigandosi, anzi, ad aiutare il più possibile il prossimo. Se, infatti, provate questo senso di amore, questa inclinazione all’affetto verso gli altri esseri senzienti, di conseguenza sarete benvoluti e graditi da ognuno ed, al momento della morte, non precipiterete in preda all’ansia, al contrario, non proverete alcun timore, né alcun disturbo mentale.
QUANDO IL SUCCESSO DA’ ALLA TESTA
Tuttavia, una volta diventati adulti, talvolta si fa prepotentemente strada un certo tipo di visione delle cose, che, in determinate circostanze, ci procura delle attese vacue, delle speranze effimere. Acquisiamo informazioni che prima ignoravamo, ci impadroniamo di nuove cognizioni grazie alla nostra intelligenza umana, e, mossi da questo genere di raziocinio, ci lasciamo talvolta andare in congetture, specialmente quando vediamo che le cose ci vanno bene ed abbiamo successo. Allora potremmo pensare: “Posso farmi gioco degli altri, li posso sfruttare, perché detengo questa meravigliosa razionalità e capacità intellettiva, cosicché, nel mio caso, i valori umani fondamentali non sono tanto importanti.”
Finireste così per abbandonarvi a questo genere di vuota speranza. In questo modo sviluppereste un tipo diverso di attitudine e di prospettiva mentale, e , se con questa condotta vi rendereste conto di poter ottenere dei vantaggi, non esitereste a sfruttare e ad abusare degli altri.
LA REALTÀ È BEN DIVERSA.
Comunque le cose stanno in questo modo: se conducete una vita tale da disinteressarvi del benessere degli altri, gradualmente finirete con lo scoprirete che tutto vi diventa ostile. Sia nel caso che vi volgiate a destra, o che spostiate lo sguardo a sinistra, o che vi voltaste indietro o guardaste innanzi a voi: a malapena troverete qualcuno che vi gradisca. Ed a causa di una condotta di vita così negativa, al momento della morte tutti potrebbero rallegrarsi della vostra dipartita. Nel vostro caso, potreste anche sentire improvvisamente il bisogno di lanciare uno sguardo retrospettivo sulle vostre vicende passate, riflettendo sul vostro modo di vivere. E potreste trovarvi ancora più delusi del fatto che, a causa del vostro modo di vivere, nessuno è ora disposto a prendersi cura di voi. È quindi chiaro che, se ignorate questi valori umani fondamentali, allora diventa un’impresa disperata attendersi il raggiungimento d’una autentica felicità o d’una pace duratura. Quando, infine, giunge il momento della dipartita, non avrete nessuno che voglia occuparsi di voi, nessuno che vi ami. Cosicché lascerete questo mondo a mani vuote, con un gran senso di vuoto, uno stato d’animo di grande frustrazione. Un siffatto modo di vivere, che non si preoccupa degli altri esseri senzienti, rappresenta una maniera proprio insensata di condurre l’esistenza.
PERCORRERE LA STESSA VIA DEL SAGGIO
D’altra parte, se, all’opposto, siete capaci di consolidare ed aver sempre chiari e presenti questi valori umani fondamentali, sorretti dalle grandi capacità dell’intelletto e della saggezza umane, allora potrete sviluppare la compassione umana ad una qualità illimitata. Pertanto, se condurrete un siffatto modo di vivere, vi troverete a percorrere la stessa via del saggio ed avrete reso la vostra vita piena di significato.
COMPRENSIONE DEL MESSAGGIO FILOSOFICO E RELIGIOSO
Nella maggior parte delle principali tradizioni religiose viene riservata una grande enfasi all’espressione di queste qualità umane fondamentali, come l’amore, la bontà d’animo e la gentilezza. Quando osserviamo queste differenti tradizioni religiose, ritengo che esse possano essere comprese da due prospettive, secondo due livelli. Il primo punto di vista è attraverso la comprensione della loro visione filosofica, mentre il secondo è, appunto rappresentato dal piano religioso, ovvero del messaggio tramandato da queste differenti tradizioni religiose. Lo scopo di queste filosofie eterogenee, di queste diversificate tradizioni religiose, è rappresentato proprio dall’obiettivo da tradurre in realtà da parte dei praticanti. In tal senso, il traguardo di queste pur diverse tradizioni religiose consiste nel consolidare e coltivare l’amore, la bontà, la pazienza, l’appagamento, l’autodisciplina, la generosità e così via. Perciò il messaggio di tutte queste importanti tradizioni religiose si presenta come un cammino per purificarsi, per trasformare la mente. Tali generi di pratiche, che rappresentano il messaggio essenziale di queste molteplici tradizioni religiose, risultano di grande beneficio se applicate alla nostra vita giornaliera. Comprendendo la filosofia di queste varie tradizioni religiose, ci risultano chiare le ragioni per le quali dovremmo coltivare queste qualità positive.
LE RELIGIONI TEISTICHE E NON TEISTICHE
Penso così, in linea di massima, che queste tradizioni religiose più importanti al mondo possano essere, a buon ragione, raggruppate in due categorie: le religioni teistiche e quelle non teistiche. Nel caso delle religioni teistiche, si crede in un dio creatore. Si tratta d’un concetto che custodisce, infatti, un messaggio molto potente, perché quando credete che questa stessa vita sia generata da un dio creatore, non fate altro che inculcare in voi stessi un senso di intimità, di familiarità col creatore stesso. E quanto più fortemente percepirete questo senso d’intimità col dio creatore, tanto più elevato sarà il vostro interesse a seguire i suoi messaggi, e ad esaudire i suoi desideri ed i suoi precetti. Ed in tal modo si ascende in cielo. Gli altri precetti ed istruzioni del dio creatore si configurano nel correre in aiuto agli altri, per migliorare la loro condizione, per beneficiarli. Di conseguenza, questo genere di forte familiarità col dio creatore, sortisce l’effetto di rinforzare la vostra pratica.
Per esempio, nel caso della pratica buddista, anche se nel non ammettiamo la presenza d’un dio creatore, va da sé che quanto più sarà forte la vostra sensazione di trovarvi vicini al Buddha, tanto più vi sentirete motivati a realizzare le pratiche espresse nei suoi insegnamenti. Così, mediante la comprensione filosofica, si ottiene il rinforzo delle pratiche d’amore e di compassione.
