3 – S. S. Dalai Lama: Commentario alla “Ghirlanda delle visioni”

Sua Santità il Dalai Lama: “Inizialmente, ciò che è richiesto è di coltivare bodhicitta, la mente del risveglio, e, una volta che la propria esperienza di bodhicitta, la mente del risveglio, diventa molto forte ed intensa, allora, a quel punto, si dovrebbe riflettere sulla natura ultima di questo “io” che aspira al raggiungimento dello stato di Buddha per il beneficio di tutti gli esseri e sulla natura degli esseri senzienti a beneficio di chi vuole raggiungere l’illuminazione, o la natura dell’illuminazione stessa”.

Questo insegnamento sul Commentario alla “Ghirlanda delle visioni” è stato conferito da Sua Santità il Dalai Lama dal 19 al 21 Settembre 2004 a Miami, Florida, USA. Traduzione dal tibetano in inglese di Thubten Jinpa. Trascritto, annotato e curato da Phillip Lecso. Traduzione dall’inglese in italiano ed editing del Dott. Luciano Villa al Centro Studi Tibetani Sangye Cioeling di Sondrio, il cui nome è stato conferito da Sua Santità il Dalai Lama. Revisione dell’Ing. Alessandro Tenzin Villa e di Graziella Romania nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Terza parte

Sua Santità il Dalai Lama

Parlando dei quattro sigilli del buddismo abbiamo trascurato il quarto.

4) Il Nirvana è la vera pace. Il Nirvana qui è la trascendenza da ogni dolore e si riferisce ad uno stato in cui si è totalmente privi di esistenza condizionata, dell’esistenza condizionata dall’ignoranza fondamentale. Ho parlato di come l’esistenza è caratterizzata da ignoranza e come l’esistenza di ciascuno è quindi della natura della sofferenza. Qui, dicendo ‘che trascende il dolore’, ci si riferisce al dolore al di quella natura dell’esistenza condizionata dalle afflizioni e dall’ignoranza fondamentale, perché più a lungo si rimane in queste condizioni, si rimane sotto il potere di questo stato distorto della mente. Alla radice di questa mente distorta è la convinzione errata dell’esistenza d’un sé o d’un individualità del proprio essere.

Pertanto, coltivando la saggezza che percepisce la non esistenza di questo ego, coltivando la saggezza del non-sé, si è in grado di riconoscere che il proprio attaccamento alla individualità è uno stato sbagliato della mente e, in questo modo, si sarà gradualmente in grado, attraverso il rafforzamento di questa saggezza del non sé, di minare la forza del proprio attaccamento al sé. In questo modo si è in grado in ultima analisi di rimuovere completamente dalla propria mente ogni tendenza ad aggrapparsi al sè. Questo stato in cui si è totalmente liberi da afflizioni e dall’ignoranza fondamentale è uno stato di felicità e di pace duratura. Pertanto nel Quarto Sigillo si afferma: Il Nirvana è la vera pace. La vera pace qui si riferisce alla pace ed alla tranquillità duratura.

Ciò che si trova qui negli insegnamenti dei Quattro Sigilli è la base teorica per la comprensione buddista del cammino verso la liberazione. Quindi ora si pone la domanda: “Come si fa ad integrare questa conoscenza teorica dei Quattro Sigilli in una pratica per intraprendere il sentiero verso l’illuminazione?” Qui c’è una sequenza reale di come la comprensione di una porta alla comprensione dell’altra. Pertanto in un testo si legge: “Poiché è transitorio, è della natura della sofferenza.” La realizzazione della sofferenza porta quindi alla comprensione dell’assenza del sé. Ciò suggerisce che, se si riflette profondamente sulla natura della propria esistenza, in particolare sui propri costituenti fisici e mentali, come il corpo, la mente e così via, che sono tutti oggetti della propria predilezione al sé, quando si pensa a sè stessi, si ha il pensiero istintivo: “Io sto facendo questo” o “Io sono …”. L’obiettivo di questo senso di individualità sono davvero gli elementi fisici e psicologici che costituiscono un’esistenza.

Se si osserva profondamente la natura di tali componenti fisici e mentali che costituiscono un’esistenza, diventa allora evidente che nessuno di essi è permanente; sono tutti transitori, essi sono soggetti a fluttuazioni, modifiche e così via. La realizzazione della loro natura transitoria, in particolare in termini di esistenza momento per momento, permette l’inizio di una comprensione intellettuale. Una volta che si giunge ad una comprensione intellettuale della natura momentanea dell’impermanenza sottile, del proprio corpo e della propria mente, allora questa conoscenza intellettuale, attraverso la sua costante presa di coscienza, può essere interiorizzata. Questo riconoscimento, questa comprensione della natura impermanente della propria esistenza, può quindi portare ad una comprensione della nostra natura di sofferenza, perché, una volta che ci si rende conto che il proprio corpo e la propria la mente, la propria esistenza sono transitori, in quanto sono soggetti a mutamenti momentanei, istante per istante, realizzando loro impermanenza, si arriva allora a rendersi anche conto che essi sono il prodotto di cause e condizioni. Una volta che ci si rende conto che essi sono il prodotto di cause e le condizioni, allora si riconosce subito che sono sotto il potere delle loro cause e condizioni. Questo vale in generale per tutte le cose condizionate, in particolare, nel caso dell’esistenza di ciascuno, è caratterizzata dalla non-illuminazione. Questa non-illuminazione è condizionata dalle afflizioni e dal karma. Si tratta di karma e afflizioni che hanno dato luogo alla propria esistenza non illuminata, alla base della quali è l’ignoranza fondamentale di attaccarsi ad una immaginaria auto-esistenza di sé.

Una volta che si riconosce questo, ci si rende conto che la propria esistenza è sotto il potere del karma e delle afflizioni. Riflettendo sulla natura delle afflizioni, le afflizioni cognitive ed emotive, il termine stesso ‘afflizione’, o klesha in sanscrito o nyon mongs (pr. gnomon) in tibetano, nella etimologia stessa del termine nyon mongs v’è la connotazione immediata d’un qualcosa che affligge da dentro, un qualcosa che crea un profondo turbamento, un qualcosa che infligge sofferenza all’interno della sua mente nel momento in cui si pone. Ogni forma di esistenza che è sotto il dominio di questi stati d’animo afflitti è destinata ad essere della natura della sofferenza. Una volta che si riconosce questo, allora si dovrà anche a rendersi conto che, da una parte, nella normale concezione del Sé, si tende a cogliere una sorta di eterno, unitario ed immutabile sé, ma, una volta che si riconosce che il corpo e la mente sono in uno stato di flusso costante, allora ci si rende conto che la propria credenza d’un sé come unitario, immutabile ed eterno è fuorviante. In questo modo si arriva a poco a poco a sviluppare la comprensione del non-sé, o anatman, l’assenza di individualità. Si potrà anche arrivare a riconoscere che questo ‘sé’ cui ci si afferra, non è degno d’essere rilevato, perché questo afferrarsi al sé porta a tutte le forme di afflizioni, sofferenze e così via.

