9 Insegnamenti di Sua Santità il Dalai Lama a Los Angeles, CA 2000 su “La Lampada sul Sentiero per l’Illuminazione” di Atisha Dipamkara e “Linee di esperienza” di Lama Tsongkhapa. Traduzione non revisionata del Dott. Luciano Villa, nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Ci scusiamo per qualsiasi errore od omissione.
Sua Santità il Dalai Lama: Calmo dimorare
36. I meriti ottenuti in un solo giorno
da colui che possiede la chiaroveggenza,
non possono essere ottenuti
neanche in cento vite da colui che ne è privo.
37. Coloro che vogliono completare velocemente
le due raccolte per la piena illuminazione
otterranno la chiaroveggenza
per mezzo dello sforzo, non per mezzo della pigrizia.
38. Senza ottenere la calma dimorante
non si potrà ottenere la chiaroveggenza.
Quindi, compi ripetuti sforzi
per conseguire la calma dimorante.
Atisha presenta la pratica del calmo dimorare come condizione per coltivare questa percezione superiore, o consapevolezza accresciuta o chiaroveggenza. Ancora più importante, il raggiungimento del calmo dimorare è un pre-requisito per il raggiungimento del vipashyana: intuizione penetrante nella natura della vacuità. Sebbene sia possibile sviluppare la saggezza che realizza la vacuità senza il calmo dimorare, non è ovviamente possibile sviluppare la saggezza che è un’unione di calmo dimorare e intuizione penetrante o chiaroveggenza. La vera intuizione penetrante focalizzata sulla vacuità avviene solo quando sperimentiamo la duttilità fisica e mentale derivata da un processo di indagine analitica.
La duttilità fisica e mentale
Per raggiungere la duttilità derivata dall’analisi, dobbiamo avere la duttilità fisica e mentale che viene generata attraverso la concentrazione univoca. Il testo di Lama Tsongkhapa prosegue descrivendo le qualità distintive della mente una volta raggiunto il calmo dimorare.
Linee d’Esperienza: strofa 19
La concentrazione meditativa è il sovrano che governa la mente, così che, se la focalizzate su di un particolare oggetto, essa vi rimane stabile come il monte Meru e, se la lasciate andare, essa è in grado di applicarsi a qualsiasi oggetto virtuoso. Essa induce la grandiosa beatitudine della flessibilità fisica e mentale. Comprendendo tutto ciò, i grandi yoghin si sono costantemente impegnati nella concentrazione univoca, che permette di sconfiggere il nemico della distrazione. Io stesso, uno yoghin, ho praticato in questo modo. Anche voi che cercate la liberazione fate altrettanto.
Nelle prime due righe, l’autore sta dicendo che quando hai acquisito la calma dimorante, hai acquisito anche una certa padronanza della tua mente, perché hai la capacità di determinare se impegnarti o meno su un oggetto. Se vuoi posizionarla in modo univoco su un oggetto scelto, essa può rimanere lì completamente immobile, come il Monte Meru. Il tipo di concentrazione meditativa descritta in questa strofa si raggiunge dopo il nono livello di stabilità mentale, in cui si prova un entusiasmante senso di beatitudine.
Questa beatitudine non dovrebbe essere confusa con la grande beatitudine nel contesto tantrico; piuttosto, è una beatitudine derivante dalla duttilità fisica e mentale generata come risultato di focalizzare la tua mente su un singolo oggetto di meditazione.
Lampada sul Sentiero: strofe 39 – 40.
39. Se le condizioni per la calma dimorante
sono incomplete, la stabilizzazione meditativa
non sarà completata, anche se si meditasse
strenuamente per migliaia di anni.
40. Così, mantenendo correttamente le condizioni menzionate
nel Capitolo della Collezione per la Stabilizzazione Meditativa,
focalizza la mente su un qualsiasi oggetto virtuoso.
Come afferma il testo, se le condizioni per coltivare la concentrazione univoca e la calma dimorante non sono complete, tutti i tuoi sforzi saranno sprecati. Pertanto, se vuoi impegnarti in una pratica concertata per coltivare la calma dimorante, per prima cosa devi assicurarti che siano presenti le seguenti cinque condizioni:
1. La base solida di un modo di vivere eticamente disciplinato.
2. Poche esigenze personali o faccende mondane da sbrigare.
3. Una buona comprensione di tutti gli elementi chiave e le fasi della pratica.
4. Una dieta appropriata, evitando di mangiare eccessivamente.
5. Il minor numero di distrazioni possibili, con restrizioni di interazioni con estranei od altre persone.
In questo modo, è possibile creare le condizioni necessarie per la pratica della concentrazione univoca del calmo dimorare. I praticanti buddisti che fanno uno sforzo concertato per coltivare questa mente di concentrazione univoca devono impegnarsi in questa pratica in due modi.