DIFFERENTI FILOSOFIE E RELIGIONI PER DIVERSE DISPOSIZIONI MENTALI
Nell’ambito dell’infinito numero di esseri senzienti, nel caso degli esseri umani, grazie alle nostre speciali qualità intellettive, si sono affermate nella società umana differenti tradizioni religiose. All’interno della collettività ritroviamo delle genti con innumerevoli tipi di disposizioni e di interessi mentali, che hanno dato origine a differenti filosofie, partorite, a loro volta, da eterogenee tradizioni religiose. Come ho precedentemente illustrato, per quanto concerne la nostra condotta giornaliera, le pratiche dell’amore, della compassione, della pazienza e via dicendo, rappresentano i messaggi principali di tutte le tradizioni religiose, il che non fa che unificare, e lo sottolineo, i messaggi fondamentali di tutte le tradizioni religiose. Ma quando si viene a spiegare la ragione per la quale dovremmo sviluppare queste qualità umane fondamentali, possono emergere delle interpretazioni differenti, il che spiega perché ritroviamo delle eterogenee tradizioni filosofiche. La differenziazione di queste filosofie acquista importanza a causa delle differenti disposizioni mentali umane. Per alcuni la filosofia che presuppone l’esistenza di un dio creatore acquista molta efficacia a stimolare i fedeli nella pratica, mentre altri trovano molto più adatta una concezione religiosa non teistica.
È per questo motivo, pertanto, che nel mondo si sono affermate delle differenti tradizioni religiose. Ne discende che, per la medesima motivazione, è importante riuscire a distinguere la tradizione religiosa più adatta alla propria disposizione mentale.
Riguardo alle tradizioni religiose non-teistiche, abbiamo da un lato il Giainismo e, fra le più antiche filosofie indiane, quella Samkya, distinguibile in due correnti: teistica e non-teistica. Quest’ultima non accetta ovviamente il principio d’un dio creatore, il che è condiviso dai buddisti.
LE QUATTRO NOBILI VERITÀ
Riguardo alla filosofia buddista, il Buddha, dopo avere raggiunto l’illuminazione, allorché impresse il primo giro alla ruota del Dharma o della dottrina, diede l’insegnamento delle Quattro Nobili Verità, che sintetizza l’insegnamento fondamentale del Buddha e le caratteristiche più importanti delle sue istruzioni.
Le Quattro Nobili Verità, come sapete, si riferiscono alla verità della sofferenza, alla vera origine della sofferenza, alla sua vera cessazione ed al vero sentiero. Come ho detto in precedenza, per nostra stessa natura, noi tutti desideriamo la felicità e non aspiriamo alla sofferenza. Neppure nel caso in cui ci sentiamo in preda alla sofferenza, non siamo disposti ad accettarla nemmeno al più impercettibile livello, mentre, in termini di realizzazione della felicità, tutti quanti la desideriamo al grado più alto. Così, quando il Buddha ci ha insegnato le Quattro Nobili Verità, egli stava semplicemente parlando di due livelli d’esperienza: la sperimentazione della sofferenza e la realizzazione della felicità. Con questi insegnamenti delle Quattro Nobili Verità, il Buddha stava ribadendo che seppur noi sperimentiamo la sofferenza, tuttavia desideriamo la felicità; aggiungendo che la sofferenza deriva da specifiche cause, come pure la felicità si ottiene inoltre in base a precise condizioni. Quindi, la felicità che desideriamo, quella che vorremmo realizzare, la dovremmo coltivare consolidando e coltivando correttamente le cause ed i fattori che ne sono all’origine. Pure la sofferenza, che non desideriamo, i patimenti da cui vogliamo stare lontani, li possiamo anch’essi eliminare: non pregando, ma riconoscendone le cause ed i fattori da cui scaturiscono, ed eliminandoli.
Quando il Buddha ha insegnato le Quattro Nobili Verità, ha spiegato i due aspetti delle Verità: gli elementi che sono connessi con le categorie delle afflizioni e quelli che sono in rapporto alle qualità della purezza. Le componenti che sono associate alle categorie del dolore sono qui connesse all’identificazione della sofferenza e delle sue cause, mentre le categorie pure si riferiscono al vero sentiero ed alla vera cessazione o nirvana, che si raggiunge o si realizza per mezzo della pratica della sperimentazione del vero cammino.
I DODICI ANELLI DELL’ORIGINE INTERDIPENDENTE
Possiamo acquisire una comprensione dettagliata di queste Quattro Nobili Verità contemplando e riflettendo sull’illustrazione in cinque parti sita all’interno della raffigurazione della ruota della vita, in cui sono chiaramente descritti i dodici passaggi dell’origine dipendente: in altre parole, come la nostra vita impura rientra nel ciclo dell’esistenza messo in moto ed alimentato dall’ignoranza e, quindi, dalle azioni che vieppiù ne scaturiscono. Così, se studiate queste dodici situazioni alla base dell’origine dipendente, potete cercare di apprenderle sia nella sequenza in senso orario come anche, all’opposto, in senso antiorario.
Nel primo caso, i dodici anelli, o connessioni dell’origine dipendente, illustrano che l’ignoranza, la causa radice della nostra nascita e delle nostre esperienze nel samsara, è essenzialmente all’origine di tutti i tipi di emozioni affliggenti, e solo mettendo termine all’ignoranza potremo uscire del samsara. Mentre, nel secondo caso, ovvero procedendo ad osservare la ruota della vita in senso antiorario, viene evidenziato che solo dissolvendo l’ignoranza, le vostre azioni negative termineranno, e grazie a questa determinazione smetterete di lasciare delle impronte negative sulla vostra mente. Quando vi impegnerete, perciò, in questo sforzo tanto gravoso di mettere la parola fine alle emozioni affliggenti, iniziando dall’eliminazione dell’ignoranza, la radice del samsara, potrete gradualmente giungere in primo luogo ad arrestarla e, quindi, progressivamente ad eliminarla completamente. A questo punto, potrete infine realizzare la vera cessazione, in altre parole la condizione in cui abbiamo messo un termine a tutti i tipi di sofferenza e di emozioni affliggenti, il che equivale alla condizione della liberazione.
UN FENOMENO IMPERMANENTE PUÒ DERIVARE SOLO DA UN ALTRO FENOMENO TRANSITORIO
Con questa sorta di spiegazione, il Buddha intendeva rimarcare nei suoi insegnamenti, che la felicità e la sofferenza che avvertite, dipendono soltanto dalle loro cause e da fattori precedenti, il che non si può produrre in assenza di cause o in presenza di cause incongruenti. Ne deriva che un fenomeno impermanente può essere prodotto solo da un altro precedente fenomeno transitorio e non da un fenomeno permanente, inteso come una entità principale, il che non sarebbe compatibile col risultato. E, similmente, quel che sperimentiamo non è il risultato di un dio creatore. Perché il dio creatore è concepito privo di parti e permanente; inoltre, come abbiamo appena affermato, un creatore permanente non può produrre un’esperienza impermanente, o un risultato transitorio.