In questo modo il riconoscimento, la realizzazione dell’impermanenza conduce alla realizzazione della natura della sofferenza dei fenomeni condizionati. E la realizzazione della natura sofferente dei fenomeni culmina nella realizzazione del non-io. E’ questa visione del non-sé che alla fine porta gradualmente a superare le afflizioni. E lo stato in cui si è totalmente liberi dal sé e dai suoi effetti è la vera pace duratura che, in termini buddhisti, è chiamato liberazione o moksha. Una volta che si ha questo tipo di riconoscimento della possibilità di raggiungere una tale cessazione delle afflizioni e di poter raggiungere la liberazione, allora all’interno della propria mente nasce una vera aspirazione a raggiungere questa liberazione.

Infatti, quando si parla del Buddhadharma, la vera definizione qui del Buddhadharma si riferisce alla ricerca della liberazione dall’esistenza ciclica. Ogni forma di spiritualità che si fonda ed è ispirata a cercare la liberazione è Buddhadharma. Per esempio, molte delle pratiche etiche di base, come l’astensione dalle dieci azioni negative [di corpo, parola e mente], questa pratica da sola non può essere qualificata come un percorso specifico buddista, in quanto è comune a tutte le tradizioni religiose.

Inoltre, deliberatamente abbandonare l’atto di uccidere per paura delle sue conseguenze giuridiche non può nemmeno essere qualificato come pratica religiosa. D’altra parte, se si prende deliberatamente il voto di non uccidere sulla base del fatto che si ha paura delle conseguenze karmiche, come rinascere in un regno più basso di esistenza, questa è una pratica etica comune sia buddista che delle tradizioni non buddiste. Tuttavia, se la propria pratica di una disciplina etica, che è un voto intenzionale d’abbandonare l’atto di uccidere è motivato o fondata sull’aspirazione a raggiungere la liberazione, come ho definito in precedenza come la libertà totale dalle afflizioni mentali, ignoranza fondamentale e così via, quindi, questo tipo di pratica etica può essere descritto come una pratica etica veramente buddista.

Ad esempio, di solito quando si parla di rifugio nei Tre Gioielli, questo è principalmente il gioiello Dharma. Il gioiello Dharma, nel contesto dei Tre Gioielli, è definito in termini di cessazione delle afflizioni. Entro i tre oggetti di rifugio, i Tre Gioielli, il gioiello Dharma è il più importante. Tuttavia, nella sequenza di prendere rifugio, prima si prende rifugio nel Buddha, in secondo luogo nel Dharma ed, infine, nel Sangha e nela comunità spirituale. Questo riflette il loro ordine cronologico come sono venuti in essere nel contesto della specificità del Buddha storico. Ad esempio, nel caso di Buddha Shakyamuni, ha raggiunto il mondo, poi ha dato insegnamenti che costituivano il Dharma scritturale e, sulla base della pratica di quegli insegnamenti, nella mente dei discepoli avvennero le realizzazioni. Le Scritture e le realizzazioni insieme, nella mente dei discepoli, costituiscono il Gioiello Dharma. Questi individui che hanno guadagnato la realizzazione diretta della verità del Dharma, diventano l’Arya Sangha, i membri Nobili del Sangha. Quindi, in questo approccio si segue un ordine cronologico.

Nel caso del Buddha stesso, il fatto di diventare pienamente illuminato, gli fu necessario per interiorizzare la conoscenza del Dharma e lo stesso vale per i membri Nobili del Sangha, i membri Arya, in quanto sono l’incarnazione di questa conoscenza Dharma che li rende Arya o Esseri Nobili. Pertanto, per indicare l’importanza del gioiello Dharma, si legge nelle Scritture che perfino il Buddha, quando dava insegnamenti, per dimostrare il suo rispetto e riverenza per il Dharma, sistemava appropriatamente il proprio cuscino sul sedile.

Per tornare al testo, stavo discutendo le distinzioni tra le scuole filosofiche non buddiste da un lato, e le buddista dall’altro. E come queste si distinguessero in base alla credenza nei Quattro Sigilli, tra i quali il più importante è quella di non-io, la negazione od il rifiuto della credenza in un sé eterno ed indipendente. Questo è il segno caratteristico del buddismo, che è il rifiuto di qualsiasi nozione di indipendenza di auto-esistenza d’un sé indipendente, eterno ed immutabile. Storicamente, se si guarda alle tante scuole filosofiche nell’antica India, esiste una chiara linea di demarcazione tra i buddisti ed i non buddisti in base alla posizione sul sè o non auto-esistenza o individualità. Da un lato vi sono i buddisti che nel complesso hanno respinto qualsiasi nozione di un sé eterno, immutabile ed indipendente e, dall’altro, v’erano le scuole non buddiste che, nel complesso, credono in una forma o nell’altra in una versione della propria esistenza o atman come eterna, immutabile e unitaria. Oltre a questo, all’interno delle scuole non buddiste ci sono le scuole teiste e le scuole non teiste; ci sono alcuni che credono e altri che non credono nella rinascita; alcuni che credono ed altri che non credono nella liberazione o moksha, e così via. Così, la distinzione tra buddisti e non buddisti ruota attorno alla loro posizione sulla natura e/o l’esistenza d’un sé.

Il testo recita: Gli estremisti sostengono l’esistenza di un sé eterno perché reificano tutti i fenomeni attraverso l’imputazione concettuale. La relazione all’attribuzione concettuale suggerisce qui che questo è un motivato punto di vista filosofico o postulato perciò non si riferisce alla innata, concezione naturale di individualità, ma si riferisce ad un ragionato punto di vista filosofico dove sulla base di analisi e di riflessione, si arriva ad aderire ad un punto di vista che sostiene la credenza in ua concezione di auto-esistenza o individualità eterna ed indipendente. Questo è comune a tutte le scuole non buddiste.

All’interno di questo gruppo di scuole non buddiste che sostengono la dottrina d’un sé eterno, ci sono differenze cosicchè il testo recita: [Gli estremisti sono composti da] coloro che vedono la presenza di effetti ma privi d’una causa. Questo si riferisce alla scuola indiana chiamata Charvaka che ha respinto qualsiasi idea di [causalità,] rinascita e così via. Anche se credono nell’esistenza di un sé eterno, duraturo, immutabile, non sposano la dottrina della rinascita [o causalità]. Essi accettano effetti quali l’esistenza di un sé ma ne rifiutano come la causa il concetto di rinascita [o una precedente esistenza].

