14 Sua Santità il Dalai Lama: Insegnamenti sul Lam-rim Chen-mo o Grandi Stadi del Sentiero per l’Illuminazione di Lama Tzong Khapa alla Lehigh University, PA, USA. Traduzione dal tibetano in inglese del Dr. Ghesce Thupten Jinpa e dall’inglese in Italiano del Dr. Luciano Villa nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.
Quinto giorno, Sessione pomeridiana, 14 luglio 2008 alla Lehigh University, Pennsylvania, USA. Prima parte. Affidarsi a fonti definitive. Lo scopo del Buddha nell’insegnare il vuoto. La tradizione Madhyamaka. Le fasi di entrata nella realtà.
Domande per il Dalai Lama
Domanda: “Santità, nella cultura americana, per molte persone è considerato vergognoso o inaccettabile mostrare debolezza, mostrare dolore o mostrarsi bisognosi. Come si può mostrare compassione aiutando qualcuno che non è disposto ad ammettere il proprio dolore o bisogno, chiedendo aiuto?”
Sua Santità: non lo so. Penso sia meglio chiedere ad alcuni esperti. Forse hanno qualche tipo di idee. Non lo so.
Domanda: “Come è possibile mantenere la pratica del non afferrarsi quando si è in preda al dolore per la morte di qualcuno che ami, specialmente quando si tratta di una morte improvvisa, e si è colpiti da un grande shock?”
Sua Santità: Quindi in molti casi come questo, molto dipende dal tipo di visione generale della tua vita. E questo è infatti la situazione in cui avranno davvero un impatto concezioni come la comprensione illusoria della natura della realtà.
Quindi qui penso che sia importante fare una distinzione tra le forme di afferrarsi, se si può usare quella parola: per esempio, quando qualcuno genera una forte compassione di fronte ad un essere senziente sofferente. In quel caso, la persona che sta vivendo questa grande compassione per l’essere senziente sofferente, ha una genuina forma di attaccamento, di messa a focalizzazione: un impegno con l’oggetto di quella compassione. Quindi quel tipo di attaccamento e di impegno e di atteggiamento verso o afferrando quell’oggetto non è una forma distorta di presa. E non è la forma di afferrarsi di cui bisogna liberarsi.
La forma di afferrarsi di cui bisogna liberarsi è una forma di presa che si fonda su una qualche forma di falsificazione dell’oggetto, che implica un elemento di distorsione, come le afflizioni e così via, particolarmente aggrappandosi alla esistenza sostanziale dell’oggetto. Quindi, in alcuni testi, alcuni testi dicono che stati mentali come la compassione e la fede, sono per loro natura qualità virtuose. Quindi, non possono essere simultanei con uno stato d’animo afflitto.
Tuttavia, alcuni altri testi parlano addirittura di compassione afflitta o fede afflitta. Quindi, indipendentemente da ciò che può essere, così per esempio nel nostro caso, coloro che non hanno la realizzazione della vacuità, quando generiamo una forte devozione verso il Buddha, forse è possibile in quella fede, in quella forte devozione che proviamo per il Buddha, potrebbe esserci un elemento di presa sulla sostanziale realtà o esistenza del Buddha. Quindi questa è una forma di devozione afflitta.
Tuttavia, è importante evidenziare che il tipo di attaccamento che si deve evitare sia in realtà l’afferrarsi che è radicato in una qualche forma di falsificazione e percezione distorta. Non è il tipo di attaccamento, di concentrazione o di partecipazione che generano esperienze come la compassione.
Quindi, anche se in modo esperienziale queste due forme di attaccamento possono sembrare uguali, – fenomenologicamente parlando, sono uguali, ma, in termini di qualità generali all’interno della mente, sono piuttosto differenti. In un caso, nel caso della compassione, c’è una base più solida; nel caso di una presa distorta, non esiste una base solida. In modo fenomenologico possono essere esperienze simili, ma i loro ambienti mentali sono molto diversi.
Sembra quindi che ci sia una certa comprensione dell’assenza di un’esistenza indipendente che potrebbe non influire direttamente sulla nostra emozione distruttiva. Ma gradualmente quella comprensione, vedi, modifica gradualmente il nostro intero atteggiamento verso, penso, l’oggetto esterno e l’oggetto interno. Quindi attraverso questa via gradualmente queste emozioni distruttive poi si riducono o almeno cala la loro intensità.
