Sua Santità il Dalai Lama: Che cos’è la mente?
Tra gli scienziati occidentali c’è poco accordo sulla natura e la funzione della mente, la coscienza, e perfino sul fatto che esista. La spiegazione estesa buddhista, tuttavia, dopo venticinque secoli di dibattito e di convalida esperienziale, non ha cambiato idea.
Sua Santità il Dalai Lama spiega il concetto buddhista di mente ai partecipanti del simposio su la Scienza della mente, svoltosi all’Università di Harvard, a Cambridge, Massachusetts, USA.
Sua Santità il Dalai Lama.
Una delle visioni fondamentali del Buddhismo è il principio di ‘originazione interdipendente’, in cui si afferma che tutti i fenomeni, sia le esperienze soggettive che gli oggetti esteriori, pervengono all’esistenza in dipendenza di cause e condizioni: nulla esiste senza una causa. Posto questo principio, diventa oltremodo essenziale comprendere che cosa sia la causalità e quali siano i vari tipi di cause esistenti. Nella letteratura buddhista vengono menzionate due principali categorie di causalità: (1) cause esteriori in forma di oggetti ed eventi fisici e (2) cause interiori, come gli eventi mentali.
La ragione della grande importanza di una comprensione della legge di causa ed effetto nel pensiero e nella pratica buddhista sta nel fatto che essa riguarda direttamente le sensazioni di piacere e di dolore degli esseri senzienti, e tutte le altre esperienze che dominano le loro vite, che sorgono non solo a causa di meccanismi interiori ma anche per cause e condizioni esteriori. È di importanza cruciale, quindi, comprendere non solo il rapporto di causa ed effetto del processo interiore cognitivo, ma anche la sua relazione con il mondo materiale esterno.
Il fatto che le nostre esperienze interiori di piacere e di dolore siano degli stati mentali e cognitivi propri di ogni individuo è chiaramente ovvio a tutti, ma il modo in cui questi eventi interiori soggettivi si rapportano con le circostanze esterne e con il mondo materiale ci pone di fronte ad un problema fondamentale del quale i pensatori buddhisti hanno discusso a lungo: la questione se esista o meno una realtà fisica esterna indipendente dalla coscienza e dalla mente degli esseri senzienti. Naturalmente, vi sono diverse teorie al riguardo tra le varie scuole di pensiero filosofico; una di queste scuole [Cittamatra] asserisce che non esiste alcuna realtà esterna, neppure gli oggetti esterni, e che il mondo materiale che percepiamo è in essenza solo una proiezione della nostra mente. Da molti punti di vista, questa conclusione è alquanto estremista. Filosoficamente, ma anche concettualmente, per quanto riguarda questo punto sembra più logico assumere una posizione che accetti non solo la realtà del mondo soggettivo della mente, ma anche quella degli oggetti esterni del mondo fisico.
Ora, se esaminiamo le origini delle nostre esperienze interiori e le origini della materia, troviamo che esiste una fondamentale uniformità nella natura del loro modo di esistere: entrambe sono governate dal principio di causalità. Proprio come nel mondo interiore degli eventi mentali e cognitivi ogni istante di esperienza proviene dal continuum [momento] che lo precede e così via ad infinitum, allo stesso modo nel mondo fisico ogni oggetto e avvenimento deve possedere un precedente continuum che serva da causa, dalla quale si manifesta il presente momento di materia.
In certa letteratura buddhista troviamo che, in termini di origine del suo continuum, il mondo macroscopico della nostra realtà fisica si può ricondurre in ultima analisi a uno stato primordiale nel quale tutte le particelle materiali sono condensate in un composto conosciuto come ‘particelle spaziali’. Se tutta la materia fisica del nostro universo macroscopico si può ricondurre a un tale stato originario, a questo punto sorge la domanda sul come queste particelle, in seguito, interagiscano tra loro e si evolvano in un mondo macroscopico che può avere un diretto rapporto con le esperienze interiori di piacere e di dolore degli esseri senzienti. Per rispondere a ciò, i buddhisti si rifanno alla dottrina del karma, l’invisibile lavorio delle azioni e dei loro effetti, che fornisce una spiegazione di come queste particelle spaziali inanimate si sviluppino in varie manifestazioni.
