OTTAVA parte degli
INSEGNAMENTI DI SUA SANTITA’ IL XIV DALAI LAMA
LA VIA AL SUPERAMENTO DELLE EMOZIONI PERTURBANTI
5 – 12 agosto 2005, Zurigo, Svizzera
Commentario ai testi
Bodhicharyavatara (Introduzione alla via del Bodhisattva) di Shantideva https://www.sangye.it/altro/?p=470
Bhawanakrama (Livello intermedio della meditazione) di Kamalashila
Appunti, traduzione dall’inglese ed editing dell’Ing. Alessandro Tenzin Villa, del Dott. Luciano Villa e di Graziella Romania nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.
SUA SANTITA’ IL XIV DALAI LAMA
BODHICHARYAVATARA
LA PAZIENZA
La pazienza non equivale affatto ad abbassare la testa, accettando un colpo dopo l’altro. Le situazioni inaccettabili non vanno comunque subite. Ma, essere pazienti, equivale a rimanere lucidi, non ottenebrati dalla collera, ad agire secondo ragionevolezza. Perciò, dal momento che la trasformazione interiore non può non avvenire che tramite un’entusiasmante applicazione interiore, impegniamoci ad impedire alla rabbia di venire a galla. Questo atteggiamento rappresenta l’esercizio della pazienza che può essere realizzato in modo abile e saggio. …Arrabbiandoci cadiamo in un eccesso, in un’assurda autopunizione dopo aver già subito il danno da qualcuno. Arrabbiarsi in seguito ad un danno rappresenta un’ulteriore assurda automortificazione, determinata dall’essere in preda ad un gran attaccamento, e molto spesso il nostro atteggiamento d’amorevole gentilezza è contaminato dall’attaccamento.
E’ MEGLIO ESSERE BELLI DENTRO CHE ATTRAENTI SOLO ESTERNAMENTE, PERCHÉ LA BELLEZZA ESTERNA È INGANNEVOLE. LA BELLEZZA INTERIORE È QUELLA CHE VALE.
Gli stati mentali distruttivi della collera hanno la capacità d’abbrutire anche l’espressione del nostro viso. Oltre che subire enormi danni interiori, diventiamo anche sgraziati quando siamo travolti dalla collera.
LA BELLEZZA DEL CORPO È MOLTO MENO IMPORTANTE DELLA BELLEZZA DEL CUORE, DELLA BONTÀ D’ANIMO, QUALITÀ QUESTE INDUBBIAMENTE MOLTO, MOLTO SUPERIORI.
Quando qualcuno desidera sposarsi, solitamente è perché s’è innamorato di qualcuno. Ma, quando col tempo l’aspetto fisico si altera, si finisce per lasciarsi.
E’ della bellezza interiore che bisogna, invece, innamorarsi.
E’ il caso di cercare di prevenire la collera, perché, una volta che è sorta, è difficile da rimuovere. Per riuscirci occorre impegnarsi in un lavoro a monte, mediante un ragionamento che abbracci una serie diversificata di considerazioni.
Innanzitutto chiediamoci: da dove sorge la rabbia?
Essa nasce dai disturbi mentali, dall’infelicità mentale, dalle percezioni mentali negative, la cui causa è riconducibile all’origine interdipendente dei fenomeni. La scontentezza, l’insoddisfazione fanno scaturire la collera, ne sono alla base, alla radice. Dobbiamo riuscire a liberarci di questa scontentezza di fondo.
La logica del ragionamento ci rende chiari i benefici della pazienza e lo stato d’abiezione in cui ci fa precipitare le rabbia. In questo modo comprendiamo che la rabbia rappresenta un derivato della mente sofferente, infelice.