L’emozione positiva e costruttiva è ancora più intensificata. Potrebbero esserci anche differenze basate su individui diversi a seconda della loro costituzione fisica, stati mentali e così via.
Domanda: “Santità, mi sento agitato a vedere ed ascoltare i manifestanti pro Shugden lì fuori. Come posso aiutare me stesso? E inoltre, per favore, risolva questo problema perché molti sono disinformati “.
Sua Santità: Questo non può aiutare. In realtà questo è un problema. Ora, per ultimo, penso, trecentosettanta anni. Quindi, quel problema rimane. Durante il Quinto Dalai Lama, vedi, questo problema è iniziato da allora.
Quindi, in realtà dal 1951 fino all’inizio del 1970, anch’io anch’io sono stato uno degli adoratori di questo spirito. Quindi, in realtà, in precedenza, ero anche uno di loro. Poi intorno nei primi anni ’70 … ovviamente, non mi addentrerò nei dettagli.
In realtà, vedi, ci sono diversi metodi per investigare. E anche leggendo, recitando l’autobiografia di molti grandi lama, del passato, principalmente grandi lama della scuola del cappello giallo. Supponiamo che, se questo Shugden è un qualcosa di veramente affidabile, allora la maggior parte di questi grandi lama dopo il Quinto Dalai Lama, penso, devono essere dei suoi praticanti. Ma questo non è il caso. Quindi ho sviluppato qualche dubbio. Quindi, ho fatto un’indagine approfondita. Quindi mi è diventato chiaro. Così, per esempio, in uno degli scritti del Quinto Dalai Lama, spiega molto esplicitamente la sua posizione di fronte a questo culto ed identifica ciò che è e quali erano le cause e condizioni che diedero origine a questo. E quali sono le funzioni, le funzioni distruttive, di questo particolare spirito. E identifica la condizione da cui è sorto come una forma di falsa aspirazione o di aspirazione distorta. E poi la natura stessa come uno spirito che si manifesta nella forma di un violatore di un impegno. E quindi la funzione che il quinto Dalai Lama identifica come causa di danni sia per la dottrina che per i buddhisti, sia per gli esseri senzienti. Quindi è mia responsabilità morale chiarire qual è la realtà. E se ascoltare o no, interamente fino da parte di ciascun individuo. Quindi fin dall’inizio, ho detto ai tibetani, così come ad alcuni dei nostri amici, questo genere di storie. Ma ascoltare o no il mio consiglio dipende da loro. Accettare una religione o no: è una scelta individuale. Accettare questa religione o quella religione dipende dall’individuo. Ora, in realtà questa non è una religione. Semplicemente è uno spirito da adorare. Quindi un’altra conseguenza, un altro aspetto di questo problema riguarda il buddismo tibetano, come penso che molti di voi hanno già notato: il puro lignaggio della tradizione di Nalanda. Quindi, a causa di alcuni dei tipi di pratica o di comportamento dei tibetani, questa profonda e ricca tradizione alla fine diventa un qualcosa di adorante uno spirito. È molto triste. Poi in secondo luogo, penso che tutti voi sappiate che il mio sforzo è la promozione del non settarismo. In particolare nella tradizione buddista tibetana, sempre incoraggio a ricevere insegnamenti da insegnanti, lama, maestri di tradizioni diverse. Come il Quinto Dalai Lama e molti, molti tipi di grandi lama del passato, vedi, hanno ricevuto insegnamenti di tradizioni diverse. Quindi, nel mio caso, all’inizio, penso, dall’inizio degli anni ’70, o penso dalla fine degli anni ’60, mi esercito in questo. Quindi, ho iniziato a ricevere insegnamenti da Kunu Lama Rinpoche, che era decisamente non settario, come quello sul testo di Shantideva. Kunu Lama Rinpoche ha ricevuto molti, molti insegnamenti da molte tradizioni diverse. Quindi volevo ricevere da lui un insegnamento della tradizione Nyingma. Quindi prima chiesi a Ling Rinpoche, dato che avevo già ricevuto da lui alcuni insegnamenti, quindi, gli dissi, ora voglio ricevere il Gyu sang wey ning po, un tipo di tantra Nyingma, un testo importante. Ma Ling Rinpoche era un po cauto verso questo spirito. Anche se Ling Rinpoche, vedete, non l’ha mai adorato, ma era molto, molto cauto a causa di una storia, di un lama Gelug che ricevette insegnamento dalla tradizione Nyingma, ed era stato spaventato dicendogli: “Allora questo spirito ti distruggerà”, così anche Ling Rinpoche si era un po’ spaventato. Così Ling Rinpoche mi consigliò, “Oh, stai attento. Stai attento.” Mi disse così. Quindi non riuscii a ricevere l’insegnamento da Kunu Lama Rinpoche. Vedete, i praticanti o i seguaci di Shugden, gli adoratori di Shugden, vedete, hanno questo tipo di tradizione: si deve essere molto, molto rigorosi nel proprio tipo di tradizione Gelug. Quindi, in realtà, quel tipo di prospettiva ti priva della libertà di culto e non sei in grado di ricevere altri insegnamenti.