L’ORIGINE DEI FENOMENI CONDIZIONATI IN RAPPORTO A TRE FATTORI
Negli insegnamenti buddisti si spiega tutto ciò chiaramente, mi riferisco, in particolare ad un testo di Asanga, in cui si parla del sorgere dei fenomeni condizionati in rapporto a tre fattori. Il primo è rappresentato dal fattore immutabile: si tratta d’un costituente che possiede realmente le qualità necessarie per produrre il risultato. Anche il secondo fattore dovrebbe essere impermanente, mentre il terzo fattore dovrebbe anch’esso avere il potenziale necessario e la capacità di produrre quel risultato specifico o particolare. Ne deriva, quindi, che nel buddismo l’esperienza di felicità ed di sofferenza è spiegata dell’origine interdipendente e dalla dipendenza reciproca di tutti i fenomeni.
Partiamo ora dall’inizio degli “Stadi della meditazione” di Acharya Kamalashila, ed iniziamo dal primo verso:
Omaggio a Manjushri il vittorioso.
Brevemente spiegherò gli stadi della meditazione
per coloro che seguono la dottrina dei Sutra Mahayana.
Spiegherò ora brevemente il contesto storico riguardante l’autore di questo volume. Come è descritto nel testo stesso, questo fu composto dal grande maestro Kamalashila, che fu un allievo di Shantarakshita, che ebbe inoltre modo di visitare il Tibet. Sembra che queste tre parti degli Stadi della Meditazione furono composte in Tibet da Kamalashila stesso ed il suo testo che ora stiamo leggendo sono proprio gli “Stadi intermedi della meditazione” o la seconda parte degli “Stadi della meditazione”. Scelgo sempre questa seconda parte degli “Stadi della meditazione”, perché la ritengo molto completa ed include tutti i significati essenziali delle tre fasi della meditazione.
L’AUTENTICITÀ DELL’INSEGNAMENTO
Sembra che questo testo sia stato composto proprio in Tibet. Comunque, all’inizio, annuncia in lingua indiana: “Questo è Bhawanakarma” ed in tibetano: “Gom-rim Bar-pa”. Anche se quest’opera fu davvero scritta in Tibet, simile parola nella lingua indiana, Bhawanakarma, è posta all’inizio proprio secondo la tradizione vigente nei testi tradotti da molti tibetani. Questa espressione della lingua indiana è usata appositamente all’esordio del testo per dare prova dell’autenticità dell’insegnamento, e per indicare, inoltre, che esso trae la sua fonte veritiera dai maestri buddisti indiani e non si tratta d’un lavoro composto a caso da maestri tibetani.
SHANTARAKSHITA, PADMASAMBHAVA E TRISON DETSEN
L’effettiva energia che fece germogliare in Tibet gli insegnamenti del Buddha scaturì dall’incontro di tre grandi maestri: l’abate Shantarakshita, il Guru Acharya Padmasambhava ed il Re tibetano del Dharma Chögyal Trison Detsen. E fu proprio durante la permanenza in Tibet dell’abate Shantarakshita che per la prima volta venne conferita l’ordinazione monastica a sette monaci, ed in effetti questi sette religiosi furono denominati “I sette monaci in prova”. Ed avvenne così che ai tempi di Shantarakshita venne fondato il vero effettivo Vinaya. Shantarakshita ha svolto un ruolo davvero fondamentale, stabilente non soltanto il fondamento della disciplina monastica, ma dando anche il via allo studio autorevole degli insegnamenti del Buddha e dei relativi commentari. Mentre il merito principale attribuibile a Guru Padmasambhava consiste nell’aver controllato e disciplinato le forze non-religiose che stavano generando ostacoli ed ostruzioni per l’agevole diffusione degli insegnamenti del Buddha. Ed il guru Padmasambhava diede inoltre a pochi eletti, compreso il Re del Dharma Trison Detsen, degli insegnamenti tantrici molto segreti.
Possiamo così attribuire a Shantarakshita il merito principale d’aver introdotto stabilmente il Buddha-dharma in Tibet, nonostante che più tardi il Buddismo nel Paese delle Nevi andasse incontro ad un periodo di degenerazione.
Durante la successiva fase d’avanzamento del Buddha-dharma in Tibet, dobbiamo ricordare innanzitutto la visita di Atisha. Egli svolse un ruolo molto importante, non soltanto nella spiegazione di determinati significati di certi testi, ma soprattutto nel rafforzare gli insegnamenti ed il sistema monastico introdotto in Tibet dall’abate Shantarakshita.
LA TRADIZIONE DI NALANDA IN TIBET
Nell’apprendere queste notizie, vi deve apparire molto evidente e chiaro che la tradizione del buddismo che si è radicata in Tibet non è altro che quella di Nalanda. Se leggete dei testi come “La saggezza fondamentale” di Nagarjuna, la Madyamikavatara di Chandrakirti ed i “Quattrocento versi” di Aryadeva, sappiate che si tratta d’importanti scritti ancora oggi studiati nelle principali istituzioni monastiche. Se vi concentrerete nella lettura questi testi vi accorgerete che si tratta di opere composte proprio dai grandi maestri di Nalanda.
In termini di evoluzione storica e di sviluppo del Buddha-dharma, va detto che esso trovò espressione in primo luogo nella lingua Pali e, successivamente, in Sanscritto. È interessante notare che nell’Università monastica di Nalanda veniva svolta la pratica completa di tutte le tradizioni che furono tramandate sia nella tradizione Pali così come in quella Sanscritta. Qui si svolgeva una pratica completa della disciplina monastica. Si trattava di pratiche relative a determinati livelli di concentrazione, che venivano inoltre completate dalle pratiche dei vari livelli degli stadi del sentiero (il percorso profondo e vasto) che è spiegato nei Sutra della Perfezione della Saggezza, nonché pratiche sugli insegnamenti tantrici segreti. E là, nell’università monastica di Nalanda, si era fatto in modo che tutti questi insegnamento fossero disponibili. È assolutamente inequivocabile che tutte queste tradizioni che venivano praticate a Nalanda, furono successivamente conservate e praticate nel Tibet stesso.
