2a Dalai Lama New York 1998: Lo spirito di Majusrshi

Sua Santità il Dalai Lama: L’amore è il desiderio di vedere tutti gli esseri senzienti godere della felicità.

Sua Santità il Dalai Lama: L’amore è il desiderio di vedere tutti gli esseri senzienti godere della felicità.

Insegnamenti  di Sua Santità il XIV Dalai Lama a New York, USA, maggio 1998 sul Tema: Lo spirito di Manjustri.

Traduzione dall’inglese all’italiano del Dott. Luciano Villa nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lam’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.

1 Seconda Sessione: Bodhicitta

Sua Santità il Dalai Lama

Recitiamo ora uno dei proficui versi di Nagarjuna al Buddha dal Mulamadhyamakakarika.

Mi prostro dinanzi al Buddha perfetto,

il migliore dei maestri, il quale insegnò che

tutto ciò che sorge dipendentemente è

senza fine, senza nascita,

non annientabile, impermanente,

non viene, non va,

senza distinzioni, senza identità

e libero da tutte le costruzioni concettuali.

Ieri abbiamo discusso la rinuncia e oggi parliamo di bodhicitta, la mente dell’illuminazione. Lama Tzong Khapa nel testo “I Tre Aspetti Principali del Sentiero (qui https://www.sangye.it/altro/?p=489 disponibile) individua i tre aspetti chiave per il percorso. Si tratta della rinuncia, bodhicitta e la corretta visione della vacuità.Per un praticante buddista l’oggetto ultimo di aspirazione deve essere il raggiungimento della liberazione, che è tecnicamente chiamato lo stato di bontà definitiva. Ci sono due livelli di questa bontà definitiva o liberazione. Uno è il raggiungimento della libertà individuale dalla sofferenza e dalle illusioni. Questa liberazione è raggiunta dalla combinazione di rinuncia con la corretta visione della vacuità. Questi sono i due fattori principali che portano al raggiungimento della liberazione dal samsara. La combinazione di bodhicitta con la corretta visione della vacuità è ciò che porta al raggiungimento della piena illuminazione.

Tuttavia l’approccio del Lam Rim è leggermente diverso. Nel Lam Rim vè una comprensione che questo è un processo che comporta vite successive di sforzi. Pertanto, l’accento è posto anche sul percorso preparatorio. Queste pratiche preliminari coinvolgono l’accumulazione delle cause e le condizioni per un raggiungimento del giusto tipo di ambiente: l’ambiente fisico che consente all’individuo di impegnarsi nel percorso che lo porterà verso la liberazione. Quindi nel Lam Rim l’accento è posto sull’apprezzamento o riconoscimento accordato a noi come esseri umani.

Le condizioni che portano al raggiungimento di una forma umana completamente dotata sono principalmente spiegate in termini di osservanza della disciplina morale sulla base della astensione dalle dieci azioni negative, il che che porta ad una vita disciplinata.

Per quanto riguarda le condizioni che ci permettono di ottenere tale forma dell’esistenza umana pienamente dotata, che è adatta al perseguimento del sentiero, che porta al conseguimento finale della liberazione, alla base di questa fase preliminare è l’osservanza di un modo disciplinato di vita nell’ambito della morale, evitando le dieci azioni negative.

Anche se si potrebbe dire che la legge del karma sottostà al principio generale per cui le azioni positive producono risultati positivi e le azioni negative portano a conseguenze negative, e questo principio molto generale è praticamente abbastanza evidente a tutti noi, ciò che è più difficile da capire, secondo il buddismo, sono gli aspetti sottili od il funzionamento della legge del karma. Questo è detto essere un fenomeno molto nascosto od oscuro, di cui noi, come comuni esseri umani, non abbiamo a questo punto una capacità razionale né alcun’altra possibilità di comprendere pienamente. Solo gli esseri illuminati, che sono totalmente liberi da ostacoli alla piena conoscenza, sono in grado di comprendere tutte le sottigliezze del funzionamento del karma.

Possiamo vedere qui che il buddismo esprime una conoscenza a diversi livelli di realtà, diversi tipi di oggetti della conoscenza. Ci sono oggetti di conoscenza che sono evidenti od a noi apparenti, per i quali non abbiamo bisogno di utilizzare qualsiasi ragionamento. C’è una seconda categoria, che si dice essere un po’ oscura o nascosta, anche se per noi non ovvia, di cui, attraverso un processo di ragionamento, possiamo dedurre la sua verità o la realtà.