Quindi, nella pratica attuale, limitare una forma di opinione che si sa ti priva la libertà di scegliere è una forma di affermazione della libertà. Perché la doppia negazione è un’affermazione. Quindi è piuttosto complicato, così. Quindi, in ogni caso, questa è la seconda ragione. Quindi la terza motivazione: ovviamente a partire dal Quinto Dalai Lama e dal Tredicesimo Dalai Lama erano molto, molto critici verso questo tipo di spirito. Quindi, logicamente, dal momento che sono ritenuto la reincarnazione del Quinto Dalai Lama e del Tredicesimo Dalai Lama, quindi devo seguire la loro linea.
Penso, per dimostrarmi di essere una vera reincarnazione. Comunque, queste persone, vedete, loro davvero penso che adorano questo spirito, quindi va bene, è loro diritto, nessun problema. Solo la mia preoccupazione in Germania, ancora una volta, ho visto un gruppo di seguaci di Shugden. Loro, credo, gridavano per almeno tre o quattro ore. Quindi alla fine ho sentito una sorta di preoccupazione per la loro gola. Troppe urla, urla, urla, urla.
Domanda: “Santità, quale singolo atto ciascuno di noi può fare per aiutare la popolazione del Tibet nel lungo periodo e nel breve periodo?”
Sua Santità: Ora penso che è una cosa importante. Purtroppo, dal momento che la crisi del XII marzo è avvenuta, a causa della propaganda del governo cinese, molti cinesi inconsapevoli ora pensano che i tibetani sono anti-cinesi. Quindi c’è troppa emozione. Nella mia ultima visita in America, si sono avute effettivamente alcune dimostrazioni cinesi, quindi, alla fine, ho voluto incontrarne alcune. Poi penso a sette di loro che ho incontrato. Troppa emozione. Tranne due persone, vedi, ascoltavano tranquillamente il mio tipo di spiegazione. Ma il resto di loro, no. Nessun interesse ad ascoltare, vedi, la mia spiegazione. Troppa emozione. Così. A quel tempo ho anche suggerito che era giunto il momento di creare buoni gruppi di amicizia. Tibetani e cinesi Han, ovunque vivano nella loro comunità, istituiscono un gruppo di amicizia per farsi conoscere l’un l’altro in modo che quando c’è qualche problema, vedi, allora possono discutere. Possono scambiarsi le opinioni. Altrimenti, vedi, di solito non c’è nessuna comunicazione, rimani isolato, poi succede qualcosa, poi c’è troppa emozione. Così puoi aiutare. Ovunque ci siano tibetani e cinesi Han, aiutateli a creare una sorta di gruppo di amicizia. E puoi anche unirti. Vedi, con una sorta di motivazione sincera. Dopotutto, il problema tibetano deve risolversi tra cinesi e tibetani. E tra nessun altro. Sempre, vedete, come dico ai miei amici cinesi ed anche ai miei sostenitori occidentali: tra le due mani, la mano destra è più importante. Quindi questa mano destra si estende al governo cinese. E, fintanto che questa mano destra rimane vuota, quindi logicamente, ci sono persone che sono disposte ad aiutarci, che mostrano davvero preoccupazione per noi. Quindi, naturalmente, la nostra mano sinistra li ha accettati. Non appena la mano destra ottiene una specie di risultato, poi la mano sinistra si ritirerà e saluterà. Quindi così. Quindi, tra i fratelli e le sorelle cinesi, una piena consapevolezza del problema tibetano è molto, molto essenziale. Quindi, ogni volta che avete qualche opportunità, parlate della cultura tibetana, della lingua tibetana, della spiritualità tibetana. È utile. Inoltre, a volte penso sia utile rifarsi alla storia. Visione tibetana. Visione cinese. E anche tra i cinesi, ci sono diversi punti di vista sulla storia passata. Non tutti sono d’accordo sul punto di vista ufficiale cinese, sulla versione ufficiale. Quindi, è molto importante per sviluppare del realismo, per portare un approccio realistico: la piena conoscenza della realtà è molto essenziale. Quindi, a tale riguardo, penso che molti di voi, vedete, possano essere d’aiuto.