Dovresti conoscere le tecniche per elevare la tua mente e generare pensieri che fanno riflettere. Potresti pensare che stare seduti dritti solleverà la tua mente e stare curvi la farà cadere, ma nessuno dei due è realmente il caso. Devi imparare a conoscere i processi mentali e le riflessioni che portano a questi effetti. Qui, stiamo parlando di praticanti del Lam-rim che si sono impegnati nelle pratiche fino a questo punto – quelli degli ambiti iniziali ed intermedi, inclusi i Tre Addestramenti Superiori – e che hanno acquisito un certo grado di esperienza come risultato dell’applicazione combinata della meditazione analitica e del concentrazione univoca.
Come per le fasi effettive coinvolte nell’impegnarsi nella coltivazione del calmo dimorare, ci sono vari metodi spiegati in testi, come nel Madhyantavibhaga di Maitreya / Asanga [Tib: U-tha-nam-che], dove troviamo una discussioni sui cinque ostacoli principali alla meditazione e gli otto antidoti a questi ostacoli.
L’oggetto per la meditazione univoca
Riguardo l’oggetto per la meditazione univoca, il testo presenta molte categorie di oggetti. Vi sono oggetti adatti alla purificazione della negatività od all’eliminazione delle afflizioni, oggetti più adatti ai temperamenti analitici e così via. Sono menzionati tre tipi principali di oggetti:
1. Un oggetto pervasivo, comune sia alla calma dimorante che alla visione profonda.
2. Oggetti associati alle tue passate abitudini.
3. Oggetti che sono più rilevanti per superare le afflizioni.
Se, come oggetto della tua meditazione, prendi un oggetto fisico esterno od un’istanza della tua esperienza personale, è importante scegliere un solo oggetto e non continuare a cambiarlo. Più oggetti nuovi porterai al centro della tua meditazione, meno progressi farai. Seleziona un singolo oggetto e dedicagli tutta la tua attenzione.
I praticanti buddisti, ad esempio, possono concentrarsi su un’immagine del Buddha. Se lo fai, tuttavia, è meglio non immaginare un Buddha troppo grande o troppo piccolo, può andar bene uno di tre o quattro dita di altezza.
In ogni caso, la tua visualizzazione dovrebbe essere chiara e luminosa, come un ologramma fatto di luce. Quando coltivi la meditazione univoca sul Buddha, anche se puoi usare una rappresentazione fisica, come una statua od un dipinto, quella che utilizzi per la prima volta non sarà quello che userai nella tua meditazione effettiva. Lì, ti concentri su un’immagine che crei nella tua mente e coltivi la tua concentrazione univoca su ciò. Esistono anche metodi per coltivare la calma dimorante rispettando la base dello yoga della divinità, dove visualizzi te stesso come la divinità, o le tue energie fisiologiche, dove ti concentri sui tuoi sottili canali, per esempio. Queste ultime sono pratiche Vajrayana.
La presenza mentale
La chiave per lo sviluppo del calmo dimorare è la presenza mentale, che combina l’introspezione e la costanza. È l’applicazione continua della consapevolezza che sostiene la tua attenzione sull’oggetto scelto.
Questo è il cuore del piazzamento meditativo. In precedenza abbiamo visto come, sulla base dell’applicazione della consapevolezza, garantiamo il controllo sull’attività negativa. Pertanto, anche la disciplina etica implica la pratica della presenza mentale. Inoltre, il primo dei trentasette aspetti del sentiero verso l’illuminazione sono i quattro fondamenti della consapevolezza: consapevolezza del corpo, del sentimento, della mente e dei fenomeni.