Si tratta d’azioni, quelle sprigionate da un impeto d’ira, che ci procurano ulteriore sofferenza, che si sovrappongono ed incrementano i problemi che, naturalmente e per consuetudine, contraddistinguono il samsara. (10) Che beneficio si ottiene dall’essere scontenti per un qualcosa cui non si può porre rimedio? Perché preoccuparsi nel caso in cui non vi sia nulla da fare?
Non voglio nulla di sgradevole per i miei amici, ma per i miei nemici bramo l’opposto (11).
LE CAUSE PER LA FELICITÀ SI RAGGIUNGONO SOLO QUANDO S’ABBANDONANO QUELLE PER LA SOFFERENZA.
(12)
Le cause della felicità si ottengono molto raramente,
mentre le cause della sofferenza sono molteplici.
Tuttavia, senza sperimentare il dolore,
Non vi sarà desiderio di liberazione,
per cui , o mente, sii forte e determinata.
Senza la sperimentazione e la comprensione della sofferenza non è possibile maturare alcuna rinuncia, perciò è fondamentale mantenere la mente stabile.
Tutte le cose derivano da cause e condizioni, quindi dobbiamo capire che alla loro base vi sono le afflizioni mentali. Possedendo il desiderio di liberarci, allora dobbiamo liberarci dalla causa delle nostre difficoltà mentali.
Non dovrei essere intollerante nei confronti del caldo e del freddo, della pioggia e del vento, della malattia, della prigionia e delle percosse; poiché, se lo fossi, il dolore generato da queste cause mi aumenterebbe (16).
TRASFORMIAMO LE SITUAZIONI AVVERSE NEL SENTIERO DEL DHARMA.
Non sentiamoci scoraggiati, se non siamo ancora riusciti a familiarizzarci con le virtù, perché siamo ancora dominati dalle frustrazioni e dal karma negativo. Dobbiamo perciò far di tutto per superare queste afflizioni, le quali non sorgono direttamente, ma, a loro volta, sono prodotte da cause e condizioni.
Proprio per questo motivo dobbiamo coltivare quella consapevolezza che ci fa convincere che solo praticando la pazienza riusciremo a sconfiggere la rabbia. Non c’è più spazio per la rabbia se coltiviamo le virtù. E, comprendendo la sofferenza degli altri esseri, naturalmente sorgerà in noi un lievitante senso di compassione.
Queste esperienze negative non dipendono tanto da un determinato tipo d’individuo ma dal fatto che quella persona è in preda ad un insieme d’emozioni disturbanti, a loro volta originate da cause e condizioni.
Anche nella vita di tutti i giorni finiamo per subire delle sofferenze senza scopi, completamente inutili, che non ci apportano alcun beneficio.
Dobbiamo, invece, saper valutare per che cosa vale la pena di sforzarsi.
Non c’è nulla che diventi facile se non grazie alla familiarizzazione e all’esercizio.
Perché alcuni mostrano tutta la loro energia alla vista del proprio sangue (17), anzi esprimono ancor più coraggio, mentre altri cadono svenuti?
La mente dei saggi rimane invece chiara e serena anche quando stanno soffrendo (19).
(20)
I guerrieri coraggiosi sono coloro
che, non curandosi di qualsiasi dolore,
distruggono i veri nemici, come l’odio e così via.
I guerrieri ordinari uccidono semplicemente cadaveri.
La causa d’una certa sofferenza, di quella che ad esempio siamo andati ora incontro, dipende dal fatto che ci siamo costruiti artefattamente l’erronea idea della fittizia presenza d’un io intrinseco, d’un io realistico, a se stante, concreto: per questa ragione proviamo una percezione errata.
Se, a questo punto, analizziamo e comprendiamo che, alla base di quella situazione spiacevole, risiedevano una serie infinita di cause, condizioni e circostanze, il contesto diventerà così vasto e poliedrico tanto da far svanire la collera, anzi, questa non sorgerà affatto. Proprio perché, alla conclusione della nostra analisi comprenderemo che la condizione di malessere che proviamo non è dipesa altro che una nostra causa precedente, una nostra azione, risalente anche ad una vita precedente che ha portato a quell’effetto.