Tuttavia i meccanismi sottili della legge del karma cadono in una terza categoria: quella dei fenomeni molto nascosti. Per esempio, il fatto che stiamo vivendo una sensazione particolare in questo momento in quest’incontro, anche se possiamo, in linea di principio, accettare che questo deve avere una causa, ciò che esattamente ne è stata la causa ed esattamente l’origine di questo karma è troppo sottile per noi.

La pratica della legge karmica deve essere fondata sulla Presa di Rifugio nei Tre Gioielli: Buddha, Dharma e Sangha. Quando si tratta della pratica di Prendere Rifugio nei Tre Gioielli, devono essere presenti due condizioni principali. Da un lato un senso di timore per i potenziali, ma effettivi, pericoli di prendere rinascita in uno stato inferiore di esistenza, e, dall’altro, anche un senso di fiducia nel Buddha, Dharma e Sangha, che hanno la capacità di proteggerci da tale rischio potenziale.

Questo ci porta immediatamente alla questione delle possibilità di rinascita, a che cosa succede dopo la nostra morte. In un certo senso si potrebbe dire che la prossima vita è in un futuro lontano, ma, da un altro punto di vista, non è poi così lontano. La linea di demarcazione tra la vita presente e la prossima vita è solo un soffio. Nel momento in cui questa vita si ferma, inizia la prossima. Pertanto, nel Lam Rim è sottolineata l’importanza della contemplazione della morte e dell’impermanenza. Come ho sottolineato ieri, l’importanza di riflettere sulla sofferenza degli stati inferiori di esistenza non è proposta per entrare in una sorta di contemplazione morbosa, ma, piuttosto per instillare in noi un forte desiderio di ottenere veramente la protezione che ci impedisce di cadervi. È per farci comprendere che noi, come esseri umani, abbiamo il potenziale per cercare la libertà da questa possibile caduta.

Questo è l’approccio generale che si trova negli insegnamenti del Lam Rim. Tuttavia, all’interno della categoria degli insegnamenti noti come Lam Rim, ci sono lievi divergenze negli approcci. Per esempio, nell’approccio del Lam Rim di Ghesce Sharawa troviamo che i praticanti sono invitati a riflettere sulla presenza della natura di Buddha in tutti gli esseri. Ciò è particolarmente vero nel testo di Gampopa “Il Gioiello Ornamento della Liberazione” in cui s’afferma che la qualità interiore richiesta per il conseguimento dell’illuminazione è la natura di Buddha e la condizione esterna è la guida di un maestro spirituale esperto. Troviamo che viene posta una forte enfasi sul pieno riconoscimento del fatto che noi, come esseri senzienti, in ultima analisi, possediamo dentro di noi il seme per l’illuminazione. Ciò suggerisce che vi è la possibilità di purificare le nostre menti da tutti gli inquinanti.

Tuttavia nell’approccio di Lama Tzong Khapa in entrambe le versioni sia la più lunga che intermedia del Lam Rim, Stadi del Sentiero verso l’Illuminazione, egli non esorta innanzitutto il praticante alla contemplazione della presenza della natura di Buddha in tutti noi, ma inizia con la riflessione sul riconoscimento del valore della dipendenza da un maestro spirituale e così via. Infatti Tzong Khapa afferma molto esplicitamente che il materiale di base per il suo approccio al Lam Rim è l’Abhisamayalamkara (L’ornamento delle Chiare Realizzazioni) di Maitreya. Così sembra che, al fine di avere una piena comprensione degli approcci che sono impostati nel Lam Rim, bisogna avere anche una buona comprensione di un testo come l’Abhisamayalamkara.

Un’altra qualità unica dell’approccio di Lama Tzong Khapa nella letteratura del Lam Rim è che quando tratta i mezzi abili dell’aspetto del percorso, come la bodhicitta, la compassione e così via, tende ad evidenziare delle citazioni dalla letteratura di autori come Asanga e Maitreya. Mentre, quando si tratta di discutere sulla corretta visione della vacuità, allora l’enfasi si sposta alle citazioni delle opere di Nagarjuna e dei suoi seguaci: la letteratura Madhyamika. Costantemente sostanzia i suoi punti e li motiva sia ai sutra attribuiti al Buddha od a commentari della letteratura di maestri indiani. Si potrebbe quasi dire che i testi del Lam Rim sono come una chiave che ci permette di aprire l’intero tesoro della letteratura buddhista Mahayana.