Nel contesto della concentrazione univoca, la chiave consiste nel sviluppare la consapevolezza a tal punto che possiamo sostenerla senza una distrazione istantanea. Quando ci impegniamo nella concentrazione univoca attraverso la coltivazione del calmo dimorare, dobbiamo essere consapevoli delle varie manchevolezze che possono interferire con la nostra pratica. Ad esempio, anche se siamo in grado di sostenere la consapevolezza univoca, la nostra meditazione può mancare di chiarezza, o ci può essere chiarezza senza perdita di concentrazione sull’oggetto, ma la nostra mente manca di vitalità.
In generale, i difetti della meditazione sono distrazione e torpore mentale.
Distrazioni
Ci sono due tipi di distrazione. Uno è la totale perdita di attenzione, senza continuità di consapevolezza dell’oggetto. L’altro è più sottile e si verifica quando, anche se non vi è alcuna perdita di concentrazione sull’oggetto, un altro pensiero sorge da qualche parte della nostra mente. Le distrazioni sono un segno che la nostra mente è troppo eccitata e che abbiamo bisogno di impegnarci in processi di pensiero per portarla ad un livello più calmo.
Torpore
Un altro modo di perdere la consapevolezza dell’oggetto è quando la nostra mente cade nell’ottusità mentale o lassismo. Ciò significa semplicemente che non siamo in grado di concentrarci sull’oggetto della meditazione.
Altre volte, anche se potessimo concentrarci sull’oggetto, subentra una mancanza di chiarezza o vitalità. Questo è la sottile ottusità, o lassismo, ed è un’indicazione che la nostra mente è troppo depressa. Qui, dobbiamo impegnarci in riflessioni che elevano la nostra mente creando una sensazione di gioia. Se ti accorgi che la tua mente è troppo eccitata e le distrazioni si verificano non appena inizi a meditare in modo univoco, dovresti riflettere sul fatto d’essere ancora sotto il controllo di pensieri ed emozioni negative; che queste afflizioni sono ancora attive in te. Contempla il fatto che sei ancora preso nella schiavitù dell’esistenza ciclica e rifletti sull’impermanenza e sulla morte. Questo avrà un immediato effetto di moderazione e diminuirà l’eccitazione e le distrazioni mentali.
Se, d’altra parte, trovi che la tua mente è abbattuta e priva di vitalità, devi sollevarla. Qui puoi riflettere sul fatto che possiedi la natura di Buddha, il nucleo della Buddhità, o sul grande valore e preziosità della tua esistenza umana e sulle opportunità che ti offre. Puoi anche riflettere sulle qualità di Buddha, Dharma e Sangha, in particolare le qualità illuminate del Buddha, o che puoi ottenere la cessazione della sofferenza.
Pensieri positivi come questi ispirano gioia e fiducia in te e rafforzano il tuo coraggio.
Quando inizi a coltivare il calmo dimorare e la concentrazione univoca, devi comprendere come si sviluppano questi processi complessi. In particolare, è essenziale che tu scopra le tecniche che fanno riflettere ed elevare la mente, che funzionano nella tua pratica di meditazione ed il livello di equilibrio che per te è ottimale, ma lo puoi scoprire solo attraverso la continua pratica personale e l’esperienza. Anche la tua età e costituzione fisica possono fare la differenza, in particolare il tuo stato di salute. Tuttavia, mentre continui a praticare per un periodo prolungato di tempo, progredirai attraverso i nove stadi della stabilità mentale.
Beatitudine che deriva dalla flessibilità fisica e mentale.
Nel momento in cui raggiungi il nono, avrai raggiunto un alto grado di concentrazione univoca, che poi porterà al raggiungimento della beatitudine che deriva dalla flessibilità fisica e mentale.
A quel punto, hai raggiunto il calmo dimorare ed il primo dei quattro livelli di concentrazione.
Se sulla base di questo calmo dimorare continui a progredire lungo il percorso, riflettendo sulle imperfezioni del regno del desiderio, alla fine coltiverai stati più alti di consapevolezza, come gli altri tre livelli di concentrazione.
Man mano che procedi ulteriormente, otterrai gli assorbimenti senza forma. In tali intensi stati di concentrazione, la tua mente sarà così sottile da essere temporaneamente libera da molti degli aspetti manifesti delle afflizioni.
La perfezione della saggezza
L’importanza della perfezione della saggezza
Lampada sul Sentiero: strofa 41.
Quando il praticante ha realizzato la calma dimorante,
otterrà anche la chiaroveggenza,
ma senza la pratica della perfezione della saggezza
le ostruzioni non avranno fine.