Domanda: “Vostra Santità, per un principiante sul sentiero, che sta ancora facendo solo piccoli passi, avete qualche parola per aiutarmi a stabilire una pratica quotidiana significativa che mi porterà ad una maggiore consapevolezza e comprensione?”
Santità: Penso, leggi di più. Oggi molti testi sono disponibili nelle traduzioni in inglese, anche in altre lingue, come il francese od il tedesco, penso lo spagnolo, e ovviamente il cinese, anche se penso meno dell’inglese, non è vero? Penso che le nuove traduzione, penso siano molto di più in inglese. Quindi, in ogni caso, leggi di più. Ogni giorno, almeno un’ora o mezz’ora rifletti sulla tua interiorità e contempla i punti che hai appreso leggendo. E più esamini, più esamini, più indaghi. E fai un qualche tipo di paragone: cosa dice il testo e quale è il tuo modo di pensare ed il modo di vivere abituali. Confronta. Questo è il metodo. Penso che sia meglio di mattino, perché la tua mente è fresca. Forse dopo colazione è ancora meglio. Almeno per me è così. Vedi, prima di colazione sono ancora affamato, quindi a volte anche meditare, metà mente va allo stomaco. Così così. Quindi è così. Quindi assumi questo tipo di approccio: studiando e poi cercando di prendere quello che hai capito come base della tua contemplazione, trascorrendo un po’ di tempo in un modo più formale. Questo è un tipo di combinazione di comprensione, studio e pratica meditativa. Quindi, in un certo senso, quel tipo di approccio diventerà una combinazione dell’approccio all’apprendimento, alla riflessione critica ed alla meditazione.
Basarsi sulle Fonti Definitive.
Quindi stavamo parlando di tornare al testo: stavamo parlando della necessità di differenziare tra ciò che è un sutra definitivo e ciò che è un sutra non definitivo. E ho sottolineato che anche all’interno dei sutra del Buddha ci sono diversi criteri che spiegano ciò che costituisce un sutra definitivo e ciò che costituisce un sutra non definitivo. Per esempio nel Sutra Sandhinirmochana (che svela l’intento del Buddha) c’era un’interpretazione spiegata, un criterio per determinare questo. Allo stesso modo troviamo anche un altro sutra, il Sutra Akshyamatinirdesa. In questo, Buddha presenta un altro criterio per determinare ciò che costituisce il definitivo e ciò che costituisce il non definitivo. Ciò che questo suggerisce è che, se dovessimo basarci solo sul sutra, solo sulle Scritture, per determinare ciò che è definitivo e ciò che è non definitivo, allora sorge la domanda: su quale sutra basarci? E per dimostrare che il sutra è definitivo, allora avresti bisogno di un altro sutra per stabilirlo, e così via. Quindi il processo diventerebbe infinito. Quindi, quindi e naturalmente, se il Buddha dovesse essere vivo oggi, possiamo tornare da lui e dire: “Puoi dirci per favore che quale di questi è davvero il vero?” Ma, ovviamente, non abbiamo questa possibilità. Quindi, l’unico modo in cui possiamo determinare ciò che è definitivo e ciò che non è definitivo, è, in realtà, applicando un’analisi critica. Ed è anche la ragione per cui maestri come Nagarjuna compongono i grandi trattati, come le sei raccolte del suo corpus analitico. E in effetti l’espressione, il nome collettivo dato a quei sei lavori, che è Rigs Tshogs (Collezione analitica o Corpus analitico) è davvero bello perché sottolinea il ruolo della ragione e dell’analisi critica. Quindi lo stesso Buddha afferma in un sutra: “O Monaci e sapienti non accettate le mie parole solo per riverenza o perché lo dico, ma proprio come l’orafo esaminerebbe la qualità dell’oro sottoponendolo ad un processo rigoroso, allo stesso modo, quindi dovresti verificare le mie parole e su quella base della tua comprensione dovresti accettare la loro validità.”