Per quanto concerne il periodo in cui furono tradotti i vari testi, in Tibet annoveriamo l’originaria tradizione Nyingmapa, che soprattutto si concentra sugli insegnamenti trasmessi da Shantarakshita, e quindi, l’antica tradizione Kadampa, che segue principalmente gli insegnamenti di Atisha, il quale sembra che nella seconda parte della sua vita abbia studiato nell’Università di Vikramashila, mentre nel suo primo periodo fu inoltre un grande studioso all’Università di Nalanda. Se osservate, inoltre, gli insegnamenti del “Sentiero e del Risultato” del Lam-dre, risalenti al maestro altamente realizzato Virupa, scoprirete che, a sua volta, li ricevette dal gran maestro Neten Chöchon, conosciuto inoltre come il più anziano Dharmapala, il quale fu anch’esso un maestro di Nalanda. Nel caso della tradizione Kagyüpa, questa proviene da Marpa, Milarepa e Dagpo Lhaje, risalendo a Maitripa e specialmente a Naropa. Si dice che Naropa fosse non soltanto un grande maestro di Nalanda, ma anche il guardiano dell’entrata settentrionale di quella famosa università monastica. Ugualmente simile è il caso della nuova tradizione Kadampa: anch’essa trae le sue origini dal monastero di Nalanda. Così, se rivedete e studiate tutte queste quattro principali scuole buddiste tibetane (Sakya, Gelug, Kagyü, Nyingma), troverete che traggono tutte la loro fonte dalla tradizione di Nalanda. E quindi possiamo dire in tutta certezza ed orgoglio che il buddismo che si pratica in Tibet non è altro che la perfetta tradizione del monastero di Nalanda.
E ci sono ulteriori motivi a dimostrazione di queste affermazioni. Quando si viene ad esporre il significato degli stadi molto vasti e profondi del sentiero, i maestri tibetani citano sempre i riferimenti dei grandi maestri indiani, soprattutto da quelli del monastero di Nalanda, ed anche questa consuetudine rappresenta un’ulteriore riprova dell’autenticità di tale insegnamento.
SHANTARAKSHITA
Anche Shantarakshita rappresenta il paradigma del maestro della tradizione di Nalanda. E secondo alcuni dotti indiani, egli visitò il Tibet all’età di 75 anni, rimanendovi per circa altri 20-25 anni, per lasciare il corpo quando aveva intorno a 100 anni. Ma secondo alcuni studiosi tibetani si potrebbe intendere che Shantarakshita sia vissuto per 900 anni. Tuttavia, uno dei miei amici, un esperto indiano, avanzò l’ipotesi che ci fosse un errore nel numero: esso potrebbe essere 90, non 900. In ogni modo, Shantarakshita fu particolarmente benevolo e generoso verso la gente del Tibet. E potete appena immaginare quali sforzi abbia dovuto sostenere e quali difficoltà superare per raggiungere il Tibet, questo grande maestro, ormai in età avanzata. Non c’erano aerei, né treni, né ferrovie, tutt’al più avrebbe potuto montare in sella ad un cavallo ed, in determinati casi, forse cavalcare un asino, affrontando grandi pericoli, come quelli di dover attraversare simili valli abissali. Da tutti questi elementi possiamo renderci conto che fu solo grazie alla compassione di questi grandi maestri che il Buddismo ha potuto giungere e germogliare in Tibet. Ma Shantarakshita non si limitò a questo, prima di lasciare il corpo, fece una profezia: “Il mio allievo, Kamalashila, verrà a visitare il Tibet, inoltre preserverà e renderà chiara la santità degli insegnamento del Buddha.”
KAMALASHILA
Riguardo alla vita di Kamalashila stesso, ne esistono due versioni. Stando ad una, egli visitò il Tibet e fu successivamente conosciuto come il grande Siddhi Padampa Sangye. Mentre, stando ad un’altra, si dice che questo maestro gentile finì per essere successivamente ucciso da dei tibetani che lo colpirono ad un rene. Così questo testo, denominato “Gli stadi intermedi della meditazione”, fu composto da questo grande maestro.
NON BADATE ALLE PAROLE, MA AL SIGNIFICATO
Nel caso dei tibetani, tutti sapete che non conoscono né il Pali, né il Sanscritto. E di massima, il Sanscritto che leggiamo risente molto dell’inflessione tibetana. Ne risulta che il nostro accento non corrisponde a quello Sanscritto. Così, quando proviamo a leggere quest’antica lingua, ne scaturisce un Sanscritto che somiglia più alla cantilena della nostra lingua tibetana, finendo per sembrare realmente la pronuncia d’un tibetano che s’esprime in mongolo.
Così, in termini d’accento, siamo realmente lontani da quello originale, ed ho qui l’opportunità d’ascoltare la recitazione dei testi dei grandi maestri direttamente dall’originale Sanscritto, il che lo trovo realmente molto commovente. Quando sentite le loro belle arie, esse vi ricordano i grandi maestri del passato come Aryadeva, Nagarjuna. Anche se il nostro accento non è conforme, tuttavia noi tibetani ne abbiamo conservato il significato. Perciò, come disse il Buddha: non badate alle parole, ma al significato. In tal modo, penso che sia proficuo l’averne salvaguardato il significato. Pertanto, in questo modo, possiamo dire che i tibetani hanno custodito, anzi preservato, la tradizione di Nalanda, e che la stiamo praticando.
CAUSE E CONDIZIONI
Se, pertanto, leggerete “Gli stadi della meditazione” capirete come il Buddha abbia potuto realizzare una condizione senza difetto e piena di qualità.
Solo grazie a precise cause e condizioni il Buddha poté pervenire a conseguire la condizione contraddistinta dalle qualità assolute, liberandosi da ogni difetto.
E questo processo di generazione delle qualità e dei difetti in rapporto alle cause ed ai fattori che li hanno generati, risulta in sintonia con il modo in cui si svolgono gli eventi. Qualsiasi tipo di fenomeno condizionato che possiamo considerare, sia favorevole che sfavorevole, risulta dalle sue diverse cause e fattori, ma non può svilupparsi da cause e fattori capitati per puro caso. Anzi, deve dipendere da quelle specifiche cause e agenti che hanno la capacità di produrre tali risultati.
Quindi, tutti questi fenomeni condizionati, la cui natura è momentanea, la cui essenza è in continuo cambiamento, devono dipendere da cause e condizioni, che sono anch’esse momentanee e che sono pure transitorie ed in cambiamento. Ed è proprio in questo contesto che il Buddha ha insegnato le Quattro Nobili Verità.
Per esempio, quando il Buddha spiegò la vera sofferenza, egli descrisse le quattro caratteristiche della condizione di vera sofferenza, in altre parole: qualsiasi oggetto che appartiene alla natura della sofferenza è impermanente, permeato di sofferenza, vuoto e mancante del sé.