Secondo il Buddhismo Mahayana, di tutti i discorsi del Buddha, gli insegnamenti essenziali sono quelli dei Sutra della Perfezione della Saggezza, che presentano i due aspetti del percorso. Il loro insegnamento esplicito è la visione profonda della vacuità, mentre il loro argomento implicito sono gli stadi del sentiero od i livelli di realizzazione. Nella strofa 41, Atisha afferma che anche quando hai acquisito la calma dimorante, se ti manca la perfezione della saggezza, non sarai in grado di eliminare le ostruzioni.
Lampada sul Sentiero: strofa 42.
Perciò, per eliminare tutte le ostruzioni
alla liberazione e all’onniscienza,
il praticante dovrebbe continuamente coltivare
la perfezione della saggezza coi mezzi abili.
In questo verso, il testo presenta l’importanza di impegnarsi in un percorso che è l’unione di metodo e saggezza. I seguenti versi spiegano il significato di metodo e saggezza.
Lampada sul Sentiero: strofe da 43 a 46.
43. La saggezza senza mezzi abili
ed anche i mezzi abili senza saggezza
sono indicati come “legami”
perciò non abbandonare nessuno dei due.
44. Per eliminare qualsiasi dubbio
su cosa sia la saggezza e cosa siano i mezzi abili,
chiarirò la differenza
tra mezzi abili e saggezza.
45. A parte la perfezione della saggezza,
tutte le pratiche virtuose
come la perfezione della generosità,
sono descritte come mezzi abili dai Vittoriosi.
46. Chiunque, per il potere della familiarità
con i mezzi abili, coltivi la saggezza,
otterrà velocemente l’illuminazione:
non solo meditando sulla mancanza del sé.
Linee di esperienza: strofa 20
La saggezza profonda è l’occhio con cui osservare la profonda vacuità, è il sentiero (il mezzo) per sradicare (l’ignoranza fondamentale), la radice dell’esistenza ciclica. È il tesoro del genio elogiato in tutte le dichiarazioni scritturali ed è rinomata come la lampada suprema che elimina l’oscurità della chiusura mentale. Comprendendo tutto ciò, i saggi che hanno desiderato la liberazione sono avanzati su questa strada con ogni sforzo. lo stesso, uno yoghin, ho praticato in questo modo. Anche voi che cercate la liberazione fate altrettanto.
La prima frase sottolinea che, poiché la vacuità è la natura fondamentale della realtà – l’ignoranza che è la radice dell’esistenza ciclica – la saggezza che realizza la vacuità è l’occhio che ci permette di vedere la vera natura della realtà. Solo trascendendo la prospettiva illusoria dell’ignoranza e generando il suo opposto, la prospettiva della vacuità, possiamo eliminarla.
Il motivo per cui Lama Tsongkhapa prosegue dicendo che la perfezione della saggezza è il tesoro del genio lodato in tutte le dichiarazioni scritturali è perché raggiungere la saggezza onnisciente del Buddha è la più alta tra tutte le aspirazioni spirituali. Ogni affermazione scritturale del Buddha era diretta, direttamente od indirettamente, al conseguimento di questa saggezza. Inoltre, l’onnisciente saggezza del Buddha è la più alta perfezione della saggezza della vacuità. Pertanto, si può affermare che i Sutra della Perfezione della Saggezza, gli insegnamenti del Buddha sulla vacuità, contengono l’essenza più profonda di tutti i suoi insegnamenti.
Lama Tsongkhapa descrive anche la saggezza che realizza la vacuità come una lampada che dissipa l’oscurità dell’ignoranza. Secondo Nagarjuna ed altri maestri, l’ignoranza qui deve essere identificata come l’errata percezione fondamentale della realtà: l’attaccamento all’esistenza indipendente delle cose e degli eventi. Anche la parola “saggio” è significativa. Sebbene tutti i seguaci del Buddha aspirino alla liberazione, dal punto di vista Madhyamaka, i praticanti Vaibhashika e Sautrantika hanno una comprensione incompleta della causa dell’esistenza ciclica e della natura dell’illuminazione. In questo senso, non sono saggi.
Lampada sul Sentiero: strofa 47.
Comprendere la vacuità dell’esistenza intrinseca
attraverso la realizzazione che gli aggregati, i costituenti
e le sorgenti non sono prodotti, è spiegata come saggezza.