(21)
Inoltre, la sofferenza ha anche un suo valore.
A causa del dolore s’eliminano l’orgoglio e l’arroganza,
si prova compassione per coloro
che vagano nell’esistenza ciclica,
si evita il male e si gioisce della pratica della virtù.
LA COMPASSIONE HA IL POTERE DI SQUARCIARE IL DOLORE
Ignoranza, pigrizia, indifferenza, mancanza di connessione con la realtà effettiva e le azioni carmiche precedenti hanno permesso la realizzazione delle condizioni carmiche fondamentali in cui ora ci troviamo, compreso l’invasione del Tibet da parte dei cinesi, con la conseguente perdita della libertà. Ragionando in questo modo, ci rendiamo conto che la condizione di malessere che attualmente proviamo non è altro che il risultato posto da una nostra causa precedente, da una nostra azione negativa, commessa anche in una vita precedente, che ha portato a quel risultato. Proprio nel momento in cui raggiungiamo questa comprensione, ci rendiamo conto che la rabbia è veramente un non senso: così svanisce. Proprio per questo motivo la rabbia viene a cessare quando ci rendiamo conto che siamo stati noi stessi la causa delle nostre azioni negative, quindi della nostra sofferenza.
Anche gli altri esseri animati sono spinti da cause e condizioni; quindi: perché m’arrabbio contro di loro?
(25)
Tutti i mali che vengono sperimentati,
e tutti i vari tipi d’azioni negative si verificano
a causa dell’influenza delle condizioni e circostanze,
e nessuno sorge in modo indipendente ed autonomo.
(26)
Un insieme di circostanze non ha alcuna intenzione
di produrre alcun risultato, né ciò che è stato
da loro prodotto pensa :
“sono stato prodotto da tali circostanze”.
(27)
Ciò che viene considerato “sostanza primordiale”
E ciò che viene designato come il sé
Non pervengono all’esistenza pensando:
“Questo è il modo in cui mi manifesterò”.
(28)
Dato che essi sono non prodotti e non esistenti,
in tal caso perché avrebbero mai il desiderio d’esistere?
Dato che il sé percepisce costantemente gli oggetti,
ne consegue che anch’esso non può mai cessare d’esistere.
(29)
Inoltre, se il sé fosse permanente,
sarebbe chiaramente inattivo, come lo spazio.
Per cui, se anche entrasse in contatto con
Altre condizioni, come potrebbe
La propria natura immutabile esserne influenzata?
La “sostanza primordiale”, per la scuola non Buddista dei Samkya, è un entità permanente, operante come fondamento della causa materiale e della natura di tutti i fenomeni oggettivi.
Mentre il sé o atman (in sanscritto), sempre per i non Buddhisti, è un entità immutabile, permanente, priva di parti ed indipendente. Esiste forse un’entità ulteriore, che, a sua volta, avrebbe dato origine alla sostanza primordiale ed al sé? No, per il Buddismo non esiste, in quanto non n’avrebbe motivo.
(30)
Se quando viene condizionato da particolari azioni,
rimane immutato come in precedenza,
quale influenza avrà mai avuto tale attività su di esso?
Se l’attività è compiuta da qualcos’altro,
quale sarà la connessione tra il Sé e l’azione?
(31)
Per cui, ogni fenomeno dipende da altri fattori,
e nessuno di essi è indipendente ed autonomo.
Avendo compreso ciò è assurdo andare in collera
con fenomeni che sono simili a miraggi.
IL CAMBIAMENTO È UNA CARATTERISTICA COMUNE A TUTTI GLI EVENTI, A LORO VOLTA INDOTTI DA ALTRE AZIONI E COSÌ VIA RISALENDO A RITROSO ALL’INFINITO. NON SIAMO VERAMENTE LIBERI. SE NON CI FOSSERO DELLE CAUSE, IL CICLO DEL DIVENIRE, IL SAMSARA NON POTREBBE ESISTERE.