DUE TIPI D’IMPERMANENZA
Nel momento in cui parliamo d’impermanenza, ne dobbiamo distinguere due tipi: un livello più grossolano ed un altro più sottile. L’impermanenza che è stata insegnata dal Buddha illuminato è soprattutto quella più sottile. Ora, nel caso del livello comune d’impermanenza, ci si riferisce a tutti i tipi di cambiamento, a quei tipi di fenomeni transitori che tutti possiamo direttamente percepire e comprendere. Siamo in grado, ad esempio, di osservare la scomparsa della continuità, siamo capaci di percepire il processo d’invecchiamento delle persone, e così via. Pertanto, tutti questi livelli grossolani di cambiamento che si presentano ad un livello visibile, mostrano chiaramente la presenza sottostante d’un altro livello di variazioni, molto più sottile, perché, in assenza d’un livello sottile dei mutamenti, non sarebbe possibile osservare questi gradi più grossolani di modificazioni. Queste osservazioni stanno quindi ad indicare che questi cambiamenti dipendono in maniera fondamentale dalle loro diversi cause e fattori individuali. È quindi errato pensare che il ruolo svolto dalle cause sia limitato a produrre un risultato, che possa esistere e permanere, e che dobbiamo coltivare una nuova causa per la relativa dissoluzione e scomparsa di quell’oggetto. Non è questo il caso. La causa da cui un fenomeno è prodotto, quella causa stessa diviene la causa per la disintegrazione e la scomparsa di quell’oggetto stesso. Di conseguenza, quando osserviamo il livello più sottile dell’impermanenza in termini di relativi cambiamenti momentanei, dobbiamo realizzare che è la stessa causa che ha prodotto quel fenomeno, è pure responsabile della sua dissoluzione. Il che dimostra chiaramente il significato dell’origine interdipendente a livello dei fenomeni condizionati.
I FENOMENI PERMANENTI NON POSSONO ORIGINARE UN RISULTATO TRANSITORIO
Questi cambiamenti correlati che osserviamo a livelli differenti, dal grado più grossolano a quello più sottile, non rappresentano altro che la legge della natura. Non si tratta d’un qualcosa generato dalla benedizione e dal potere del Buddha, non è un qualcosa partorito dalla forza del karma degli esseri senzienti: è il modo in cui sono le cose, è il modo in cui procedono i fenomeni naturali. Ne consegue che le cause e le condizioni che producono questi fenomeni condizionati, dovrebbero essere impermanenti, mutevoli; i fenomeni permanenti non possono originare un risultato transitorio.
E, come la felicità e la sofferenza, che sperimentiamo, dipendono da cause e condizioni, similmente gli esseri senzienti che provano la felicità, che avvertono la sofferenza, quegli stessi esseri senzienti e le loro stesse esperienze, sono anch’esse transitorie e non permanenti.
CAUSE E CONDIZIONI
Se fate l’esempio di un fenomeno esterno come, ad esempio, un albero, anche in quel caso vi è chiaro che viene generato in rapporto a cause e condizioni.
Similmente accade al nostro corpo fisico: anch’esso è generato dalle relative cause e fattori. Si tratta inoltre d’un processo che siamo tutti in grado di percepire: basta che ci pensiamo per un attimo.
Nel caso della nostra mente interiore, della nostra coscienza profonda, è inoltre chiaro che le esperienze interne dipendono molto dalle loro cause e circostanze, ed all’interno del mondo della mente ci sono tanti tipi differenti di menti che sono inoltre dipendenti dalle loro cause e fattori. Quindi, sia che si tratti d’una qualità mentale positiva o negativa, entrambe dipendono dalle loro diverse cause e fattori. Nel caso dei fattori mentali positivi, come l’amorevole gentilezza, la compassione e così via, anch’esse dipendono dalle loro cause e fattori. Simile è il caso delle condizioni negative della mente come l’odio, la rabbia e tutti quei tipi di emozioni affliggenti che generano l’infelicità nella nostra mente, anch’esse sono dipendenti dalle loro cause e fattori.
RINFORZARE LE CAUSE ED I FATTORI RESPONSABILI DELLO SVILUPPO DELLE QUALITÀ POSITIVE
Osservando, così, le modalità d’interazione delle cause e degli effetti in tutti i reami, ovvero quelle situazioni popolate dagli esseri soggetti alla legge dei fenomeni condizionati, è importante rinforzare le cause ed i fattori che sono responsabili dello sviluppo delle qualità positive, come l’amorevole gentilezza e la compassione. Per esempio, nel caso dell’amorevole gentilezza, se realmente desiderate rinforzare questa qualità, è importante che la vostra mente si familiarizzi con la bontà, chiarendo quali sono le cause ed i fattori responsabili della produzione di questa qualità.
VEDERE I DIFETTI ALLA BASE
Nel caso delle emozioni nocive, come l’odio e così via, è importante vedere i difetti alla base di queste emozioni affliggenti negative. Percependone le negatività, dovremmo distanziarci da queste emozioni affliggenti e non recepirle favorevolmente né intenzionalmente. In questo modo possiamo riuscire a minimizzarle. A partire dalla consapevolezza di questa interazione di cause e di fattori, possiamo riuscire a cambiare la nostra prospettiva mentale.
IDENTIFICARE CORRETTAMENTE LE CAUSE DEI VALORI POSITIVI
Conformemente a quanto messo in risalto negli “Stadi della meditazione”, nel momento in cui s’inizia a coltivare le qualità positive, è importante identificare correttamente e senza fallo le cause ed i fattori che sono responsabili della produzione di questi valori positivi. Si tratta di realizzare questo processo in modo infallibile nei termini della propria essenza, in modo da non incorrere in errori sull’entità o la natura di queste cause e fattori. Inoltre, non è sufficiente aver identificato correttamente l’esatta natura dell’insieme di quelle cause e di quei fattori, occorre aver anche presente la gamma di cause e di elementi che sono necessari per la loro produzione. Non basta poi aver riconosciuto l’identità corretta delle cause e dei fattori, o la loro intera sequenza, ma li si dovrebbe sviluppare sistematicamente, senza interromperne l’ordine.
COLTIVARE UN CAMPO
Per esempio, nel caso ci volessimo cimentare a coltivare un campo, in primo luogo si dovrebbe scegliere il seme corretto, quello appropriato per quel tipo di terreno in funzione del raccolto che vogliamo ottenere. Inoltre dovremmo avere disponibili tutti i fattori e le cause necessarie, come l’acqua, il concime, la temperatura adatta e così via. E, similarmente, perché il raccolto vada a buon fine, si dovrebbe evitare d’interromperne la sequenza. Il che vi comporta di dover conoscere anticipatamente che grado d’umidità, e di temperatura sono necessari per far germogliare il seme, nonché le modalità di coltivazione quando il seme è piantato e, di seguito, quando il germoglio è stato prodotto, e così via.