Questo riferimento alla vacuità dell’esistenza intrinseca di tutte le cose si riferisce alla natura ultima della realtà. Nella nostra percezione ordinaria del mondo, tendiamo a percepire le cose come dotate d’una sorta di stato assoluto, come se avessero una realtà concreta e oggettiva. Se li sottoponiamo ad un’analisi più approfondita, tuttavia, scopriamo che le cose non esistono nel modo in cui ci appaiono. Tutte le cose e gli eventi mancano di natura intrinseca, e questa assenza di natura intrinseca è la loro realtà ultima, o vacuità.
Dato che le cose mancano dell’esistenza inerente, anche le loro proprietà, come l’essere in essere, dimorare e cessare, mancano anche dell’esistenza inerente.
Vacuità secondo le diverse scuole buddiste
Quando parliamo del non-sé, o della vacuità, stiamo parlando di qualcosa che deve essere negato, ed il punto critico è identificare esattamente ciò che stiamo negando. Tra le scuole buddiste che accettano gli insegnamenti sulla mancanza del sé dei fenomeni oltre alla mancanza del sé della persona, i principali sono i Cittamatra e la Madhyamaka. La spiegazione della mancanza del sé qui è spiegata dal punto di vista dei Madhyamaka. Questa prospettiva è chiaramente spiegata nel Quattrocento Versi di Aryadeva sulla Via di Mezzo, dove interpreta il sé che deve essere negato in termini di concetto di indipendenza, dicendo che:
Tutto ciò che viene in essere in modo dipendente
manca d’uno stato indipendente.
Questa assenza di indipendenza è la vacuità.
Pertanto, lo stato di indipendenza
è il sé che deve essere negato.
Delle scuole Mahayana che accettano la nozione del non-sé della persona e del non-sé dei fenomeni, tutte le scuole salvo i Madhyamaka Prasangika, incluse le scuole Madhyamaka Svatantrika e Cittamatra, accettano alcune nozioni di una natura intrinseca. Gli Svatantrika e i Cittamatra fanno una sottile distinzione tra il non-sé della persona ed il non-sé dei fenomeni, sostenendo che il non-sé della persona è grossolano o più grossolano del non-sé dei fenomeni. Dal loro punto di vista, ciò che deve essere negato nel contesto di una persona è diverso da ciò che deve essere negato nel contesto degli aggregati o fattori di esistenza della persona.
Negli scritti Madhyamaka Prasangika, tuttavia, come nei lavori di Aryadeva e nei testi che stiamo discutendo, non c’è differenza in termini di sottigliezza tra il non-sé delle persone ed il non-sé dei fenomeni. L’unica distinzione tra il non-sé della persona ed il non-sé dei fenomeni è la base su cui viene presentata la mancanza del sé: gli insegnamenti sul non-sé sono presentati in relazione sia alla persona che ai fenomeni, come gli aggregati.
Ci sono alcuni gruppi di pensatori Madhyamaka che accettano qualche nozione di natura intrinseca, sebbene a livello convenzionale, ma c’è un altro gruppo di studiosi Madhyamaka che respingono totalmente la nozione di esistenza inerente, in ogni caso, anche a livello convenzionale.
Come è nata questa divisione fondamentale?
I testi fondamentali del pensiero di Via di Mezzo sono i Fondamenti della Via di Mezzo https://www.sangye.it/altro/?p=9194 di Nagarjuna ed i Quattrocento versi di Aryadeva. Da questi testi si sono evolute due distinte interpretazioni. Buddhapalita, per esempio, scrisse un commentario sui Fondamenti di Nagarjuna e sviluppò una linea interpretativa che rifiutava qualsiasi nozione di esistenza intrinseca, anche a livello convenzionale.
Più tardi, Bhavaviveka scrisse il suo commentario, La Lampada della Saggezza (Prajnapradipa), in cui affrontò l’argomento con Buddhapalita. Scrisse anche altri testi, come Il Cuore della Via di Mezzo ed il suo commentario, Splendore del Ragionamento, che ho menzionato prima, quando parlavamo del lignaggio degli insegnamenti Kadampa. Questi due testi, che confutano le idee della Scuola Cittamatra, rivelano chiaramente che l’autore stesso condivideva qualche nozione di esistenza intrinseca, almeno a livello convenzionale.