Il prossim passo: “Coloro che vedono erroneamente le cause e gli effetti” si riferisce a quelle scuole, come la Samkhya che capiscono l’origine del cosmo, in termini di ciò che chiamano la sostanza primordiale o prakrti. Questa sostanza primordiale è vista come permanente, immutabile e così via. Questo vale anche per le scuole teiste indiane che credono in una Causa Prima immutabile ed eterna o auto-causalità o causa naturalmente derivante. Il problema, qui, dal punto di vista buddhista, è che, se la causa è caratterizzato come eterna ed immutabile, allora come si può accettare che l’origine del mondo produca degli effetti, i quali riflettono molto chiaramente il cambiamento, la fluttuazione e transitorietà? Come si può considerare l’origine di questi effetti mutevoli da una causa che è immutabile ed eterna?

La terza suddivisione è descritta come: Quelli che vedono l’assenza di effetti laddove vi è una causa. Questo si riferisce ad un’altra categoria comprendente una scuola filosofica non buddista che, pur accettando l’esistenza del sé come immutabile e permanente, crede che alla base di questa individualità vi sia il corpo e la mente, che sono transitori e fluttuanti. L’obiezione è che vi è una contraddizione tra le caratteristiche della causa da un lato e la caratteristica dell’effetto dall’altro.

Dopo aver descritto le varie forme di visioni filosofiche non buddiste, li riassume tutte dicendo: “Tutte queste sono visioni di ignoranza”.

A sintesi della discussione fino a questo punto, si trova qualcosa di molto simile alla Lode di Tsongkapa a Buddha Shakyamuni in cui in riferimento al Buddha afferma:

La verità che hai rivelato, sulla base della tua conoscenza

La verità del non-io e la vacuità di esistenza inerente

E coloro che seguono i tuoi insegnamenti e sono l’esempio nella comprensione di queste verità

Per questi individui

Essi andranno sempre più lontano da qualsiasi fonte di caduta.

Tuttavia coloro che sono in contrasto col percorso che hai insegnato

Anche se possono ricorrere a tutti i tipi di privazioni e pratiche ascetiche

In loro continueranno a proliferare le basi per le afflizioni.

Questo è perché continuano a rafforzare il loro attaccamento al sé. (1)

Qui emerge l’idea che, oltre all’attaccamento innato al sè che noi tutti naturalmente possediamo, a volte come risultato dell’analisi filosofica si può rafforzare ulteriormente questo attaccamento innato e consolidarlo attraverso il ragionamento filosofico. In questo caso, oltre al già presente innato afferrarsi al Sé, si avrà anche un potente afferrarsi acquisito filosoficamente. Qui la distinzione tra i buddisti ed i non buddisti è effettuata sulla base o meno che si afferma o si respinge l’oggetto di auto-attaccamento.

Qui Jamyang Shayba ha riassunto tutto ciò nel suo testo radice sulle filosofie indiane (La Grande Esposizione delle Visioni Buddiste e non Buddiste sulla Natura della Realtà) dicendo: “La distinzione fra le scuole buddiste e non buddiste è fatta sulla base di affermare o respingere l’oggetto di afferrarsi al sé”. (2)

Allora si può sollevare la domanda: “Perché c’è una tale proliferazione di tanti punti di vista filosofici, tante scuole filosofiche, tra cui le varie forme di filosofia buddista?” Per rispondere a questa domanda, nel Lankavatara Sutra troviamo il riferimento a molti forme diverse di veicoli spirituali. Ci si riferisce ai veicoli degli esseri celesti, agli esseri umani e così via. Il punto espresso nel Lankavatara Sutra è che, fino a quando esisteranno gli esseri senzienti, ci sarà una molteplicità e varietà di inclinazioni spirituali, disposizioni mentali e così via.

Verso 205. Non c’è davvero alcun istituzione di vari veicoli, e quindi parlo dell’unico veicolo; ma per portare gli ignoranti, parlo di una varietà di veicoli.

Dal punto di vista buddista, se si osserva la diversità delle tradizioni religiose presenti nel mondo d’oggi, tutti sottolineano la pratica della disciplina etica. Tutti sottolineano l’importanza di coltivare amore e compassione, buon cuore, finalizzati alla formazione di un essere umano migliore, un essere umano più gentile e più compassionevole. Molte di queste tradizioni insegnano anche pratiche spirituali che mirano ad un più alto livello di realizzazione, come rinascere in paradiso e così via. Pertanto, la pratica dell’etica è al centro di tutte queste tradizioni religiose. Quindi, dal punto di vista buddhista, questa molteplicità di tradizioni di fedi può essere vista come quello che viene definito nelle Scritture come i Veicoli per gli esseri umani e gli esseri divini. Il veicolo dei Deva, il veicolo Brahma, il veicolo Sravaka, il veicolo Pratiekabuddha ed il veicolo Tathagata, di questi parlo.

Nell’antica India ci sono state anche tradizioni spirituali non buddiste dove, oltre alle pratiche etiche, c’erano anche tecniche di meditazione altamente sviluppate e raffinate tutte volte a coltivare degli stati profondi, univoci di crescita della mente. Questi sono stati descritti come stati della forma e senza forma. Molte di queste pratiche meditative che hanno sottolineato la coltivazione della concentrazione univoca della mente sono conosciute anche come shamatha o calmo dimorare e speciale o profonda introspezione (vipasyana). Questi sono stati sviluppati riflettendo profondamente sui difetti dell’esistenza all’interno del Reame del Desiderio e trascendendo il livello dei sensi, andando oltre gli stati della forma e senza forma. Questi tipi di pratiche e sistemi religiosi che li sanciscono dal punto di vista buddhista, dal punto di vista del Lankavatara Sutra sarebbero intesi come il veicolo Brahma.

Ci sono altri percorsi come quello rivolto principalmente al raggiungimento della liberazione dall’esistenza ciclica e l’eliminazione della ignoranza fondamentale che si afferra al sè. Questi percorsi sono descritti nelle Scritture come percorsi che trascendono il mondo ed hanno ulteriori suddivisioni. Ad esempio, vi è il veicolo Sravaka o Veicolo degli Uditori, il veicolo Pratyekabuddha o degli auto-realizzatori o realizzatori solitari ed il veicolo Bodhisattva che sono elencati e descritti qui in questo testo.

Come afferma il Lankavatara Sutra, fintanto che ci sarà una diversità di pensieri tra gli umani, ci sarà pure una varietà di percorsi spirituali che sarà appropriata per i singoli esseri umani. Ciò suggerisce un riconoscimento ad un livello profondo in quanto, data la diversità delle disposizioni mentali, le inclinazioni e gli interessi spirituali degli esseri senzienti, vi è la necessità d’una diversità di percorsi spirituali. Quindi, in corrispondenza con la diversità delle disposizioni mentali, le inclinazioni e gli interessi spirituali degli esseri senzienti, i percorsi evolvono in modo che siano appropriati ed adatti a queste diverse disposizioni, inclinazioni ed interessi degli esseri senzienti.