Quindi ciò che il Buddha sta sottolineando è che non si dovrebbero accettare le scritture dei sutra sulla base della loro valore esteriore, ma piuttosto ci si dovrebbe riferire alla propria comprensione, e sulla base di tale comprensione, si dovrebbe accettare la loro validità.
Lo Scopo del Buddha d’insegnare la vacuità.
Comprendere il modo in cui viene presentato l’insegnamento sul non-sé e la vacuità qui, una cosa che è molto utile è studiare la Saggezza Fondamentale di Nagarjuna sulla Via di Mezzo https://www.sangye.it/altro/?p=9194. In particolare nel capitolo 24, in cui, in risposta alle obiezioni sollevate dagli essenzialisti buddisti (che hanno addebitato alla posizione di Nagarjuna di essere una forma di nichilismo, un modo di implicare il rifiuto di tutta la legge di causa ed effetto e così via) Nagarjuna apre la sua confutazione di queste obiezioni affermando che: “La ragione per cui mi stai prendendo di mira con tutte queste accuse nichiliste è perché non sei riuscito a capire lo scopo dell’insegnamento sulla vacuità, che cos’è la vacuità. Hai fallito nel comprendere la vacuità stessa, e anche il significato del termine vacuità.” Quindi penso che questo sia un punto molto significativo che Nagarjuna sta sollevando.
Così spiegando qual è lo scopo dell’insegnamento della vacuità, Nagarjuna chiarisce che lo scopo dell’insegnamento della vacuità è quello di aiutare ad eliminare tutte le percezioni distorte, gli stati mentali distorti.
E, in generale, tutte le scuole buddiste condividono il fatto che l’afferrarsi al sè è una forma di distorsione fondamentale. E, così, sebbene tutte le scuole buddiste condividano questo, tuttavia, il modo in cui la comprensione del non-sé è caratterizzata ha diverse implicazioni. Per esempio, alcuni tipi di scuole buddiste comprendono il non-sé, o anatman, in termini di assenza di una persona sostanzialmente reale, esistente: una persona che possiede una realtà sostanziale, autosufficiente. E sulla base di ciò, si coltiva la saggezza realizzando quel grado di non-sé. Anche se questa realizzazione avrà sicuramente un impatto sulla riduzione dell’afferrarsi al sè (almeno ai livelli grossolani di afferrarsi al proprio senso del sé) comunque, perché non si riferisce all’aggrapparsi alle basi del sé, che sono gli aggregati, quindi quindi rimane spazio per afferrarsi, per l’attaccamento.
Perché come spiegato prima, quando hai attaccamento per le basi del sé, gli aggregati, sorge quindi il senso di possesso di questi aggregati come se fossero propri. E quando hai quel tipo di ‘mio’, nozione di ‘mio’, con l’afferrarsi, poi naturalmente sorge anche l’attaccamento.
Quindi di solito faccio notare la differenza, la differenza qualitativa, tra i modi in cui ci relazioniamo agli oggetti e qualcosa che troviamo attraente. Quindi, prima di acquistare quell’oggetto, quando viene visualizzato nel negozio, potresti sentirti attaccato ad esso, ma la qualità di tale attaccamento è molto diversa quando hai acquistato quell’oggetto, e ora l’hai etichettato come “tuo”, ed inizi a relazionarti con quell’oggetto come “tuo”. E, da quel momento in poi, il grado con cui ti senti attaccato ed il modo in cui quell’attaccamento è legato alla tua identità e al tuo possesso è molto diverso.
Sebbene possa essere lo stesso oggetto, ma la qualità dell’attaccamento che hai verso quell’oggetto è molto diversa. Quindi questo dimostra che, finché c’è una base per identificare qualcosa come “mio” con una presa, allora ovviamente sorge l’attaccamento al sé. Quindi la realizzazione del non-sé solo in relazione alla persona come priva di esistenza sostanziale autosufficiente non è adeguata.
Quindi, negli insegnamenti buddhisti troviamo non solo la nozione di non-sé di persona, ma anche il non-sé dei fenomeni: la mancanza del sé dei fenomeni. E qui all’interno delle scuole che presentano questo, c’è una scuola, per esempio la Scuola della Solo Mente, dove la mancanza del sé dei fenomeni è compresa in termini di assenza di dualità soggetto / oggetto. E qui significa che, quando ci relazioniamo con gli oggetti, e vediamo quell’oggetto come il vero referente del termine che applichiamo a questo oggetto, agiamo come se questo particolare oggetto esistesse come referente di quel termine, sapete, in qualche modo oggettivamente, per mezzo delle sue proprie caratteristiche.