Altrimenti, in questo ritorno all’indietro, sarebbe possibile distinguere il passaggio dal momento d’accadimento a quello del non accadimento. Ma, non è così. Qualsiasi esperienza non rappresenta che il risultato dell’accumulo di un numero imprecisato, ma determinato, d’azioni precedenti.
Qualsiasi esperienza, è il risultato dell’accumulo d’un numero infinito di cause. I fenomeni non sono oggettivamente stabiliti. Tutto è come un’illusione, in quanto non esistono le cose così come ci appaiono, come ci sembra che esistano, ovvero: immutabili, indipendenti, privi di parti, perenni. Quindi, per il fatto che siamo oscurati dall’ignoranza che si afferra al sé, le cose che percepiamo, in verità sono come illusioni, ma convenzionalmente esistono, tuttavia esse sono prodotte da cause simili ad illusioni.
Il problema che ci riguarda consiste nel tipo di percezione dell’esistenza dei fenomeni. Chi dovrebbe esistere, e che cosa, se le cose sono come illusioni?
INTERVENENDO SULLA CAUSA C’È LA POSSIBILITÀ D’ELIMINARNE L’EFFETTO.
Nella nostra vita quotidiana ci sembra che i fenomeni continuino ad esistere di per sé, quindi, sulla base di questa confusione mentale, continuiamo a creare la nostra sofferenza. Questa scorretta percezione è alla base delle nostre afflizioni. E’ fondamentale intervenire sulla mente distorta, la coscienza che distorce la realtà non può procurarci la felicità. Esaminando l’autenticità della nostra compassione dobbiamo riuscire ad eliminare l’immenso potere detenuto dalle frustrazioni.
Si tratta proprio del nostro nemico, la persona che ho di fronte e che percepisco come antipatica, aggressiva? Di conseguenza, potremmo ragionare nello stesso modo quando proviamo benevolenza verso un amico o un parente, chiedendoci: E’ proprio il mio amico questa persona che trovo tanto gentile e piacevole?
In entrambi i casi non si tratterebbe d’un sentimento vero, genuino, equanime. Perché non proveremmo compassione verso tutti gli esseri indiscriminatamente, ma solo per chi c’è amico.
(33)
Per cui, quando vedo un nemico o anche un nemico
commettere un’azione negativa,
devo riflettere che tali azioni sono causate
da particolari condizioni,
rimanendo in uno stato mentale di serenità.
La vera compassione consiste nel provare effettivamente questi sentimenti anche verso il nostro nemico, verso chi ci sta antipatico, ostile.
Invece, il mio corpo è come un arma puntata verso me stesso, che mi procura sofferenza. Per un senso erroneo del sé, che non ha in realtà esistenza intrinseca, molte persone si uccidono, si fanno del male (35-36).
Da una parte cerchiamo la felicità ma, in realtà, c’indirizziamo verso ciò che crea sofferenza.
LA MIA SOFFERENZA NON DIPENDE DA NIENT’ALTRO CHE DAL MIO COMPORTAMENTO NEGATIVO.
Percepiamo la realtà come qualcosa d’immutabile, percepiamo come piacevoli dei fenomeni transitori, che ci sembrano soddisfare, quando in realtà sono dannosi quanto il veleno. Percepiamo un io che, in effetti, non c’è, e tutto ciò non fa che causare sofferenze.
SAPPIAMO CHE LE COSE CAMBIANO, MA CONTINUIAMO AD AGIRE COME SE NON CAMBIASSERO.
Ci attacchiamo all’impermanenza, all’immutabilità dei fenomeni, quando non lo sono.
(40)
Sarebbe parimenti scorretto arrabbiarsi con quelli
che, por sbagliando talvolta, sono per natura affidabili:
sarebbe come arrabbiarsi con lo spazio
perché permette la presenza delle nuvole.