L’invisibile energia delle azioni o forza karmica (karma significa azione) è intimamente legata alla motivazione che nella mente umana dà origine a queste azioni. Per cui una comprensione della natura della mente e del suo ruolo è di importanza cruciale per comprendere l’esperienza umana e la relazione tra mente e materia. Possiamo osservare, tramite la nostra esperienza, che il nostro stato mentale svolge un ruolo primario nella nostra vita di ogni giorno e nel nostro benessere fisico e mentale. Se una persona ha una mente calma ed equilibrata, la propria attitudine e il comportamento nei riguardi degli altri ne risentiranno in modo positivo. In altre parole, se qualcuno rimane in uno stato mentale calmo, tranquillo e pacifico, l’ambiente e le condizioni esteriori gli potranno provocare solo un disagio limitato, tuttavia per persone che sono in uno stato mentale agitato è estremamente difficile che rimanere calme o felici, anche quando sono circondate da un ambiente confortevole e dai migliori amici. Questo significa che la nostra attitudine mentale è un fattore di importanza fondamentale nel determinare le nostre esperienze di piacere e di felicità, e quindi anche la nostra buona salute.
Per riassumere, vi sono due ragioni per le quali è importante comprendere la natura della mente: la prima è che esiste una stretta connessione tra la mente e il karma, l’altra è che il nostro stato mentale gioca un ruolo cruciale nelle nostre esperienze di felicità e di sofferenza. Ma se comprendere la mente è molto importante, allora occorre chiedersi cosa è la mente e quale sia la sua natura.
La letteratura buddhista, sia nei sutra sia nei tantra, contiene vaste descrizioni della mente e della sua natura. Il tantra, in particolare, tratta i vari livelli di raffinamento della mente e della coscienza, i sutra non parlano molto della relazione tra i vari stati mentali e i loro corrispondenti stati fisiologici. Al contrario, la letteratura tantrica è colma di riferimenti sui vari gradi dei livelli di coscienza e la loro relazione con alcuni stati fisiologici quali i centri di energia vitale nel corpo, i canali di energia, le energie che scorrono in essi e così via. I tantra spiegano anche come un praticante possa far sorgere differenti stati di coscienza manipolando i vari fattori fisiologici per mezzo di specifiche pratiche yogiche meditative.
Secondo il tantra, la natura ultima della mente è essenzialmente pura. Questa natura originaria viene chiamata tecnicamente ‘luce chiara’. Le varie emozioni negative dolorose come l’attaccamento, l’odio e la gelosia sono prodotte dal condizionamento. Non sono qualità intrinseche della mente perché la mente si può liberare da esse. Quando questa natura di chiara luce della mente è nascosta o non può manifestare la sua vera essenza, a causa del condizionamento delle emozioni e dei pensieri negativi, si dice che l’individuo è prigioniero del ciclo dell’esistenza o samsara. Ma quando, applicando le appropriate tecniche e pratiche meditative, l’individuo è in grado di sperimentare pienamente questa natura di ‘chiara luce’ della mente, libera dall’influenza e dal condizionamento degli stati negativi, egli è sulla via della vera liberazione e della completa illuminazione.
Per questa ragione, dal punto di vista buddhista, sia la schiavitù che la piena libertà dipendono dagli stati mutevoli di questa mente di chiara luce; lo stato risultante che i meditatori cercano di ottenere attraverso l’applicazione di differenti tecniche meditative è quello in cui questa natura ultima della mente manifesti pienamente tutto il suo potenziale positivo: l’illuminazione o lo stato di Buddha.
Una comprensione della mente di chiara luce diviene quindi essenziale nell’ambito della pratica spirituale.
