4 Sua Santità il Dalai Lama: Commentario ai “Tre aspetti principali del sentiero” di Lama Tzong Khapa, Bodhgaya India 1981.
La connessione tra i tre sentieri
La spiegazione effettiva del corpo principale del testo si divide in tre parti: le spiegazioni della rinuncia, del bodhichitta, e della visione corretta della vacuità. Questi tre costituiscono fasi graduali di comprensione.
Più forte è la nostra rinuncia delle cosiddette cose buone del samsara, più forte sarà la nostra compassione per gli altri. Nelle stazioni indiane dei treni, ad esempio, vediamo uomini ciechi, persone a cui mancano gli arti, mendicanti eccetera, ed è relativamente facile sviluppare compassione per loro. Ma se non abbiamo rinuncia, quando arriviamo ad esempio in una grande città, allora invece della compassione proviamo invidia per le cose che vediamo oppure siamo orgogliosi per le cose che abbiamo. D’altro canto, se siamo abituati alla rinuncia, con l’idea di come le cosiddette cose buone del samsara siano fondamentalmente prive di significato, allora quando andiamo ad esempio a New York, e vediamo tutte queste persone, il nostro primo pensiero sarà istintivamente di provare compassione per loro.
La rinuncia ha due direzioni. Da un lato, con un atteggiamento simile, disprezziamo le sofferenze del samsara, con nessun interesse in esso, e proviamo disgusto e il desiderio di liberarcene completamente. Dall’altro lato, ammiriamo la liberazione e desideriamo ottenerla. Più forte è questo duplice atteggiamento, più forte sarà il nostro obiettivo di bodhichitta, che in modo simile ha due direzioni, sopra e sotto. Allora, in base a queste, se abbiamo una visione corretta della vacuità, saremo in grado di ottenere la liberazione o l’illuminazione.
La visione corretta è nei termini delle due verità, che provengono dalle quattro nobili verità. Il Buddha, che è la nostra fonte di direzione sicura, insegnò il Dharma con la sua parola. Specificatamente, insegnò le quattro verità e le due verità, che non sono false. Non sono mai false.
Quindi è importante comprenderle e realizzarle. Con il bodhichitta, una comprensione della vacuità ci conduce allo stato onnisciente di un Buddha. Se è soltanto con la rinuncia, allora ci porta alla liberazione. Qui nel testo, la discussione comincia con la rinuncia.
La rinuncia
(3) Siccome l’avere un profondo interesse nei piacevoli frutti dell’oceano dell’esistenza compulsiva, senza rinuncia pura non è un metodo per (raggiungere) la pace (della liberazione) – in effetti, bramando ciò che si trova in situazioni compulsive, gli esseri limitati sono completamente legati – innanzitutto sforzati per la rinuncia.
La frase rinuncia pura è citata qui. La rinuncia deve essere pura nel senso di essere totalmente disinteressata alle glorie o alle cosiddette cose buone del samsara. Se non abbiamo una tale rinuncia pura e siamo totalmente ossessionati da preoccupazioni mondane, non c’è alcun modo di ottenere la liberazione. Se abbiamo desiderio e attaccamento, allora non importa quanto karma positivo potremmo avere, non saremo in grado di troncare la radice della rinascita che si ripete in modo incontrollabile. Pertanto abbiamo bisogno di sviluppare la rinuncia. Come svilupparla?
(4) Familiarizzando la tua mente nel fatto che non c’è tempo da perdere quando una vita di tregue e arricchimenti è così difficile da trovare, abbandona la tua ossessione per le apparenze di questa vita. Pensando continuamente ai problemi della rinascita ricorrente e che (le leggi di) causa ed effetto del comportamento non sono mai fallaci, abbandona la tua ossessione per le apparenze delle (vite) future.
Abbiamo bisogno di pensare alla preziosa rinascita umana che abbiamo con le sue tregue e i suoi arricchimenti, e anche al fatto che la perderemo, poiché è impermanente, e che la morte è inevitabile. In questo modo realizzeremo quanto sia rara l’opportunità che abbiamo ora e come non possiamo permetterci di perdere tempo. Ecco come trasformare il nostro interesse, non riducendolo solo a questa vita.
Per quanto riguarda la morte e l’impermanenza, ci sono vari punti su cui meditare, ad esempio il fatto che la morte sia inevitabile, mentre il momento in cui verrà è totalmente incerto. La morte può avvenire in ogni momento e, ad eccezione del Dharma, nient’altro è di aiuto quando arriva. Se non facciamo qualcosa adesso per le nostre imminenti morti e per le vite future, questo non va bene affatto. Più pensiamo alla morte in questo modo, più diminuiremo la nostra ossessione soltanto con questa vita.
Poi abbiamo bisogno di pensare all’infallibilità delle leggi di causa ed effetto del comportamento, le leggi del karma. Per comprendere causa ed effetto del comportamento in tutti i suoi dettagli è una delle cose più difficili. Ma in una forma semplice, dal bene proviene il bene, dal male proviene il male: il karma è inevitabile. Da azioni costruttive, è certo che ne deriva la felicità. Da azioni distruttive, è certo che la sofferenza avverrà prima o dopo.