MEDITIAMO SULLA PAZIENZA
Meditando sulla pazienza possiamo comprendere come sorge la rabbia. Normalmente non operiamo discriminazione alcuna tra chi è arrabbiato e l’azione della rabbia, ma è, invece, fondamentale giungere a capire questa distinzione, a comprendere l’errore che si fa nell’accomunare chi compie l’azione e l’atto in se.
(41)
Se mi arrabbio con chi mi picchia con un bastone,
sebbene in realtà sia il bastone che mi colpisce, in tal caso,
perché anche colui che mi fa del male è a sua volta mosso
dall’odio, è con quest’odio che dovrei effettivamente adirarmi.
L’ANTIDOTO STA NEL COLTIVARE E GENERARE UN SENSO D’AMORE E D’EMPATIA VERSO LA PERSONA, DISTINGUENDOLA DALL’AZIONE.
E’ proprio ragionando in questo modo che possiamo riuscire a ridurre, a diminuire il potere della rabbia.
Se vedo un amico, e perfino un nemico, riflettendo sulla vera natura dei fenomeni, proverò così felicità. Inoltre, poiché in precedenza anch’io sono stato all’origine d’innumerevoli danni (42), giungerò a comprendere che la sofferenza che ora sperimento dipende tutta dal mio karma negativo, dalle azioni negative che ho compiuto in passato.
(47)
Coloro che mi danneggiano sono
spinti dal mio stesso karma negativo.
Ma sono loro che cadranno negli inferni,
per cui sarò stato proprio io a provocare la loro rovina.
(48)
Grazie a loro, posso purificare molte negatività,
accettando pazientemente i danni che mi infliggono.
Per cui, grazie a me, essi precipiteranno
nelle interminabili agonie infernali.
(49)
Per cui, io sto causando loro del danno,
mentre essi sono i miei benefattori.
Quindi, o mente malvagia,
come puoi adirarti con i tuoi nemici?
A partire dall’usuale ed erroneo punto di vista, gli individui incorrono nella sofferenza, spesso senza rendersi conto invece che la profonda sofferenza che sperimentano dipende dal karma negativo posto precedentemente. Se desidero effettivamente vivere lontano da contraddizioni, dovrò giungere al punto di desiderare di mantenere il mio karma praticamente intatto grazie alla pratica della pazienza.
Tutte queste sensazioni che ci creano problemi sono la base per lo sviluppo della pazienza, sono la base per sviluppare pazienza verso coloro che ci fanno soffrire, insultandoci, od infliggendoci sempre più angherie, constatando che tutto quest’attaccamento al corpo è causa d’un immensa sofferenza fisica e di dolore.
Si vediamo un oggetto a noi molto gradito, dopo qualche settimana dall’averlo acquistato, finirà per non sembrarci più un granché.
Abbiamo la tendenza a dire: “mi piace questo, ma quello non mi piace”. Però, le cose cambiano, ed è il nostro stesso modo di percepirle che cambia. Se dal tavolo cadesse a terra un orologio, subito diremmo: “Oh, è caduto il mio orologio”. Quindi, esercita un potere estremamente rilevante questo senso di “io” e di “mio”.
Cerchiamo questo “io”…ma non lo troviamo. Abbiamo la tendenza ad attaccarci alle cose, senza renderci conto che si tratta d’un processo mentale che si fonda su concezioni erronee della realtà. La felicità deriva, invece, dalla nostra capacità di sintonizzarci con la realtà, con quella vera: comprendendola come impermanente e transitoria.
Tuttavia, se non dovessi riuscire a sviluppare compassione, non dovrei, comunque, provare né rabbia od ostilità nei confronti degli altri.