“STADI DELLA MEDITAZIONE”
Di conseguenza, se chiedete quali sono le giuste cause ed i fattori completi per realizzare l’illuminazione, troverete che queste spiegazioni sono illustrate molto chiaramente negli “Stadi della meditazione”, dove si dice:
“Vajrapani, il Signore dei segreti,
la saggezza trascendentale dell’onniscienza,
trova la sua radice nella compassione,
sorge da una causa:
il pensiero altruistico,
la mente di risveglio di bodhicitta,
e dalla perfezione dei mezzi abili.”
Quest’affermazione indica chiaramente che la compassione è il fondamento, costituisce la radice. Indotti da questa grande compassione dovreste sviluppare la bodhicitta, il desiderio altruistico per realizzare l’illuminazione per tutti gli esseri senzienti. Per ampliare ulteriormente la pratica di bodhicitta, dovreste, inoltre, impegnarvi nella pratica delle sei perfezioni, che si ottiene intraprendendo il cammino congiunto della calma dimorante e della speciale comprensione interiore.
Appena prima della citazione che ho appena riferito, ve n’è un’altra che vorrei leggere:
Se mi chiedete, “Quali sono le cause e le condizioni del frutto finale dell’onniscienza?”
Io, che mi considero al pari d’un cieco, potrei non essere nella posizione di poterlo spiegare,
ma mi servirò delle vere parole del Buddha, come le profferì ai suoi discepoli,
dopo aver raggiunto l’illuminazione.
È molto importante capire questa citazione nel relativo contesto appropriato. Kamalashila, che si definisce “come un uomo cieco”, dice di non trovarsi nella posizione adeguata per spiegare da sé stesso l’insegnamento del Buddha, senza dover ricorrere alle parole dell’Illuminato. Il che, se da un lato riflette un senso di umiltà, essendo un lui un grande praticante, dall’altro, stava ad indicare che conferiva rettamente il suo insegnamento ai discepoli. Non era quindi affatto fuori luogo utilizzare per la sua citazione le parole del Buddha stesso. Quest’affermazione, tuttavia, non dovrebbe implicare che per raggiungere la liberazione e l’onniscienza, abbiamo sempre bisogno di riferirci ad una citazione del Buddha stesso.
DIMOSTRARE CON LOGICA E RAGIONAMENTO
Questo punto è spiegato molto chiaramente leggendo i versi dell’omaggio, che trovate nel famoso testo sull’epistemologia di Dignaga. In essi il saggio descrive come il Buddha ha potuto realizzare una condizione di esperienza valida con la pratica della compassione e così via. Questi versi sono stati ulteriormente spiegati nel secondo capitolo del testo sull’epistemologia composto da Dharmakirti, in cui il concetto intero e le qualità del nirvana e dell’illuminazione sono dimostrati con logica e ragionamento. Tale processo di dimostrazione delle argomentazioni con l’uso della logica e del ragionamento è molto importante, perché in termini di spiegazione di questo concetto ad un non Buddista, non ha alcun senso utilizzare le citazioni dalle parole del Buddha, perché non sarà disposto ad accettare immediatamente una tal indicazione.
È, tuttavia, possibile che, in termini di comprensione di determinate qualità molto sottili del nirvana e dell’illuminazione, possiamo trovarci nella condizione di dovere dipendere da determinati riferimenti. Ma esiste anche il caso in cui ci basiamo inoltre su determinate citazioni attraverso la comprensione e la dimostrazione preliminare delle parole del Maestro, il Buddha, come istruttore valido ed affidabile. Inoltre dobbiamo sviluppare questo intero processo in modo sistematico, cosicché ci risulterà ben chiaro come sono percepiti tutti i fenomeni.
LIVELLI DIFFERENTI DEI FENOMENI
Nell’ambito dei fenomeni, ve ne sono alcuni a livelli differenti. Il livello palese dei fenomeni può essere direttamente percepito dalle nostre facoltà sensoriali. Ne esiste poi un altro piuttosto nascosto che non possiamo direttamente osservare con le nostre facoltà dei sensi. Questo deve essere compreso attraverso l’applicazione del ragionamento e della logica inferenziale, esiste inoltre l’aspetto caratterizzante i fenomeni completamente nascosti, che deve essere afferrato contando sui determinati riferimenti dei grandi Maestri come il Buddha; e la dipendenza da tali citazioni trae ancora origine dall’utilizzo del ragionamento basato sulla logica e sulla sua propria esperienza valida. Per questo motivo il processo di comprensione attraverso la cognizione deduttiva è paragonabile alla situazione in cui si trova un cieco. Non dimenticate, però, che la cognizione deduttiva vi servirà più tardi per dimostrare quell’argomento con la vostra esperienza diretta. In questo modo non esiste necessità alcuna di dover accettare qualcosa soltanto perché è stato insegnata dal Buddha.
FENOMENI AL LIVELLO INTERPRETATIVO E DEL LIVELLO ULTIMO
Specialmente quando seguite il Boddhisattva-pitaka, all’interno degli insegnamenti del Buddha giungerete a distinguere i fenomeni come appartenenti alle categorie del livello interpretativo e del livello ultimo. Il che evidenzia, nell’ambito interpretativo delle esposizioni degli insegnamenti, la necessità d’evitare di accettare il contenuto nella relativa forma letterale. Una volta effettuata la loro analisi razionale, sarete gradualmente pronti a capirli con la percezione diretta. Questo processo di comprensione dei differenti livelli dei fenomeni è inoltre conforme alla tradizione di Nalanda. E se c’è qualcosa che contraddice la logica e la ragione, e lo trovate in contrasto con la vostra esperienza diretta, persino se fa parte degli insegnamenti del Buddha, dovete scartarla, non c’è nessuna necessità per accettarla.
LA PRATICA DELLA COMPASSIONE
L’insegnamento del Buddha è radicato nella pratica della compassione, come è proprio descritto negli “Stadi della meditazione”, dove si dice chiaramente:
Di conseguenza, poiché la compassione è l’unica radice del onniscienza,
dovreste diventare esperti di questa pratica proprio dall’inizio.