Quindi, smantellando la solidità di questa realtà esterna e meditando su questo, è possibile che l’attaccamento alle cose esterne possa ridursi, perché stai smantellando la nozione di un oggetto solido che è indipendente, è là fuori. E una volta che lo fai, ovviamente avrà un effetto sulla tua stessa presa su questi oggetti. La presa sarà ridotta.
Tuttavia, fintanto che tale analisi non viene applicata ai propri stati interiori (come sensazioni, sentimenti e stati mentali), allora ci sarà ancora un po’ di spazio, di base, per l’attaccamento. Oppure potresti non afferrare così chiaramente gli oggetti esterni, ma afferrerai i tuoi stati interni, le tue sensazioni, i tuoi sentimenti e così via, in particolare in relazione alle sensazioni e così via.
Quindi, quindi, troviamo l’approccio Madhyamaka, l’approccio della Scuola della Via di Mezzo in cui, non solo gli oggetti materiali esterni ma attraverso l’intero spettro dei fenomeni, l’idea della realtà sostanziale è negata.
Quindi, la presentazione è fatta dell’assenza della vera esistenza di tutti i fenomeni, sia interni che esterni. E all’interno di questa scuola della Via di mezzo, ci sono due principali comprensioni della vacuità. Una che presuppone ancora qualche nozione di obiettività alle cose, e qui è accettata una nozione di natura intrinseca, per esempio, il Madhyamaka Svatantrika. I quali, sebbene accettino la nozione di vacuità, pensano che, sebbene i fenomeni esistano in relazione alla nostra percezione, tuttavia esistono in un modo di essere che può apparire alla mente, una mente non distorta. E così questo tipo di nozione suppone, presuppone, che ci sia una specie di natura oggettiva delle cose. Ed ora, al contrario, gli altri Madhyamaka rifiutano, anche a livello convenzionale, questa nozione di realtà oggettiva.
Quindi il problema con il precedente punto di vista di Madhyamaka, è che, anche in quel caso, c’è ancora qualche base per afferrarsi, perché c’è un grado di realtà oggettiva che viene mantenuta. Quindi, c’è una base su cui aggrapparsi, c’è una base su cui attaccarsi. E qui Nagarjuna nei Sessanta Versi o le Sessanta Stanze sul Ragionamento (Yuktisastika) https://www.sangye.it/altro/?p=1073 dice che “In una mente che ancora tiene un locus (una sua solidità od esistenza inerente), non può forse accadere che i veleni mentali sorgano in essa?”
Quindi, il secondo gruppo dei Madhyamaka, i Maestri della Via di Mezzo, respingono la nozione di esistenza oggettiva, inerente, anche a livello convenzionale. Quindi, in questo modo smantellano qualsiasi base per l’oggettivazione. Quindi non c’è più terreno. Non è rimasta alcuna base. Non è rimasto alcun oggetto che possa essere afferrato od oggettivato. Quindi, se confronti tutte queste diverse spiegazioni dell’insegnamento sul non-sé e rifletti criticamente su di esse, allora puoi vedere che progressivamente portano a questa sottile comprensione dove, in ultima analisi, nulla deve essere lasciato come un terreno su cui aggrapparsi, su cui attaccarsi.
E, in un certo modo, vediamo una specie di parallelo, una specie di somiglianza col mondo quantico. Prima, nel modello classico della fisica, c’era l’assunzione di oggetti come possessori di realtà autodefinite. Tuttavia, alla luce delle scoperte quantistiche, sempre più spesso quel tipo di modello classico di supposizione dell’obiettività sta diventando difficile da mantenersi. E, quindi, c’è la comprensione che anche la nozione di realtà ha bisogno di incorporare una certa prospettiva della percezione, qualche ruolo della percezione. Tuttavia, nel mondo dei quanti, ho notato che, a causa di questa difficoltà di radicare la realtà delle cose in modo obiettivo, stanno anche trovando molto difficile persino articolare la realtà.
Così nella Madhyamaka, quando i Madhyamaka Prasangika dicono che non c’è un fondamento oggettivo od una base per la realtà – che tutti i fenomeni sono originati in modo dipendente e tutti i fenomeni esistono … sono reali solo in termini linguistici o di designazione – non dicono che tutto scorra, che nulla esiste. Non è che tu possa immaginare qualcosa e questo diventa reale.