Così siete tutti probabilmente consapevoli che l’approccio principale della letteratura sul Lam Rim di Lama Tzong Khapa è quello di disporre tutti gli elementi del percorso buddista nel quadro dei praticanti dalle tre capacità o ambiti: iniziale, medio e superiore. Personalmente ritengo forse che la fonte ultima di questo tipo di approccio di classificare tutto il sentiero buddhista nel quadro dei tre ambiti viene dai Quattrocento Versi di Aryadeva sulla Via di Mezzo. C’è in essi un passo molto esplicito, dove si afferma che la corretta sequenza in cui i praticanti di Dharma dovrebbero impostare il loro percorso verso l’illuminazione è che nella prima fase devono impegnarsi in pratiche che permettano loro di contrastare le manifestazioni negative delle loro illusioni. In altre parole si deve frenare prima le negatività del proprio comportamento: fisico, verbale e le azioni mentali. Questa è la prima fase. Questa pratica si riferisce in realtà a condurre uno stile di vita in linea coi principi morali di evitare le dieci azioni negative.

La seconda fase consiste nel contrastare direttamente le illusioni che danno origine a tale comportamento negativo. Le oscurazoni come l’odio, la rabbia, l’attaccamento e l’ignoranza sono anche alla base di tutti i comportamenti negativi. La seconda fase è quindi quella di contrastare le illusioni attraverso le pratiche dei tre addestramenti superiori, in particolare la formazione superiore alla saggezza, la cui essenza è la coltivazione della visione della vacuità. La terza fase è quella di contrastare anche le impronte lasciate dalle illusioni.

Quando si parla di bodhicitta, che significa la mente dell’illuminazione, in generale ci sono diversi tipi di illuminazione. Si può indicare l’illuminazione degli Sràvaka, gli Uditori, i realizzatori solitari e l’illuminazione del Buddha. Quando si parla della mente dell’illuminazione ci riferiamo alla piena illuminazione, al Buddha.

La parola tibetana per l’illuminazione è byang chub, che ha etimologicamente due aspetti diversi. Il primo è l’aspetto di purificazione, in cui rappresenta lo stato di totale eliminazione di tutte le impurità. Il secondo aspetto è la realizzazione della piena saggezza. Si potrebbe dire che nella stessa etimologia del termine illuminazione o byang chub, è contenuto questo duplice aspetto. La dimensione di purificazione rappresenta uno stato di totale eliminazione di tutte le impurità e negatività: le afflizioni della mente. Il secondo aspetto si riferisce alla realizzazione che rappresenta la totalità della piena consapevolezza della conoscenza o saggezza.

Lo stato di Buddha si dice essere uno stato di grande illuminazione, perché rappresenta la realizzazione totale del potenziale per il risveglio. La liberazione del Buddha è detta essere totalmente illimitata. Sebbene si dice che entrambi, sia gli Sravaka che i Pratyekabuddha, hanno raggiunto la piena realizzazione della vacuità, la loro realizzazione della vacuità non è in un certo senso completa di tutte le sue potenzialità. D’alta parte, la realizzazione della vacuità da parte del Buddha è completa con tutte le sue potenzialità conseguite, in cui sono presenti gli altri fattori complementari come la grande compassione e bodhicitta.

Bodhicitta, che significa letteralmente generare la mente per l’illuminazione, ha in sé il senso che stiamo generando in noi una vera e propria aspirazione a raggiungere l’illuminazione: non solo per gratificare noi stessi, ma piuttosto per essere di beneficio a tutti gli esseri senzienti. Esprime quindi un senso di coraggio e di espansività. Perciò è detto che la vera bodhicitta è dotata di due aspirazioni. Una è la motivazione causale, la motivazione che dà luogo alla aspirazione ad essere di beneficio a tutti gli esseri senzienti. Questa è la compassione, la motivazione altruistica. Questa motivazione porta alla conseguente apparizione dell’aspirazione genuina per cercare l’illuminazione. Pertanto, bodhicitta è detta essere dotata di due aspirazioni: l’aspirazione altruistica e l’aspirazione a cercare l’illuminazione.

Anche se, in termini di successione, l’aspirazione altruistica ad essere di beneficio per gli altri si pone prima, e l’aspirazione a raggiungere la liberazione nasce più tardi, in termini di ordine effettivo della pratica penso che sia molto importante sviluppare prima una certa comprensione concettuale di ciò che è costituita la liberazione. Che cosa è questo stato che tendiamo a raggiungere? Proprio come ho sottolineato ieri nel contesto di coltivare la rinuncia, è importante essere a conoscenza di ciò costituisce lo stato di rinuncia ed anche ciò che significa la liberazione, in quanto ciò rende il nostro desiderio di raggiungerli pregno di fermezza e determinazione. Analogamente, nel caso della bodhicitta, idealmente si dovrebbe avere almeno una chiara comprensione di ciò che è costituito lo stato di illuminazione, in modo che la nostra aspirazione a raggiungerlo diventi molto radicata ed aumenti il senso di impegno.