La necessità di sviluppare la compassione è ugualmente evidenziata nelle altre maggiori tradizioni religiose al mondo. In generale, noi tutti nutriamo una modesto grado di compassione verso i nostri parenti, genitori, amici e così via, ma se andiamo a verificarne il livello, ci renderemmo conto che è molto basso. Cosa dobbiamo allora fare? Dobbiamo ulteriormente rinforzare ed aumentare questo esiguo grado di compassione che già abbiamo in noi, di modo da fargli raggiungere un livello sufficiente da sviluppare un senso speciale di responsabilità, tale da rivelarsi d’effettivo ausilio per liberare dalla sofferenza tutti gli esseri senzienti che dobbiamo considerare come nostre madri. È in questo modo che avete bisogno di sviluppare una forte compassione verso gli altri esseri senzienti, quella che è conosciuta come grande compassione. Per riuscire a sviluppare la grande compassione è importante, in primo luogo, arrivare a sentire tutti gli esseri senzienti molto vicini a noi stessi, come molto cari al nostro cuore: questo punto lo trovate spiegato chiaramente negli “Stadi della meditazione”. Per sviluppare questo genere di sensibilità alla contiguità verso gli altri esseri senzienti, vi verranno utili due tipi di tecniche di generazione della bodhicitta che trovate illustrate nei testi.
DUE TECNICHE DI GENERAZIONE DELLA BODHICITTA
Si tratta del processo di sviluppare la bodhicitta con la pratica delle sette cause ed un effetto, o sette cause ed istruzioni per un effetto, come pure il processo di scambiare se stessi per il beneficio degli altri esseri senzienti, come viene insegnato nel Bodhicharyavatara e nella “Preziosa ghirlanda” di Nagarjuna. In questo modo dovreste sviluppare la compassione e l’amorevole gentilezza verso tutti gli esseri senzienti senza alcune differenziazione e distinzione. In seconda istanza è importante comprendere che per sviluppare un senso così autentico di compassione è primo di tutto importante identificare chiaramente la sofferenza di cui sono afflitti tutti questi esseri senzienti. Proprio per questo motivo questi tre tipi di sofferenza sono infatti qui spiegati negli “Stadi della meditazione”. E tra queste tre sofferenze (la sofferenza della sofferenza, la sofferenza del cambiamento e la sofferenza condizionata) è quest’ultima che deve essere identificata e riconosciuta chiaramente da parte di chi aspira a realizzare la liberazione. Questo argomento è ulteriormente illustrato con molta chiarezza negli “Stadi della meditazione”, laddove, a pagina 6, si dice:
L’infelicità dominante
è quello stato mentale
generato dal potere delle cause
caratterizzate dalle azioni e dalle emozioni affliggenti.
Ha la natura e le caratteristiche
della disintegrazione momentanea
e pervade tutti gli esseri erranti.
SOFFERENZA OMNIPERVASIVA
Il che sta chiaramente ad indicare che la presenza di questa sofferenza omnipervasiva condizionata funge da base, non solo per tutte le sofferenze cui attualmente andiamo incontro, ma risulta anche da fondamento d’induzione per le sofferenze in avvenire. Questa sofferenza omnipervasiva, come qualunque altro fenomeno condizionato, non solo è contraddistinta dalla natura del continuo cambiamento, ma la cagione di questo momentaneo cambiamento è tale, da non essere altro che l’ignoranza, la causa radice del samsara, la causa radice del ciclo dell’esistenza condizionata. In tal modo la causa è qui riconoscibile nell’ignoranza, nelle azioni contaminate e così via. In questo modo, queste cause e fattori, che producono tali sofferenze, a livello della sofferenza condizionata dominante omnipervasiva, non rappresentano un valore auspicabile, anzi sono un fattore molto fastidioso, molto disturbante e molto negativo.
L’IGNORANZA COME UNA CONDIZIONE INGANNEVOLE DELLA MENTE
Nonostante si rinvengano molte interpretazioni filosofiche differenti quanto al significato dell’ignoranza, è tuttavia sufficiente capire che è qui intesa come una condizione erronea della mente, un’idea sbagliata di realtà. Di conseguenza, fintantoché sarete condizionati o controllati da siffatta ignoranza, l’unica sensazione che sperimenterete sarà solo la sofferenza e niente altro. Finché rimarrete sotto il controllo di un tal genere d’ignoranza, ne sarete per sempre asserviti e vagherete senza scopo all’interno del samsara. E fino quando non sarete capaci di sottrarvi al suo condizionamento e non riuscirete a liberarvene, continuerete ad andare incontro ad eventi sfavorevoli, a situazioni drammatiche, a problemi, in un continuo d’ininterrotta sofferenza.
LA GRANDE COMPASSIONE
Di conseguenza, dovreste sviluppare un desiderio tanto forte da farvi dire:”Quanto sarebbe meraviglioso se tutti questi esseri senzienti fossero liberi da tali sofferenze e dalle loro cause!”. Questa asserzione corrisponde, in effetti, allo sviluppo della grande compassione. Risulta, tuttavia, prioritario, per riuscire a sviluppare questo forte senso di grande compassione, come avevo precedentemente enunciato, essere in grado d’identificare chiaramente in primo luogo la sofferenza. Per riuscire a capirla chiaramente, per giungere a riconoscerla lucidamente, dovreste innanzitutto riuscire a percepire la sofferenza in voi stessi. Se, altrimenti, non avrete raggiunto un pur esigua comprensione della sofferenza di cui siete afflitti, rimane un esercizio puramente verbale parlare della sofferenza che gli altri esseri senzienti stanno sperimentando. Non avrete così la benché minima idea di quanto gli altri esseri senzienti soffrono, a meno che non abbiate provato voi stessi quell’esperienza.
LA SEQUENZA DELLA PRATICA SPIRITUALE
Quindi, in termini di pratica reale, la sequenza della pratica spirituale dovrebbe prevedere che, in primo luogo, dovreste chiaramente riuscire ad identificare la sofferenza in voi stessi, quella all’origine della situazione in cui vi trovate, all’interno del samsara, dopodiché dovreste sviluppare una simile comprensione nei riguardi della sofferenza degli altri esseri senzienti ed a quel punto sprigionare la grande compassione. Pertanto, quando in primo luogo inizierete a riflettere sulla sofferenza di cui siete afflitti, raggiungendo in tal modo una comprensione di tale afflizione, sarete in grado di sviluppare un forte senso di rinuncia nei suoi riguardi. Quando inizierete ad osservare con attenzione la sofferenza degli altri esseri senzienti, allora sarete in grado di sviluppare la grande compassione. Anche se nel testo si spiega in primo luogo come prendersi cura degli altri esseri senzienti, tuttavia, rispetto alla vostra pratica reale, è importante, dapprima, riflettere su questi differenti livelli di sofferenza che voi stessi siete in grado di percepire ed in quella occasione svilupperete la compassione verso gli altri esseri senzienti.
Riguardo al testo “La lampada sul sentiero verso l’illuminazione” di Atisha Dipamkarashrijnana, questo così inizia:
In sanscrito: Bodhipatapradipam.
In tibetano: Jang-chub lam-gyi drön-ma.