In generale, la mente si può definire come un’entità che possiede la natura di mera esperienza, cioè ‘chiarezza e conoscenza ’. È la sua natura che la porta a conoscere, che viene definita mente, e questa entità non è materiale. Ma all’interno di questa categoria vi sono anche livelli grossolani, come le nostre percezioni sensoriali, che non possono operare né esistere senza dipendere da organi fisici come i nostri sensi. E all’interno della categoria della sesta consapevolezza, la coscienza mentale, vi sono varie divisioni, o tipi, di coscienza mentale che per sorgere dipendono strettamente dalla base fisiologica, il nostro cervello. Questi tipi di mente non possono essere compresi se vengono isolati dalla loro base fisiologica.
Ora sorge una domanda cruciale: in quale modo possono questi vari tipi di eventi cognitivi – le percezioni sensoriali, gli stati mentali e così via – esistere e possedere questa natura di conoscenza, di luminosità e di chiarezza? Secondo la scienza buddhista della mente, questi eventi possiedono la natura di conoscenza a causa della fondamentale natura di chiarezza che sta alla base di tutti gli eventi cognitivi. Questo è ciò che ho descritto in precedenza come fondamentale natura della mente, la natura di ‘chiara luce’ della mente. Quindi, quando nella letteratura buddhista si descrivono vari stati mentali, troverete esposizioni che riguardano i differenti tipi di condizioni che danno origine agli eventi cognitivi. Per esempio, nel caso di percezioni sensoriali, gli oggetti esterni servono come condizione causale o oggettiva; il momento di consapevolezza immediatamente precedente è la condizione immediata e l’organo sensoriale è la condizione fisiologica o dominante. È sulla base dell’aggregazione di queste tre condizioni – causale, immediata e fisiologica – che si manifestano esperienze come le percezioni sensoriali. Un altro caratteristico aspetto della mente è la sua capacità di osservare se stessa. Il fatto che la mente possieda la capacità di osservare ed esaminare se stessa costituisce da lungo tempo un’importante questione filosofica. In generale, ci sono vari modi con cui la mente può osservare se stessa. Per esempio, per quanto riguarda l’esame di un’esperienza del passato, come fatti accaduti il giorno precedente, potete ricordare l’esperienza ed esaminare la vostra memoria della stessa, quindi il problema non si pone. Ma noi possiamo fare anche l’esperienza in cui la mente diventa consapevole di se stessa nel momento in cui è impegnata nell’esperienza stessa osservata. Qui, dato che sia la mente che osserva, sia gli stati mentali osservati sono presenti nello stesso momento, non possiamo spiegare il fenomeno della mente che diventa consapevole di se stessa invocando il fattore dell’intervallo di tempo, poiché oggetto e soggetto esistono simultaneamente.
Così, è importante comprendere che quando parliamo di mente stiamo discutendo di una rete estremamente intricata di differenti eventi e stati mentali. Per mezzo delle proprietà introspettive della mente possiamo osservare, per esempio, quali particolari pensieri si manifestino in un dato momento, quali oggetti la nostra mente stia percependo, che genere di interazioni abbiamo e così via. Ad esempio, in uno stato meditativo in cui state coltivando la facoltà di concentrazione univoca della mente, mentre siete impegnati nella concentrazione univoca su un oggetto, applicate in continuazione la facoltà introspettiva che vi permette di analizzare il vostro grado di attenzione mentale: se è presente o meno intorpidimento o di distrazione e così via. In questa situazione state applicando vari fattori mentali per cui non è come se una singola mente stesse osservando se stessa, piuttosto, state applicando vari e diversi tipi di fattori mentali per esaminare la vostra mente.