Se questo è il caso, se questo è un fatto, allora non c’è semplicemente alcuna base per discutere o domandarsi, in un modo o nell’altro, che questo o quello è il miglior percorso [per tutti gli esseri] o che è il percorso peggiore. Questo è perché la valutazione della validità di un percorso deve davvero essere eseguita sulla base della considerazione che un particolare percorso è vantaggioso o meno, è o meno adatto per un dato individuo. Semplicemente perché, da un certo punto di vista di una certa tradizione religiosa o punto di vista filosofico, può essere descritto come superiore, non significa che sia il “migliore”. Perché, a seconda della necessità del singolo, c’è un percorso specifico che è più adatto per quella persona. Come buddista, una volta che si arriva a riconoscere il tipo di comprensione, allora si apprezzerà immediatamente la necessità e l’importanza della comprensione e dell’armonia interreligiosa.

Anche nel contesto del buddismo si parla di quattro scuole filosofiche: Vaibhasika, Sautràntika, Cittamatra e Madhyamika. Si parla anche dei Tre Veicoli, due veicoli, il Piccolo e Grande Mezzo di trasporto e così via. Tutti questi sono attribuiti a un solo insegnante, il Buddha Shakyamuni. Se si dovesse chiedere: “Cosa è in realtà il punto di vista finale del Buddha?». «Perché il Buddha insegna in una tale diversità ed a volte gli insegnamenti appaiono contraddittori nelle sue Scritture?” Il punto di vista finale del Buddha è, dal punto di vista della Madhyamika, quello della filosofia della Via di Mezzo, ma è un dato di fatto che il Buddha ha insegnato la sua visione nell’ambito delle scuole Vaibhasika, Sautrantika e Cittamatra. Ha anche insegnato le pratiche dei Piccolo e Grande Veicolo.

Si può anche vedere nel contesto buddista un riconoscimento di come l’insegnamento del Buddha Dharma deve essere compreso in un contesto di sua adeguatezza ad un determinato pubblico. Non è che il Buddha come essere illuminato abbia voluto rivelare una sola verità per tutti. Il Buddha ha selezionato la cosa più vantaggiosa, efficace ed adeguata in un dato contesto per una data situazione. Resta inteso che la profondità, il valore e la validità di un particolare insegnamento si basa sulla valutazione di quanto sia vantaggioso. Se l’insegnamento è benefico nel suo dato contesto, è profondo. Se non è vantaggioso, anche se può essere un insegnamento molto profondo, non ha alcun valore. Così la validità ed il valore di un insegnamento spirituale deve essere giudicato sulla base della sua efficacia e la sua utilità nel suo ambito specifico.

Da questo punto di vista, non si può davvero dire che un insegnamento è più profondo di un altro, ma che la sua profondità e validità devono essere valutate contestualmente. Se si può usare questo come esempio per la propria tradizione, si può estrapolare questa prospettiva ed estenderla ad altre tradizioni religiose. Se si guarda ad altre tradizioni religiose, in generale, si può osservare due dimensioni in qualsiasi tradizione spirituale. Vi è la dimensione etica e la dimensione filosofica o metafisica. Nel regno della metafisica / filosofia, ci possono essere grandi differenze tra le varie tradizioni religiose. Tuttavia, a livello dell’etica, c’è una uniformità di metodi tra tutte le grandi tradizioni del mondo. Tutte esprimono lo stesso messaggio di amore, compassione, perdono, tolleranza e necessità di una disciplina, la semplicità e la contentezza. Tutti questi sono metodi comuni di insegnamento etico di tutte le tradizioni religiose. Quindi, da questo punto di vista non si può dire che si tratta di una religione migliore d’un altra. Non si può fare una tale affermazione semplicemente perché tutte affermano lo stesso messaggio.

Dal punto di vista filosofico, si può vedere che la filosofia / metafisica è la premessa o spiegazione che culmina con il risultato che è il cuore della dottrina religiosa: gli insegnamenti etici. Gli insegnamenti etici sono il risultato dell’analisi filosofica. Così, nel regno della filosofia, ovviamente ci sono molte differenze, come dai differenti livelli in cui si collocano, si spiega l’importanza dell’amore, della compassione, il perdono e così via, come viene motivata l’importanza di queste pratiche etiche e quali spiegazioni o motivazioni sono offerte per seguirle. Questo sono le differenze tra le diverse tradizioni religiose.

Per esempio nelle religioni teiste, v’è la credenza in un creatore onnipotente o essere divino, perciò il fondamento della comprensione filosofica e gli insegnamenti etici sono basati su questa convinzione fondamentale. Se ci si fonda su questo tipo di sistema di credenze, allora la premessa per la propria intera pratica etica è di cercare di vivere la propria vita per soddisfare il desiderio o la volontà dell’onnipotente creatore. Così, per alcuni individui, questo approccio teistico ha un senso di immediatezza o di potere, mentre per altri individui sarebbe più adatta una spiegazione basata su un approccio non-teistico. Ecco che l’importanza dell’amore, della compassione e così via, può avere a che fare con la comprensione della propria responsabilità individuale nei confronti degli altri in base ad un rapporto di causa ed effetto, e così via. Questo approccio non teistico, dove l’enfasi è sulla comprensione di se stessi come artefici della propria salvezza finale, può essere più efficace e portare ad una maggiore risonanza.

Pertanto, non si può davvero dire che un particolare approccio è il migliore, in quanto “il migliore” deve essere giudicato sulla base di un contesto individuale. Tuttavia, esclusivamente sul piano filosofico o metafisico, si possono individuare certe idee come più sofisticate, raffinate o logiche di altri. Ciò è possibile, ma nel valutare una tradizione nel suo complesso, semplicemente non ha senso affermare che una sia migliore o peggiore di un’altra.

Uso spesso l’esempio della medicina. Quando si guarda alla medicina, si possono fare varie distinzioni basate sui costi. Tuttavia, quando si chiede qual è la migliore medicina per una certa condizione, non si può decidere in base al costo. Il valore di qualsiasi medicinale risiede nella sua capacità di curare o trattare una particolare malattia. Qualunque sia il farmaco più efficace per quella particolare malattia, è da questo punto di vista che si decide, indipendentemente dal costo. Si può certamente dire che un farmaco è più importante di un’altro, in quanto è più costoso, ma, in senso proprio, il valore della medicina viene giudicato sulla base della sua efficacia rispetto ad una specifica malattia.