Pertanto, nelle Scritture si afferma che i praticanti ideali del sentiero Mahayana sono i bodhisattva che hanno un alto livello di capacità mentale, dove, in realtà, essi entreranno nel percorso Mahayana per prima cosa coltivando la corretta visione della vacuità. Questo corretta visione della vacuità non solo rafforzerà l’aspirazione altruistica, ma, in realtà, vi darà il fondamento che è necessario per realizzare la realizzazione dell’aspirazione altruistica.

In questi tipi di praticanti dapprima sorge la comprensione di ciò che è costituita l’illuminazione. Anche questo sarebbe basato su una comprensione della vacuità. Come nel caso della rinuncia, di nuovo qui vediamo il ruolo critico che gioca la realizzazione della vacuità. Questo non vuol dire che non si può raggiungere la bodhicitta o aspirazione altruistica, senza una comprensione della vacuità. Naturalmente, ci sono possibilità per persone dalla forte fede: la fiducia nel percorso senza avere una comprensione profonda. Con la pura forza della fede, una profonda fiducia ed ammirazione per gli insegnamenti del Buddha, è possibile raggiungere la bodhicitta. Tuttavia tale bodhicitta non sarebbero molto ferma. Essa non avrebbe la stabilità o la forza di convinzione che altrimenti avrebbe.

L’importanza d’avere l’aspirazione altruistica basata sulla comprensione della vacuità è maturata da chi si rende conto che vi è la possibilità di una via d’uscita dalla condizione di non-illuminazione. Una volta che si ha una piena comprensione di questo, la compassione per gli altri esseri senzienti aumenterà enormemente, dal momento che si sa che siamo tutti imprigionati contro la nostra volontà e ne ignoriamo la via d’uscita.

La chiave per il raggiungimento di bodhicitta, la mente dell’illuminazione, è la coltivazione della grande compassione. Grande compassione è uno stato d’animo che si concentra sulla sofferenza degli esseri senzienti e coltiva il forte desiderio di vedere questi esseri senzienti liberi non solo dal dolore manifesto, ma anche dalle cause e dalle condizioni che portano alla sofferenza. La caratteristica principale della mente compassionevole è quella di concentrarsi sugli esseri senzienti, esprimendo la forte volontà che questi esseri senzienti siano liberi dalla sofferenza e dalle loro cause.

A seconda della forza della grande compassione che si genera, questa può portare a diverse forme di bodhicitta, la mente dell’illuminazione. Per esempio nei sutra vi è la menzione di tre diversi tipi di bodhicitta: l’atteggiamento del re, quello del pastore e quello del nocchiero. Nel caso della mentalità del pastore, la sua forza di compassione è tale che, solo dopo aver condotto tutti gli esseri senzienti alla piena illuminazione, è pronto a sperimentare il pieno risveglio per se stesso. Fino a questo punto la persona è totalmente impegnata a lottare per il raggiungimento dell’illuminazione per gli altri.

Questo non significa che i diversi tipi bodhicitta sono in qualche modo gerarchicamente inferiori o superiori, ma sembrano essere sicuramente il modo in cui in noi sorge la compassione. Sembrano esserci delle differenze, almeno nel tipo di tonalità di bodhicitta che sperimentiamo. Nell’Ornamento delle Scritture Mahayana, Asanga afferma che la radice della bodhicitta è la compassione. In generale, la compassione è definita in termini di un’aspirazione che cerca di vedere gli altri esseri liberi dalla sofferenza. L’amore è definito come la dimensione opposta: quella di desiderare di vedere tutti gli esseri senzienti godere della felicità.

A seconda delle forze complementari, le Scritture menzionano anche tre diversi livelli di compassione. Uno è la semplice compassione, motivata dal desiderio di vedere gli altri esseri senzienti liberi dalla sofferenza. Il secondo livello di compassione è rafforzato dalla piena consapevolezza della natura impermanente e transitoria di tutti gli esseri senzienti, anche se gli esseri senzienti continuano ad aggrapparsi ad una qualche nozione di permanenza. Il terzo livello di compassione è la compassione non oggettivante, saldamente fondata su una piena consapevolezza della natura vuota di tutti gli esseri senzienti, anche mentre gli esseri senzienti continuano ad aggrapparsi a qualche tipo di realtà intrinseca al loro essere. Così essi s’imprigionano in un ciclo perpetuo di non-illuminazione. Si vede che la compassione rafforzata dalla consapevolezza della vacuità è la più profonda.