Coloro che fanno del male a se stessi, devono essere oggetto di compassione perché la loro mente, il loro pensiero è distorto, è alterato. Dobbiamo giungere a possedere la facoltà di sviluppare compassione per chi identifichiamo come nemico. Questa è la prova dell’autenticità della nostra compassione.
Quando qualcuno ci fa un torto possiamo reagire in due modi: manifestando una rabbia totale o controllandola, in modo che risulti almeno limitata. Non è il caso di arrabbiarsi con una persona nella cui indole è insita la collera, come non è il caso di arrabbiarsi col fuoco perché brucia.
Se qualcuno ci danneggia, in realtà si sta sintonizzando con il nostro karma. Non dobbiamo prenderscela con le circostanze ma con la base della nostra sofferenza, con le cause di quella circostanza.
Sebbene nessuno voglia soffrire, si continua ad essere attaccati alle cause che portano a ciò.
LA SOFFERENZA PROFONDA CHE SPERIMENTIAMO DIPENDE DAL KARMA NEGATIVO MATURATO PRECEDENTEMENTE.
Da questa prospettiva tutti quanti, attraverso il potere delle azioni carmiche, cadono in preda alla sofferenza.
Dobbiamo riuscire, attraverso la continua purificazione, a rendere il nostro karma sufficientemente intatto perché ci si possa applicare nella pratica della pazienza.
TUTTI COLORO CHE CI CREANO PROBLEMI SONO LA BASE PER LO SVILUPPO DELLA PAZIENZA.
E la pazienza finisce per diventare a sua volta la base nei riguardi di tutti coloro che ci fanno soffrire, che ci insultano, ci infliggono degli altri torti. Mentre qualsiasi attaccamento al corpo è causa di sofferenza fisica e di dolore. La pazienza può essere veramente praticata solo quando troviamo qualcuno che riesce ad irritarci. Solo chi identifichiamo come il nostro nemico è titolato ad insegnarci la pratica della pazienza. Perché non mi comporto, allora, come un servitore verso chi ha il potere d’irritarmi?
Dobbiamo generare la pazienza e tutti i benefici che da essa derivano. Se voglio, posso trovare beneficio nei nemici, però da parte loro non vi è amorevolezza. Quindi, non sono meritevoli del mio onore perché non desiderano che io pratichi la pazienza. Tuttavia, sono proprio i nemici a permettermi di praticare la pazienza. Gli esseri sono come i Buddha, e tutti i Buddha si sono illuminati grazie agli esseri. Facciamo offerte ai Buddha, ma dovremmo fare lo stesso agli esseri, perché sono strettamente necessari per raggiungere quello stadio.
Tuttavia, nessuno uguaglia i Buddha: perfino se fossero offerti i tre mondi (117), questi non basterebbero a rendere omaggio a chi possiede anche solo una piccola porzione delle virtù dei vittoriosi.
(134)
Di fatto, nell’esistenza condizionata dalla sofferenza,
praticare la pazienza diventa la causa
di bellezza, salute e buona reputazione.
La pazienza ci rende migliori ed anche esteticamente attraenti; insomma, si rivela anche foriera di bellezza!
La pazienza è una gran qualità che incrementa in noi la forza d’animo di realizzare le pratiche verso l’illuminazione. E’ dunque indispensabile praticare, coltivare e nutrire pazienza.
Colophon
Questa prima bozza d’appunti, a cura d’Alessandro Tenzin Villa, Luciano Villa e Graziella Romania, sui preziosi insegnamenti che Sua Santità il XIV Dalai Lama conferì dal 5 al 12 agosto 2005 a Zurigo, Svizzera, è da ritenersi provvisoria, quindi lacunosa, con possibili errori nonché imperfezioni, anche rilevanti, e non rappresenta affatto una trascrizione letterale delle parole di Sua Santità il Dalai Lama, tradotte dal tibetano in inglese da Ghesce Dorje ed in italiano da Anna Maria De Pretis, ma semplicemente un limitato spunto di riflessione.