Tuttavia, quando si cerca di definire la medicina, la caratteristica di un farmaco è la sua capacità di curare o trattare una malattia. Non si può definire la medicina in termini di quanto costa. Si può definire soltanto in termini di efficacia in relazione ad un particolare disturbo. Allo stesso modo quando si parla di una pratica spirituale o di insegnamento, si può definire solo il valore di un insegnamento spirituale in relazione alla sua efficacia nel trasformare le proprie emozioni e pensieri.

Quando il Buddha era in India, ha vissuto in un contesto culturale in cui ci sono state molte altre tradizioni spirituali. In questo contesto il Buddha ha sviluppato il suo proprio metodo del non-io, il rifiuto alla fede in un sé eterno, duraturo, costante e così via. In alcuni casi il Buddha aveva discusso con i suoi contemporanei sui vantaggi e gli svantaggi a credere in un sè e così via. Tuttavia, il Buddha non mai affermato nei suoi insegnamenti che tutto il popolo dell’India dovesse aderire al Buddismo, né si aspettava che lo facesse. Non avrebbe mai immaginato o sostenuto la possibilità o chiesto che tutti dovessero seguire il suo percorso.

{Sua Santità in inglese] Questa è la base per il rispetto reciproco tra le diverse tradizioni e, di fatto, per generare reciproca ammirazione. Io sono un buddista. A volte mi hanno descritto come un forte buddista così sono d’accordo con alcune delle visioni [degli altri]. Ma li rispetto sinceramente perché nel passato hanno lavorato per l’umanità. Hanno dato immensi benefici a milioni di persone, per cui ci sono tantissime ragioni perché prevalga il rispetto, l’ammirazione, l’apprezzamento. Quindi, questo che sento, è il modo corretto di sviluppare e promuovere una vera intesa tra le varie tradizioni spirituali.

Torniamo al testo, perché è ora di andare lungo il sentiero buddhista. Il percorso che trascende il mondo è costituito da due categorie: 1) il veicolo della dialettica e 2) il veicolo indistruttibile del Vajrayana. Il veicolo della dialettica, a sua volta è triplice: 1) il veicolo degli uditori, 2) il veicolo degli auto-realizzato o realizzatori solitari e 3) il veicolo dei bodhisattva.

Di questi, l’opinione di coloro che sono entrati nel ​​veicolo degli uditori è la seguente. Quindi il testo fa ora riferimento a coloro che detengono il punto di vista filosofici del Piccolo Veicolo, o gli Sràvaka. La loro visione è spiegato come: “Essi sostengono la visione nichilistica di negare tutto e la visione eternalistica d’affermare l’esistenza della realtà eterna, postulata da estremisti e così via, per mezzo di reificazioni e denigrazioni, le quali sono false come percepire una corda arrotolata come un serpente. La visione nichilistico si riferisce qui alle posizioni degli irriflessivi, i materialisti ed i nichilisti che nel complesso rifiutano il concetto di vite precedenti, delle rinascite e così via. Qui la vista eternalistica si riferisce alla credenza in un sé eterno, durevole ed indipendente che è stato discusso in precedenza.

Coloro che aderiscono al punto di vista filosofico del Veicolo degli Uditori sostengono che questi tipi di postulati, il rifiuto della rinascita e così via, costituiscono delle denigrazioni. La credenza in un sé eterno e così via costituisce una forma di reificazione. Questi sono falso come scambiare una corda arrotolata per un serpente.

Dopo aver spiegato che cosa essi rifiutano, il testo continua a spiegare ciò che il Veicolo degli Uditori in realtà sostiene: “Essi visualizzano gli aggregati, gli elementi e le fonti come essere composti da quattro grandi elementi e così come la coscienza essere in ultima analisi reale”. Il testo va quindi alla loro comprensione filosofica della natura della realtà, in cui vedono il mondo fisico costituito da particelle indivisibili e senza parti, privi di qualsiasi dimensione spaziale. È attraverso l’aggregazione di queste particelle indivisibili che capiscono il mondo fisico o materiale. Esprimono l’origine e la natura della coscienza in termini di un’aggregazione di momenti di coscienza o stati mentali che sono temporalmente indivisibili. Asseriscono che entrambi, oggetti materiali esterni e stati mentali interni, sono, in ultima analisi, reali.

Il testo prosegue: E’ per mezzo della meditazione sulle Quattro Nobili Verità che, a tempo debito, vengono realizzati i quattro tipi di risultati. Pertanto, i seguaci del veicolo Sravaka o Veicolo degli Uditori sostengono che è attraverso la pratica delle Quattro Nobili Verità che si conseguiranno, a tempo debito, i quattro tipi di risultati: 1) l’Ingresso nel Sentiero, 2) Il Ritorno nel Sentiero, 3) Il non Ritorno e 4) l’Arhat.

Più avanti il testo prosegue con la spiegazione della visione dei seguaci del veicolo Pratiekabuddha, quello degli auto-realizzatori o meditatori solitari. Il testo recita: Il punto di vista di coloro che sono entrati nel ​​veicolo degli auto-realizzatori è il seguente. Per quanto riguarda la visione del sé eterno e così via, che, per mezzo di reificazioni e denigrazioni, è postulato essere inesistente dagli estremisti, questi sono simili agli Uditori. Il punto qui è che, per quanto riguarda la dottrina sul non-sé o anatman, sia per i seguaci del veicolo Pratiekabuddha che degli Uditori, essi condividono la stessa posizione. Per quanto riguarda l’anatman, condividono la stessa opinione.

La differenza è che essi considerano gli aggregati della forma ed un aspetto degli elementi della realtà come privi di auto-esistenza. È un riferimento alla unicità del punto di vista dei Pratyekabuddha. Qui il riferimento ad una parte degli elementi della realtà si riferisce alla comprensione dell’assenza del sè dell’oggetto rispetto al soggetto. All’interno del mondo di soggetto e oggetto, gli aderenti a questo punto di vista rifiutano l’auto-esistenza di oggetti, ma non del [percepente] soggetto. Essi credono nella realtà ultima delle esperienze soggettive.

Questo modo di differenziare gli Sràvaka dagli auto-realizzatori è simile a quella che si trova nell’Abhisamayalamkara di Maitreya od Ornamento delle Chiare Realizzazioni. In questo testo, è chiaramente differenziata la saggezza dei tre veicoli e la saggezza primaria del veicolo Sravaka è quello della comprensione non-sé della persona e la saggezza primaria dei Pratyekabuddha è quello della comprensione della non-dualità tra soggetto e oggetto, il che è simile al punto di vista della scuola della Sola Mente. La saggezza primaria del bodhisattva è la comprensione del non sé della persona e dei fenomeni.

Verso 76: Nell’ambito della conoscenza del percorso

Attraverso la non osservazione degli aspetti

Delle Quattro realtà dei Nobili

Questo percorso degli ascoltatori dovrebbe essere noto.