Ed è qui che sento che la fisica quantistica sta trovando difficoltà nel cercare di incorporare le intuizioni, ma allo stesso tempo di mantenere la nozione di realtà.
E quindi anche per i Madhayamaka, i filosofi della Via di Mezzo, il punto cruciale della sfida è in realtà come mantenere quella Via di Mezzo, l’equilibrio, pur respingendo totalmente ogni nozione di realtà oggettiva, intrinseca, ma allo stesso tempo secondo una realtà solida alle cose.
E mantenere quella Via di Mezzo è davvero la sfida.
Quindi, se esaminate tutte le varie spiegazioni dell’insegnamento sul non-sé che abbiamo delineato, quando le esaminate criticamente le precedenti, in qualche modo sentite che c’è un qualcosa di non completo, è un qualcosa che manca, in qualche modo si sente che non sembra del tutto giusto.
E poi, progressivamente, mentre andate avanti, culminate nella comprensione della Madhayamaka Prasangika dove è respinta la nozione d’esistenza intrinseca, lo sapete, interamente.
Quindi, l’affermazione che tutti i fenomeni sono privi di esistenza inerente, e poi quella realizzazione, quel punto di vista, arriveremo a riconoscere che non c’è esistenza inerente: questo è completo. Questo è definitivo. Qui non c’è alcuna contraddizione.
La Tradizione Madhyamaka
Tsongkhapa spiega storicamente le varie interpretazioni degli insegnamenti di Nagarjuna che si sono evoluti in India. Così, all’interno della tradizione Madhyamaka nel contesto indiano, si è evoluto il discepolo di Nagarjuna, il discepolo diretto: Aryadeva. E i discepoli e gli interpreti di commentari su Nagarjuna includono Buddhapalita. E quelli che seguono la lettura di Buddhapalita includono Chandrakirti e Shantideva.
Si è poi evoluta un’altra linea di interpretazione proveniente da Nagarjuna ed Aryadeva, derivante da Bhavaviveka. E da Bhavaviveka, Jnanagarbha e Shantarakshita, e dal suo allievo Kamalashila.
Quindi ci sono due filoni principali di interpretazione degli scritti di Nagarjuna.
E, all’interno del gruppo che viene da Bhavaviveka, c’erano di nuovo due suddivisioni: una che accetta la nozione di realtà esterna e un’altra che rifiuta la realtà esterna ed è più in linea col punto di vista della Scuola della Sola Mente. Quindi Bhavaviveka stesso e Jnanagarbha appartengono al primo gruppo.
E Shantarakshita e Kamalashila assumono più un punto di vista del tipo della Solo Mente.
In questo testo Tsongkhapa presenta principalmente, il punto di vista di Chandrakirti, il punto di vista che rifiuta la nozione di esistenza intrinseca anche a un livello convenzionale.
Nel caso della tradizione tibetana, sia la prima scuola di traduzioni Nyingma, sia l’insegnamento della Mahamudra, sia gli insegnamenti del Grande Sigillo della scuola Kagyü, sia gli insegnamenti della Scuola Sakya sull’unione di chiarezza e vacuità, sia quelli della tradizione Gelug, tutte queste quattro scuole principali presentano realmente la loro visione della comprensione della vacuità dal punto di vista della tradizione dei Prasangika, il punto di vista dei Prasangika.
Quindi, all’interno della tradizione tibetana, abbiamo il punto di vista di Shendong che sostiene l’insegnamento della Grande Via di Mezzo. E, all’interno di quella scuola, ci sono alcuni maestri che sostengono che le interpretazioni di Nagarjuna presentate o proposte da Buddhapalita e Chandrakirti sono inaccettabili. In effetti presentano la convergenza del punto di vista di Nagarjuna ed Asanga ed, in particolare, rimarcano gli Inni alla Espansione Definitiva di Nagarjuna, in quanto rappresentano davvero il punto di vista finale del pensiero di Nagarjuna. E, conseguentemente, il contenuto degli insegnamenti degli Inni alla Espansione Definitiva è molto simile alla insegnamenti di Maitreya sul Continuum Sublime l’Uttaratantra.