Pertanto, se abbiamo le cause per la sofferenza nei nostri continua mentali, come possiamo riposarci contenti e a nostro agio? È come una bomba ad orologeria: è solo questione di tempo, perché sicuramente esploderà. Se non rimuoviamo questa causa, non possiamo mai riposare in pace. Quando pensiamo con attenzione a causa ed effetto del comportamento in questo modo, sviluppiamo il forte desiderio di rimuovere tutte le cause della nostra sofferenza.
In tempi differenti, proviamo la sofferenza della nascita, della morte, della vecchiaia, e della malattia. Non importa quante medicine prendiamo, non possiamo curare la vecchiaia e non possiamo evitare di non essere mai malati. Le sofferenze di nascita, malattia, vecchiaia, e morte hanno le loro fonti nel fatto che abbiamo corpi che subiscono la nascita, la malattia, la vecchiaia e la morte. I nostri corpi sono reti di aggregati macchiati (contaminati). In altre parole, li riceviamo macchiati dal karma e da atteggiamenti ed emozioni disturbanti. Se non ci sbarazziamo della loro causa più profonda, avremo sempre sofferenza.
I nostri corpi sono reti di forze contraddittorie e contrastanti. Considerate ad esempio le forze del caldo e del freddo nel corpo. Se abbiamo la febbre, prendiamo una medicina rinfrescante e, se ne prendiamo troppa, contraiamo un tipo freddo di malattia. Se prendiamo una medicina riscaldante per curarci da questo freddo, e ne prendiamo troppa, allora di nuovo facciamo pendere l’ago della bilancia e abbiamo una malattia del caldo. È soltanto quando abbiamo un equilibrio delle forze calde e fredde nei nostri corpi che, temporaneamente, possiamo dire di essere in salute. Ma questo non dura mai. È molto precario e alla minima scossa, l’equilibrio viene rovesciato. Aryadeva sottolineò questo nel suo Trattato dei Quattrocento Versi (bZhi-brgya-pa, scr. Catuhshataka). Lì spiegò come il corpo sia un vascello di forze opponenti contraddittorie, che si oppongono a vicenda; pertanto, può portare soltanto problemi e sofferenza.
Noi pensiamo che questo corpo sia così bello. Ma abbiamo bisogno di sezionarlo nelle nostre menti ed osservare ciascuna parte separatamente, come ad esempio la testa, oppure un capello con un piccolo bulbo alla base. Osservate un orecchio, guardate un occhio semplicemente da solo, osservate un pezzo di pelle, guardate il cuore, guardate un polmone. Se si trovassero sul tavolo per conto loro, sarebbero tutti disgustosi e proprio non belli. Lo stesso è vero riguardo alle sostanze che provengono da questo corpo – l’urina, le feci, il muco nasale, eccetera. Quando vediamo queste cose per terra quando camminiamo, ci turiamo il naso per proteggerci dalla puzza. Da dove provengono queste sostanze sgradevoli? Non sono nate dalla terra, provengono dai nostri corpi.
Come possono i nostri corpi essere puliti, quando sono soltanto fonti di sporcizia? I nostri corpi provengono dallo sperma e dall’ovulo dei nostri genitori. Se prendessimo queste sostanze, e le mettessimo sul tavolo di fronte a noi, qualunque persona ne sarebbe disgustata. Siamo così attaccati a loro perché diventano la fonte della sostanza fisica dei nostri corpi, eppure di per sé sono nauseanti. Se siamo vissuti per quarant’anni, ad esempio, pensate a tutto il cibo che abbiamo mangiato in quei quaranta lunghi anni da un lato e poi tutte le feci e l’urina prodotta dai nostri corpi dall’altro lato. Come può questo corpo essere pulito se fa un lavoro del genere?
Dobbiamo pertanto abbandonare l’attaccamento per un corpo del genere. Esso proviene dal karma e da emozioni e atteggiamenti disturbanti, che danno soltanto sofferenza. Se esauriamo o eliminiamo il karma e le emozioni disturbanti, non prenderemo mai più aggregati macchiati o soffriremo. Le emozioni e gli atteggiamenti disturbanti provengono da pensieri prevenuti e fraintendimenti, che sorgono tutti dall’inconsapevolezza di considerare le cose come intrinsecamente esistenti. Se comprendiamo come ogni cosa sia priva di una simile esistenza, le nostre emozioni e atteggiamenti disturbanti si dissolvono. Si esauriscono nella sfera della vacuità. È questo, quindi, ciò di cui abbiamo bisogno.
(5) Quando, familiarizzandoti in questo modo, tu non generi mai, nemmeno per un istante, una mente che aspira agli splendori del samsara ricorrente, e sviluppi l’atteggiamento che giorno e notte è sempre profondamente interessato alla liberazione, in quel momento, hai generato la rinuncia.
Pertanto abbiamo bisogno di generare la rinuncia. Poi abbiamo bisogno di un obiettivo di bodhichitta.