Verso 80: Perché si rendono conto del carattere essenziale auto-originato

Non hanno nemmeno bisogno di insegnamenti da altri.

La saggezza di coloro che sono come un rinoceronte

Viene detta essere decisamente più profonda.

Verso 81: A certe persone, che desiderano ascoltare

Alcuni soggetti in un certo modo,

Questi argomenti

Appariranno quindi anche senza parole.

Verso 82: Perché le concezioni sugli oggetti appresi sono abbandonate,

Perché chi apprende non viene abbandonato,

E attraverso il sostegno, il cammino di coloro che sono come un rinoceronte

Dovrebbe essere noto per essere perfettamente riassunto.

Il testo continua: inoltre, al momento di raggiungere il frutto dello stato di auto-realizzazione, a differenza degli uditori, gli auto-realizzatori non dipendono da un mentore spirituale. Quindi l’auto-realizzatore è in grado di ottenere la realizzazione senza dipendere dalla presenza di un maestro. [Piuttosto] a causa della forza della sua precedente familiarizzazione, si rende conto della profonda realtà ultima per mezzo dei Dodici Anelli dell’Origine Dipendente https://www.sangye.it/altro/?p=3430 e raggiungerà il frutto dell’auto-illuminazione. Nelle Scritture, i Pratyekabuddha sono particolarmente associati con una profonda comprensione del meccanismo e la dinamica dei Dodici Anelli dell’Origine Dipendente. Questa profonda comprensione è sia in termini di causalità proiettata dal primo anello della catena al secondo anello e così via, sia di comprensione di come, interrompendo il collegamento precedente, si può ottenere la cessazione di dell’anello successivo della catena. Quindi, questa comprensione dei Dodici Anelli dell’Origine Dipendente https://www.sangye.it/altro/?p=577 nel contesto del veicolo degli auto-realizzatori è sia in termini di illustrazione della dinamica della creazione samsarica, sia per indicare come interromperla.

Realtà Ultima: qui si riferisce agli auto-realizzatori, che comprendono l’assenza di dualità tra il soggetto [percipente] e l’oggetto [percepito]. Il testo continua: Si rendono conto della profonda realtà ultima per mezzo dei Dodici Anelli dell’Origine Dipendente e raggiungono il frutto dell’auto-illuminazione.

Quindi è il veicolo bodhisattva, e qui il testo recita: Il punto di vista di coloro che hanno preso posto nel veicolo dei bodhisattva è il seguente. Tutti i fenomeni delle classi completamente afflitte e illuminati sono, a livello finale, privi di natura intrinseca, mentre a livello convenzionale possiedono le loro caratteristiche individuali in modo chiaramente distintivo. Questa frase spiega il punto di vista filosofico della Scuola della Via di Mezzo, che rappresenta il punto di vista del bodhisattva.

Storicamente tra i commentatori degli insegnamenti di Nagarjuna sulla vacuità, sono ampiamente emersi due distinti approcci. Da una parte ci sono i grandi maestri come Bhavaviveka, Haribhadra, Shàntaraksita, che visitò il Tibet, e Kamalashila. Mentre da un lato tutti questi maestri rifiutano il concetto di vera esistenza a livello ultimo, dall’altro accettano una qualche nozione di svabhava o di auto-natura a livello convenzionale. Dall’altro lato ci sono i grandi maestri quali Buddhapalita, Chandrakirti e Shantideva che rifiutano il concetto di … (Interruzione di Sua Santità) .. Sua Santità disputava il mio uso del termine self-nature o auto-natura per tradurre svabhava, perché, rifiutando il concetto di svabhava, che a volte viene tradotto come essere intrinseco, auto-natura o essere proprio, Sua Santità ha sottolineato che non stanno rifiutando le caratteristiche individuali dei fenomeni. Ad esempio, la solidità è la caratteristica che definisce l’elemento terra. (Di nuovo interruzione di Sua Santità). Non si sta rifiutando qualsiasi nozione di natura: i singoli fenomeni hanno la loro propria natura quale la solidità come la natura che definisce l’elemento terra o il calore come la caratteristica del fuoco e così via. Queste modalità di definizione delle nature non vengono respinte, ma è rifiutato qualsiasi tipo di caratteristica intrinseca o svabhava.

Così, dall’altro lato ci sono i grandi maestri come Buddhapalita, Chandrakirti e Shantideva che, non solo rifiutano qualsiasi idea di vera esistenza a livello ultimo, ma rifiutano anche la nozione di svabhava, essere intrinseco o auto-natura o essere proprio anche a livello convenzionale. Si può così vedere che, storicamente, sono emerse diverse interpretazioni degli insegnamenti di Nagarjuna sulla vacuità e le differenze consistono nell’accettazione o nel rifiuto della nozione di svabhava o di auto-natura a livello convenzionale. Essi differiscono anche sul fatto che gli Uditori o Sravaka ed i Pratyekabuddha realizzano o meno la vacuità dei fenomeni al fine di ottenere la liberazione. C’è anche una differenza di opinione sul fatto che c’è o non c’è una differenza sulla sottigliezza tra la vacuità delle persone e la mancanza del sé dei fenomeni. Su questi dettagli in senso lato, sono emersi due approcci distinti di comprensione della vacuità da parte di Nagarjuna.

Il testo continua: I bodhisattva aspirano a cercare l’insuperabile illuminazione, che è il conseguimento del percorso dei Dieci Livelli ed il frutto della pratica delle Sei Perfezioni, una ad una. Il testo qui sta precisando che, in termini di percorso, i bodhisattva percorrono i dieci bhumi del Bodhisattva, o terreni, mediante la pratica delle Dieci Perfezioni. Quando si parla delle Dieci Perfezioni, in aggiunta alle consuete Sei, la sesta perfezione, la perfezione della saggezza, è ulteriormente suddivisa nella saggezza: dei mezzi abili, di potenza, di aspirazione e la saggezza trascendente. È sulla base della pratica di queste dieci perfezioni che un bodhisattva aspira finalmente a raggiungere l’insuperata illuminazione, passando attraverso i dieci bhumi del bodhisattva, uno per uno.

Più avanti il ​​testo tratta il Vajrayana e si legge: Il veicolo indistruttibile del Vajrayana ha tre classi: 1) il veicolo del Kriya Tantra, 2) il veicolo di Ubhaya Tantra e 3) il veicolo di Yoga Tantra. Kriya Tantra è chiamato anche Tantra dell’azione. Ubhaya Tantra comprende sia le attività esterne che yoga interno. Qui Yoga Tantra è un termine generico che viene utilizzato sia per lo Yoga che per i Tantra Yoga più alti.