Quindi, naturalmente, se osservate gli scritti di questi grandi maestri, ci sono differenze nella terminologia che usano, gli approcci che presentano e così via. Tuttavia, quando si arriva alla comprensione finale, penso a ciò che il Panchen Lama Losang Chogyen afferma nelle sue linee radici sulla Mahamudra, il Grande Sigillo, dove dice che, in relazione a tutti questi diversi insegnamenti, se qualcuno ha appreso gli insegnamenti definitivi e l’applicazione del ragionamento, con le pratiche e realizzazioni yogiche con l’esperienza profonda, allora tutti gli insegnamenti convergono davvero sul punto finale.
Tuttavia, dobbiamo tenere a mente che sia nel contesto degli insegnamenti dei maestri tibetani che dei maestri indiani, bisogna distinguere tra due approcci principali ad un testo: uno che viene presentato specificamente in relazione a un individuo, l’approccio di un individuo specifico ed un altro approccio, dove la presentazione è fatta dal punto di vista dell’insegnamento generale del Dharma.
Gli stadi d’ingresso nella realtà.
Quindi il terzo schema, il modo in cui viene presentata la visione della vacuità è spiegato sotto due titoli principali: le fasi attraverso le quali si entra nella comprensione della talità o vacuità e l’effettiva presentazione della talità. Quindi qui, quando Tsongkhapa sta parlando delle fasi attraverso le quali si entra nella vacuità, dobbiamo capire cosa si intende per talità o vacuità, tattvata. E qui è utile guardare il verso di saluto di Nagarjuna nella Saggezza Fondamentale della Via di Mezzo, dove caratterizza la realtà ultima come totale calma d’elaborazione concettuale, totale pacificazione dell’elaborazione concettuale.
Identificando qual è la talità di cui si ha bisogno, per entrare nella sua comprensione, Tsongkhapa (questo è nel capitolo 9, terzo volume) apre con una domanda: “Il Nirvana è la realtà che si cerca di raggiungere, ma cos’è il nirvana? Se “entrare nella realtà” significa un metodo per raggiungerlo, allora come si entra?” E poi in risposta scrive:” La realtà che si cerca di raggiungere – l’incarnazione della verità – è la totale estinzione di … “concettualizzazioni” … sia del sé e di ciò che appartiene al sé, in particolare bloccando tutti i vari fenomeni interni ed esterni che appaiono come se fossero la realtà stessa – che non lo sono – insieme alle predisposizioni latenti per tali false apparenze.”
Il nirvana a cui ci si riferisce qui è il Nirvana non-dimorante.
Allora Tsongkhapa nella stessa pagina scrive quanto segue: “Le tappe in cui entri nella realtà sono le seguenti: in primo luogo, avendo contemplato con sgomento i difetti e gli svantaggi dell’esistenza ciclica, dovresti sviluppare il desiderio di riuscire ad affrancartene.
Quindi, comprendendo che non ci riuscirai, a meno che non ne superi la causa, ne studi le radici, considerando quale potrebbe essere la causa principale dell’esistenza del ciclo, sarai così certo dal profondo del tuo cuore che la visione reificante degli aggregati transitori, o ignoranza, agisce come la radice dell’esistenza ciclica. Devi quindi sviluppare un sincero desiderio di eliminarla.
Più avanti, vedrai che superare la visione reificante degli aggregati impermanenti dipende dallo sviluppo della saggezza che sa che il sé, così concepito, non esiste. Vedrai allora che devi confutare quel sé. Siate certi in questa confutazione, basandovi su scritture e linee di ragionamento che contraddicono la sua esistenza e dimostrano la sua inesistenza. Questa è una tecnica indispensabile per chiunque cerchi la liberazione.”
Quindi, queste spiegazioni si basano davvero sul testo: Le Chiare Parole (Prasannapada) di Chandrakirti .
Qui è reso molto chiaro che tra la mancanza del sé dei fenomeni e la mancanza del sé della persona non c’è differenza nel grado di sottigliezza di ciò che viene negato tra queste due la mancanza del sé. Le altre scuole Madhyamaka che aderiscono a qualche nozione di esistenza inerente, per loro c’è una differenza tra ciò che viene negato nel contesto della la mancanza del sé dei fenomeni e la la mancanza del sé della persona.
Così qui Tsongkhapa cita da La preziosa Ghirlanda di Nagarjuna in cui Nagarjana afferma che, “Finché si rimane aggrappati agli aggregati, ci si aggrapperà al proprio sé presente.” Quindi Nagarjuna dice che per far sì che qualcuno realizzi completamente la mancanza del sé della persona, nella sua interezza, ha bisogno di superare l’attaccamento alla vera esistenza dei fenomeni, alla vera esistenza degli aggregati.