I primi due versi si riferiscono all’omaggio ed alla promessa di comporre il testo, mentre i tre versi seguenti parlano dei tre tipi di individui con tre differenti capacità mentali.
Come abbiamo letto negli “Stadi della meditazione” di Kamalashila, affinché si possa realizzare l’illuminazione, è importante coltivare, in misura completa e nella sequenza adeguata, le giuste cause e gli appropriati fattori. In questo testo, inoltre, il medesimo argomento è spiegato illustrando tre tipologie di individui dalle differenti capacità mentali. Il che, nella fase molto iniziale, quando la nostra mente non è ancora addestrata, significa che non dovremmo provare a raggiungere subito le mete più alte, o i più alti percorsi delle pratiche, dovremmo piuttosto limitarci e rallegrarci di professare il livello di base delle pratiche e degli studi. Dopodiché, potremmo passare alla seconda fase, in cui ci cimentiamo nella comprensione del livello più sottile. Solo quando la vostra mente è addestrata, è giunto il momento propizio per fare un tentativo di riflettere sui livelli più sottili degli insegnamenti.
Similmente, nel caso dello sviluppo dei percorsi spirituali, dal momento che tutti questi cammini e visualizzazioni spirituali sono correlati l’uno con l’altro, come è spiegato nei quattro ragionamenti, nelle quattro logiche (la legge della natura, la legge della funzione e così via), è importante essere capaci d’intraprendere una pratica sistematica, poiché tutti questi visualizzazioni e percorsi sono interconnessi. Così se imboccate una pratica sistematica, sarà molto più facile per voi riuscire a sviluppare interamente il percorso. A tal fine, proprio in questo contesto, sono stati identificate tre tipologie di praticanti e seguaci degli stadi del sentiero.
TRE TIPOLOGIE DI PRATICANTI
Quando parliamo di questi tre tipi d’individui, i soggetti con limitate capacità mentali o dalla contenuta capacità mentale, ci si riferisce a quelle persone che si sforzano d’ottenere soltanto i piaceri di questa vita. E nel caso di questi individui limitati, li possiamo persino distinguere in due tipi: una tipologia è costituita dagli individui limitati molto comuni, mentre l’altra è data dai soggetti dalla contenuta capacità mentale, come spiegato in questo particolare testo. Per quanto concerne gli individui limitati molto comuni, ci si riferisce a quelli, il cui lo scopo consiste nel realizzare i piaceri di questa vita per il proprio tornaconto, mentre per i soggetti dalla contenuta capacità mentale, come spiegato in questo testo, ci si riferisce a quegli esseri, a quegli individui, il cui desiderio è di realizzare la più alta rinascita, la più alta condizione nella prossima vita.
GLI INDIVIDUI DALLA CAPACITÀ MENTALE INTERMEDIA
Nel caso degli individui con capacità mentale intermedia, ci si riferisce a quelle persone che sono sature dei piaceri di questo mondo e che hanno sviluppato un forte desiderio d’ottenere la liberazione dalle sofferenze dell’esistenza condizionata. Si tratta di praticanti che percepiscono le emozioni affliggenti e l’auto-afferrarsi al sé come la causa radice del ciclo dell’esistenza, come la causa radice della sofferenza. Il loro scopo è quindi quello di recidere, d’eliminare l’ignoranza che è la radice, la causa del samsara, avvalendosi, come fattore facilitante, della pratica dello sviluppo della calma dimorante e, come fondamento di questa pratica, osservano inoltre la disciplina etica. È, pertanto, in questo modo che la pratica ed il percorso principale adottato dagli individui di capacità intermedie, assume la denominazione di pratica dei tre addestramenti: della calma dimorante, della disciplina etica e della saggezza.
GLI ESSERI DALLE ELEVATE CAPACITÀ MENTALI
Avendo intrapreso tale pratica che contraddistingue gli individui dalle capacità mentali intermedie, ci si può allora gradualmente render conto di quanto tutti gli esseri siano afflitti da differenti livelli di sofferenze. Quando si giunge a riflettere su questi diversi livelli di sofferenza in rapporto alle afflizioni cui sono soggetti gli altri esseri senzienti, in quel momento si può gradualmente sviluppare il desiderio di raggiungere l’illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Formulando questo intento, sviluppiamo anche un’aspirazione per raggiungere l’illuminazione. Un così alto livello della mente è denominato: la mente di un individuo di grande capacità mentale. In questo modo potete chiaramente osservare l’esistenza d’una sequenzialità nella pratica. Ne abbiamo, infatti espresso un ordine, dipendente dalla vostra capacità mentale.
Per questo, riguardo alle pratiche reali degli individui di limitate capacità mentali e di facoltà mentale intermedie, risultano molto più chiare le spiegazioni contenute nelle “Trentasette pratiche del Bodhisattva”, il testo composto da Ngulchu Thogme Zangpo. Il cui primo verso rende omaggio a Avalokiteshvara, mentre il secondo verso esprime la promessa di comporre l’opera ed il terzo verso spiega la preziosità della vita umana, della libertà che abbiamo e della difficoltà di ottenere una vita umana tanto preziosa. Il processo di rendere questa vita umana così preziosa e significativa si realizza attraverso l’ascolto, la riflessione e la meditazione sugli insegnamenti del Buddha: tutti questi punti sono spiegati in successione uno dopo l’altro.
Poiché stavo dando gli insegnamenti sotto forma di conferenza, non c’è necessità alcuna di fare l’offerta del mandala. La quale, a volte, dà in effetti l’impressione che, a meno che non si sia provveduto a preparare un mandala, non ci si trova nelle condizioni di poter dare un insegnamento, Ma non è questo il caso.
Per quelli di voi che sono più determinati e che sono più interessati, di mattina od ogni volta che avete tempo, provate a riflettere ancora sui punti che già ho spiegato e letto nei testi: vi risulterà alquanto utile.
Colophon
Questa prima bozza d’appunti, a cura di Luciano Villa e Graziella Romania, sui preziosi insegnamenti offerti da Sua Santità il XIV Dalai Lama in occasione del Kalachakra di Graz dal 15 al 17 ottobre 2002, è da ritenersi provvisoria, quindi lacunosa, con possibili errori nonché imperfezioni, anche rilevanti, e non rappresenta affatto una trascrizione letterale delle parole in inglese di Sua Santità il Dalai Lama, ma semplicemente un limitato spunto di riflessione. Un particolare ringraziamento al Ven. Ghesce Tenzin Darghye Rinpoche, del Private Office di Sua Santità il Dalai Lama, organizzatore del Kalachakra di Graz, ed al Ven. Lakdhor dalla cui traduzione in inglese si è provveduto a quella in italiano.