Più avanti il ​​testo illustra la prima classe di tantra, dicendo: Il punto di vista di coloro che sono entrati nel Kriya Tantra è il seguente. Sebbene a livello ultimo non vi sia originazione nè cessazione, a livello convenzionale, si visualizza se stessi sotto forma di una divinità e si coltiva l’immagine della divinità. Il testo qui sta precisando che, in generale, una delle caratteristiche che definiscono il percorso Vajrayana è la pratica dello yoga della divinità. Qui il testo spiega il cuore della pratica dello yoga della divinità, che è quello di generare se stessi come divinità sulla base di una profonda introspezione nella natura ultima del sé. Questo si evidenzia nel testo con la frase ” a livello ultimo non c’è né originazione nè cessazione”. Naturalmente, in realtà non vi’è alcuna origine o di cessazione a livello finale, ma ciò che viene sottolineato è che dobbiamo coltivare il riconoscimento, la consapevolezza di questa verità. Poi, con la stessa mente che ha compreso o conseguito questa realizzazione, si sorge in forma di una divinità.

Il testo quindi dice che “a livello convenzionale, si visualizza se stessi sotto forma di una divinità e si coltiva l’immagine della divinità” (o corpo) con gli attributi – gli utensili manuali (che simboleggiano la mente della divinità) e le ripetizioni del mantra (che simbolizzare la parola) sulla base della potenza della unione dei necessari articoli rituali e d’altre condizioni. Pertanto, la caratteristica fondamentale del Kriya Tantra è l’enfasi sulla necessità delle attività esterne, gli articoli rituali e così via, come ausilio per giungere alla realizzazione dello stato dello yoga della divinità interiore.

Qui il testo sta discutendo i vari livelli del percorso del veicolo Vajrayana e qui è importante capire cosa si intende per Vajrayana o veicolo indistruttibile. Il termine vajra qui ha la connotazione di indivisibilità, così, in questo senso, ci si riferisce ad un veicolo che ha come caratteristica centrale l’indivisibilità. Che cosa è questa indivisibilità? Si riferisce alla indivisibilità dell’aspetto metodo di percorso con l’aspetto saggezza del percorso, quindi è l’indivisibilità di questi due aspetti del percorso, metodo e saggezza, che è l’essenza del percorso Vajrayana.

Tuttavia, nella misura in cui si è interessati alla necessità dell’unione di metodo e saggezza, questo è pure sottolineato anche nella Via della Perfezione o Veicolo del Sutra. Ad esempio, nel testo di Nagarjuna alla fine del testo si trova un’aspirazione in cui Nagarjuna traccia un parallelo o correlazione tra i due accumuli: l’accumulo di meriti e l’accumulo di meriti come corrispondenti ai due Buddha Kaya, il Corpo della Forma di un Buddha e il Corpo di Verità di un Buddha. È attraverso l’affidamento in un percorso con entrambi gli accumuli di meriti e saggezza che si aspira a raggiungere la Buddità, che è l’incarnazione dei due Buddha Kaya o due Corpi del Buddha della Forma e della Realtà.

Allo stesso modo, Chandrakirti, nel suo testo “Il Supplemento alla Via di Mezzo o Madhyamakavatara” spiega come mettere a confronto i due aspetti del percorso, il metodo e saggezza, paragonandoli alle due ali di un uccello che scivola attraverso l’oceano per raggiungere la riva dell’illuminazione.

Verso 226: E come il re di cigni si libra innanzi agli uccelli minori,

Su ampie ali bianche del relativo e ultimo completamente diffondersi.

E volano grazie alla forza del forte vento delle virtù

Per ottenere la lontana e suprema riva, le qualità oceaniche della Vittoria.

Così, ancora una volta, si pone l’accento sulla necessità dell’unione degli aspetti di metodo e saggezza del percorso.

Tuttavia, nel contesto del percorso non Vajrayana, il veicolo Sutra, l’unione di queste due accumulazioni, intese in termini dell’uno a completamento dell’altro, l’aspetto metodo del percorso e l’aspetto saggezza sono visti come due flussi indipendenti di realizzazione. Il metodo si contraddistingue soprattutto per le Cinque Perfezioni di generosità, coltivare la mente del risveglio e così via, mentre l’aspetto saggezza del percorso è caratterizzato principalmente dalla saggezza della vacuità. È attraverso la complementarietà di questi due aspetti del percorso che si sviluppa l’unione di metodo e saggezza.

Nel contesto Vajrayana però, l’unione di queste due accumulazioni è inteso ad un livello molto più profondo, dove la loro unione non è una questione di due fattori a complemento degli altri, ma piuttosto la loro unione è in forma di loro indivisibilità. In altre parole, sia gli aspetti metodo e saggezza del percorso devono essere presenti in un singolo evento di uno stato mentale. Come si raggiunge questo obiettivo? Ciò si riflette nelle prime fasi della pratica. Per esempio, nella meditazione dello yoga della divinità, il nucleo della sua pratica è quello di generare prima la comprensione della vacuità e poi questa saggezza della vacuità, che è immaginata come derivante o prendere la forma di una divinità. Quindi, all’interno di un unico evento mentale, vi è sia la realizzazione della vacuità che la visualizzazione di sè stessi come una divinità: e questi sono visti come inseparabili.

Ma, alla fine, il vero significato della indivisibilità di metodo e saggezza si pone a livello del più alto Yoga Tantra, dove, all’interno di un singolo istante della condizione di chiara luce della mente, sia i fattori per il raggiungimento del Rupakaya, il corpo del Buddha, o del Dharmakaya, il corpo di realtà del Buddha sono presenti in un solo istante d’esperienza di chiara luce. Questo è il senso ultimo della indivisibilità di metodo e saggezza. Tuttavia, anche nulle classi inferiori di tantra, come nel Kriya o Tantra dell’azione, la meditazione sullo yoga della divinità esprime veramente questa indivisibilità di metodo e saggezza anche se a livello di immaginazione come visualizzazione. Ma ancora all’interno di un singolo momento della visualizzazione, entrambi gli aspetti del percorso sono presenti.

Il riferimento alla mancanza di originazione e di cessazione a livello finale, come ho sottolineato in precedenza, implica la necessità, non solo della sua comprensione, ma, in realtà, della coltivazione di questa comprensione in sè stessi come base per la meditazione dello yoga della divinità. In generale, come si afferma nella “Saggezza Fondamentale della Via di Mezzo” di Nagarjuna, in un sistema in cui la vacuità è possibile, allora tutto è possibile e in un sistema in cui la vacuità non è possibile, non è possibile che funzioni alcunché. Da questo punto di vista generale, se il proprio punto di vista abbraccia la comprensione della vacuità, quindi, entro questo punto di vista, l’intero funzionamento del mondo quotidiano di causa ed effetto è sostenibile. Tuttavia, in questo contesto, il punto è la comprensione di come a livello convenzionale s’assumono prerogative divine anche se a livello ultimo non c’è originazione o cessazione. Il significato qui è il più profondo ed è esplicitamente messo in evidenza nel commentario di Jamgon Kongtrul su questa particolare sezione. Egli dice che, a livello ultimo, la mente è in equilibrio sulla mancanza di originazione e di cessazione. Questo riferimento alla mente in equilibrio si riferisce alla necessità di una profonda comprensione della vacuità di originazione e cessazione a livello ultimo.