Bhavaviveka nota poi che è la nostra coscienza la persona reale, definita ed il riferimento affitto dei nostri termini personali. Di nuovo, questo indica che accetta qualche nozione di esistenza inerente. Inoltre, contestando Buddhapalita, Bhavaviveka presenta un’epistemologia nel suo commentario sui Fondamenti di Nagarjuna in cui è evidente che accetta qualche nozione della natura intrinseca degli oggetti.
Se vuoi approfondire la tua comprensione della vacuità, è molto utile guardare in che modo le diverse scuole filosofiche buddiste comprendono il non-sé. Riassumendo, i Vaibhashika ed i Sautrantika comprendono la vacuità come il sé e la persona privi di realtà sostanziale. I Cittamatrin, oltre ad accettare il non-sé della persona, accettano anche il non-sé dei fenomeni. Essi interpretano il non-sé dei fenomeni come l’assenza di dualità tra soggetto e oggetto, ed anche attraverso la nozione che i riferimenti di termini e concetti non esistono in qualche modo assoluto, intrinseco. I Madhyamaka Svatantrika seguono gli insegnamenti di Nagarjuna ma presentano la loro interpretazione della vacuità, accettando un grado di esistenza intrinseca a livello convenzionale.
Se sottoponi queste posizioni ad un’analisi e ad un ragionamento più profondo, tuttavia, tutte queste idee, in particolare quelle dei Madhyamaka Svatantrikas, possono essere dimostrate insostenibile perché danno per scontata la nozione di esistenza inerente. Postulano anche una facoltà di esperienza conosciuta come consapevolezza riflessiva o auto-cgnitiva, ed è sulla base di questa consapevolezza che spiegano l’esistenza inerente della coscienza.
Resta il fatto, tuttavia, che tutti i pensatori Madhyamaka, i Prasangika e gli Svatantrika allo stesso modo, sono d’accordo nel rifiutare qualsiasi nozione di esistenza vera o definitiva attraverso l’intero spettro della realtà. Sotto questo aspetto, si differenziano dalla Scuola Cittamatra, dove viene fatta una distinzione tra la realtà esterna della materia e la realtà interna dell’esperienza soggettiva. I Cittamatra rifiutano la vera esistenza del mondo materiale esterno ma accettano la vera esistenza della coscienza interiore. I Madhyamikas, d’altra parte, respingono qualsiasi nozione di vera esistenza a tutti i livelli.
Tuttavia, ci sono due campi all’interno del pensiero Madhyamaka. L’uno respinge la nozione di esistenza inerente anche a livello convenzionale e l’altro accetta la nozione d’esistenza inerente a livello convenzionale. Sorge quindi la domanda: quale di queste due distinte letture dei testi di Nagarjuna e Aryadeva dovremmo seguire? Come generalmente accade negli insegnamenti buddisti, dobbiamo sottoporre queste idee all’analisi critica e metterle in relazione con la nostra esperienza personale. Quando facciamo questo, tali nozioni come l’esistenza intrinseca della nostra facoltà di percezione e la consapevolezza auto-cognitiva si rivelano insostenibili perché sono confutate dal ragionamento critico. In generale, la procedura buddista è che qualsiasi sistema di pensiero soggetto ad un minor numero di obiezioni critiche è più accettabile di quello che contiene più contraddizione ed incoerenze.
Quando riflettete sugli insegnamenti sul non-sé, in particolare sul significato di presentare gli insegnamenti sul non-sé in relazione alla persona ed ai suoi fattori di esistenza, apprezzerai il seguente punto fondamentale. Sebbene esista un ampio spettro di realtà, è l’individuo ed i fenomeni che riguardano la sua esperienza di dolore e piacere, felicità e sofferenza, come gli aggregati della mente-corpo dell’individuo, che sono di immediata rilevanza. Pertanto, fin dall’inizio, facciamo una distinzione tra la persona e gli oggetti di esperienza della persona.
Quando mettiamo in relazione questo insegnamento con la nostra esperienza personale, tuttavia, possiamo osservare che quando il pensiero, “Io sono”, sorge in noi, lo fa sulla base dei nostri costituenti fisici o mentali; i nostri aggregati sono alla base di “Io sono”. Ci aggrappiamo a questi aggregati, ed è sulla base di questa presa e del pensiero “Io sono” che ci identifichiamo con loro. Questo è il modo in cui afferrare i fenomeni serve come base per afferrare il sé della persona.