Per quanto riguarda la questione se un singolo stato mentale possa osservare ed esaminare se stesso, questo è da sempre un quesito molto importante e difficile nella scienza buddhista della mente. Alcuni pensatori buddisti hanno espresso la convinzione che esista una facoltà della mente denominata ‘conoscenza di sé ’ o ‘consapevolezza di sé ’. Si potrebbe dire che c’è una facoltà apercettiva della mente che permette di osservare se stessa, ma questa affermazione è stata contestata. Coloro che sostengono che esista una simile facoltà distinguono due aspetti all’interno dell’evento mentale o cognitivo. Uno è esterno e rivolto all’oggetto, nel senso che si verifica una dualità di soggetto e oggetto, mentre l’altro è di natura introspettiva ed è questo che permette alla mente di osservare se stessa. L’esistenza di questa qualità apercettiva autocognitiva della mente è stata messa in discussione specialmente dall’ultima scuola filosofica buddhista, la Prasangika.
Nelle nostre esperienze di ogni giorno possiamo osservare che, specialmente a un livello superficiale, la nostra mente dipende dagli stati fisiologici del corpo ed è in stretta relazione con essi. Proprio come il nostro stato mentale, depresso o soddisfatto, agisce sulla nostra salute fisica, così le nostre condizioni fisiche hanno effetti sulla nostra mente.
Come ho ricordato in precedenza, la letteratura tantrica buddhista cita specifici centri di energia all’interno del corpo [chakra] che possono, credo, avere una certa connessione con ciò che alcuni neurobiologi chiamano il ‘secondo cervello’, il sistema immunitario. Questi centri di energia svolgono un ruolo cruciale nell’incremento o nel calo dei vari stati emozionali all’interno della nostra mente. È dovuto proprio a questa intima relazione tra corpo e mente e all’esistenza di questi particolari centri fisiologici nel nostro corpo se gli esercizi dello yoga fisico e l’applicazione di speciali tecniche meditative, dirette al controllo della mente, possono avere effetti positivi sulla salute. È stato dimostrato, ad esempio, che applicando particolari tecniche meditative, possiamo controllare il nostro processo respiratorio e aumentare o diminuire la temperatura del nostro corpo.
Inoltre, proprio come possiamo applicare varie tecniche meditative durante lo stato di veglia, allo stesso modo, sulla base della comprensione della sottile relazione tra corpo e mente, possiamo praticare varie meditazioni mentre dormiamo e ci troviamo nello stato di sogno. Il potenziale implicito di tali pratiche è che, a un certo livello, è possibile separare i livelli grossolani di coscienza dagli stati fisici grossolani e pervenire a un livello più sottile di mente e corpo. In altre parole, potete giungere a separare la vostra mente dal vostro corpo fisico grossolano. Potreste, per esempio, separare la mente dal corpo durante il sonno e compiere qualche altro lavoro che non potete svolgere nel vostro corpo ordinario. Tuttavia, potreste anche non essere remunerati!
Così, potete vedere la chiara indicazione dell’esistenza di uno stretto legame tra il corpo e la mente, che possono essere complementari. Alla luce di ciò, sono molto felice di vedere che alcuni scienziati stiano facendo importanti ricerche sulla relazione tra corpo e mente e le sue implicazioni, per comprendere la natura della salute fisica e mentale. Il mio vecchio amico, il Dott. Benson, per esempio, da alcuni anni sta conducendo esperimenti sui meditatori buddisti tibetani; inoltre un simile lavoro di ricerca viene ora intrapreso in Cecoslovacchia. Giudicando i risultati ottenuti sino ad oggi, sono certo che vi sarà ancora molto lavoro da fare in futuro.
Dato che le intuizioni che scaturiscono da queste ricerche aumentano in continuazione, non vi è dubbio che crescerà in misura sempre maggiore la nostra comprensione del corpo e della mente, e quindi della salute fisica e mentale. Alcuni studiosi moderni descrivono il buddhismo più come una scienza della mente che una religione, e mi pare che esistano validi motivi per fare una simile affermazione.
Brani estratti da La scienza della mente, a cura di Daniel Goleman e Robert F. Thurman, Chiara Luce Ed. 1993 (stampati per il programma di studi ‘Alla scoperta del buddhismo’, per gentile concessione della casa editrice).