Questo è un punto importante, perché normalmente c’è un numero piuttosto elevato di persone che si considerano come praticanti del Vajrayana. Essi svolgono pratiche, sadhane, recitazione di mantra e si visualizzano come divinità. È importante capire cos’è il cuore della meditazione sullo yoga della divinità. Cosa dovrebbe accadere quando si genera se stessi come una divinità? Poiché nel corso della di meditazione sulla divinità non solo si deve visualizzare se stessi come una divinità, ma si deve anche coltivare un’identificazione di se stessi come una divinità. Quindi, oltre a visualizzare se stessi come una divinità, vi è anche la necessità di coltivare l’identità di una divinità (l’orgoglio divino). Una forma di identificazione si svolge qui e se non vi è una profonda comprensione della vacuità come base per la meditazione, allora quel che può accadere è un ulteriore rafforzamento dell’aggrapparsi ad un senso di “io” basato su un certo senso ordinario del sé. Questo senso ordinario del sé si fonda sulla propria esistenza corporea, composto da carne, ossa e così via.

Tuttavia ciò che è richiesto nella meditazione dello yoga della divinità Vajrayana non è solo una chiara percezione di se stessi come una divinità, una visualizzazione, ma anche una forte identificazione con la divinità sulla base di un aggregato purificato. Cosicché, qui è richiesto, non solo la dissoluzione dell’attaccamento all’esistenza intrinseca di sé, ma anche la dissoluzione del comune livello di sé come un essere umano ordinario composto di carne, sangue e così via. Si va quindi attraverso un processo di dissoluzione nella vacuità e Jamgon Kongtrul scrive che, all’interno di quello stato, a livello ultimo privo di origine e di cessazione, si sorge a livello convenzionale nella forma di una divinità. Il punto qui è che non solo a livello di comprensione c’è bisogno di negare la propria esistenza intrinseca, ma, anche a livello di percezione, bisogna eliminare la percezione di sé stessi come un essere ordinario. Poi, all’interno di quello stato di vacuità, si assume la forma di una divinità. Così, è dalla realizzazione della vacuità che ci si pone o si assume la forma di una divinità. Quando questo accade si realizza una vera unione [di metodo e saggezza]. In caso contrario, non importa quanti mantra si può recitare o quante volte si visualizza se stessi come una divinità, nessuna di queste pratiche è veramente Vajrayana, in quanto l’elemento centrale di … (Fine della registrazione) [la pratica dello yoga della divinità è mancante.

Non importa che si possa aver fatto un ritiro di tre anni o si possa aver recitato il mantra della divinità così tante volte e così via, nessuno di loro sarà veramente diventato una praticante Vajrayana. Il punto espresso qui, come ho spiegato prima, è che come base per la pratica del Vajrayana, per impegnarsi con successo in una pratica Vajrayana, è indispensabile avere almeno una qualche forma di esperienza nella comprensione della vacuità. Senza una comprensione della vacuità, semplicemente non c’è base per la coltivazione della pratica dello yoga della divinità. Quando si parla della comprensione della vacuità, potrebbe esserlo secondo la Cittamatra (la Scuola della Sola Mente) o in base alla Scuola della Via di Mezzo. Storicamente in India, ci sono stati degli yogi seguaci della Cittamatra, la Scuola della Sola Mente, o della Scuola della Via di Mezzo, che sono stati grandi maestri realizzati Vajrayana.

La comprensione della natura ultima della realtà sia in base alla Cittamatra che alla Via di Mezzo è indispensabile come base per il successo della meditazione sullo yoga della divinità. Affinché la comprensione del vacuità diventi un antidoto efficace per superare le ostruzioni sottili alla conoscenza, che sono il principale ostacolo al raggiungimento della piena illuminazione, è indispensabile che la realizzazione della vacuità sia completata col fattore di bodhicitta, la mente del risveglio.

Il punto che qui sto facendo è che, per chi vuole impegnarsi con successo nella pratica Vajrayana, è indispensabile avere una realizzazione del sistema del percorso dei sutra, in particolare le realizzazioni di vacuità e bodhicitta. Per un praticante puramente del veicolo della Perfezione, il sistema del percorso dei Sutra, non vi è alcuna necessità di realizzazione del percorso Vajrayana. Per i praticanti del Vajrayana, è indispensabile avere la realizzazione di vacuità e di bodhicitta, la mente di risveglio, come presentato nel veicolo della perfezione.

Se la pratica del percorso Vajrayana, la meditazione dello yoga della divinità, è veramente fondata su una profonda comprensione della vacuità, come presentato nel Veicolo del Sutra, e completata con la bodhicitta, la pratica della mente del risveglio, allora si può praticare quella comprensione della vacuità che, a livello di visualizzazione, assume la forma di qualsiasi particolare divinità. Una volta che si ha una chiara visualizzazione della divinità, si ha bisogno di riflettere sulla vacuità di quella divinità. Quando si ha questo tipo di combinazione, di una chiara visualizzazione della divinità sulla base della comprensione della vacuità, per poi riflettere ancora una volta sulla vacuità della divinità, allora veramente nella pratica si realizzerà l’unione di quella che viene chiamata il profondo aspetto del percorso, così come l’aspetto di luminosità o chiarezza del sentiero.

In termini di sequenza del percorso o pratica, quando si parla della realizzazione della vacuità, essendo integrata con la bodhicitta, la mente del risveglio, non è il caso che quando si ha effettivamente l’esperienza del vacuità, in quel momento la bodhicitta debba essere consapevolmente presente. Quando si ha effettivamente l’esperienza della vacuità: in quel momento, in quel punto, in termini di contenuto del proprio pensiero o di uno stato mentale, ci sarà la sola semplice negazione dell’esistenza intrinseca.

Inizialmente, ciò che è richiesto è di coltivare bodhicitta, la mente del risveglio, e, una volta che la propria esperienza di bodhicitta, la mente del risveglio, diventa molto forte ed intensa, allora, a quel punto, si dovrebbe riflettere sulla natura ultima di questo “io” che aspira al raggiungimento dello stato di Buddha per il beneficio di tutti gli esseri e sulla natura degli esseri senzienti a beneficio di chi vuole raggiungere l’illuminazione, o la natura dell’illuminazione stessa.