Diventare buddhisti? Mai per moda. intervista al Dalai Lama di Beppe Severgnini
L’appuntamento è per le otto del mattino, all’Istituto Lama Tzong Khapa di Pomaia, sulle colline sopra Cecina. Sua Santità il quattordicesimo Dalai Lama, dicono, è sveglio da ore. È già stato qui quattro volte, la prima visita risale al 1982. Il 14 e il 15 giugno insegnerà a Livorno, di fronte a migliaia di persone. Il sole è caldo, il cielo azzurro, studiosi e monaci si muovono tra la grande casa di pietra e i pini marittimi. Verde per la Toscana, giallo per la saggezza, rosso per la compassione. La massima autorità del buddismo tibetano, 78 anni, entra, sorride, si accomoda su una poltrona, tra frutta e mazzi di fiori.
Santità, è vero che si alza alle tre del mattino? «Sì, sempre. Quand’ero giovane, no: verso le cinque, le sei. Ma ora vado a dormire molto presto, alle sei e mezzo, sette di sera».
È appena stato in Lettonia, in Norvegia, in Germania, a Bombay e ora è qui in Italia. Poi andrà nel Ladakh, tra le catene montuose del Karakorum e dell’Himalaya. Lei non soffre di jet lag come tutti noi?
«No! Questo è un vantaggio che ho. Tra l’India e gli Usa, costa orientale, ci sono nove ore. Ma per il sonno, nessun problema. Arrivo, sistemo l’orologio, dormo, mi sveglio alle tre – no problem. I movimenti intestinali, quelli no, non funzionano così. Fanno quello che vogliono. Mi sveglio alle tre, faccio colazione alle cinque e mezzo. Poi vado in bagno: molto difficile, nonostante l’impegno» (ride di gusto).
Problemi di umanità anche questi, Santità.
«La mente è pronta, ma talvolta il corpo non segue!»
Apro il suo profilo Twitter (9 milioni di followers, ndr). Quello che leggo potrebbe stare tranquillamente sul profilo di papa Francesco. Il buddismo e la Chiesa cattolica hanno così tanto in comune? «Molte cose. Tutte le maggiori religioni mondiali – cristianità, islam, giudaismo, induismo, jainismo, buddismo – portano lo stesso messaggio, ed è un messaggio d’amore. E riconoscono che ciò che distrugge l’amore è la rabbia. Così le religioni ci suggeriscono la pratica della tolleranza e del perdono. Anche la cupidigia ostacola la pratica dell’amore. L’autodisciplina non dev’essere una regola imposta, ma una decisione individuale sulla base di ragioni valide. Se sei un praticante religioso, credi in Dio o nella legge della causalità: per cui non danneggi il prossimo. Le maggiori tradizioni religiose mondiali portano lo stesso messaggio. Monaci e monache nei monasteri e nei conventi cattolici praticano la semplicità, e dedicano il tempo alla preghiera – anche questo hanno in comune buddismo e cristianesimo». Papa Francesco ha cambiato il modo in cui il cristianesimo è percepito nel mondo? «Precisamente non so. Ma mi sembra impegnato affinché la gente sia sincera, onesta, trasparente. Mi ha colpito come ha dismesso quel vescovo tedesco che viveva nella ricchezza. Come pastore della Chiesa insegni la semplicità e vivi nel lusso? Il Papa l’ha considerata una contraddizione, un’ipocrisia. Predicare una cosa, farne un’altra. Questo Papa porta avanti gli insegnamenti con volontà e trasparenza. Lo ammiro». E Benedetto XVI? «Il papa tedesco ha ricordato che fede e ragione devono andare insieme. La considero una grande affermazione. La fede senza ragione non è stabile. La scienza è basata sulla ragione, la religione sulla fede. Non sono certo che la scienza senza la religione porti benefici all’umanità. Pensiamo alle armi nucleari: scientificamente un successo, ma senza principi morali. Ammiravo anche il papa polacco. È stato significativo per me. Ha fatto molto per promuovere l’armonia religiosa. Ricordo ancora l’incontro ad Assisi, nel 1984. Meraviglioso». Lei ha lasciato il Tibet nel 1959, subito dopo l’invasione cinese. Pensa di poter tornare un giorno, almeno per una visita? «Sì, certo! Abbiamo mantenuto quella speranza per 55 anni. Dall’inizio il motto è stato: spera il meglio, preparati al peggio. La speranza porta determinazione. Chiunque, se perde la speranza, ha fallito. Non importa quali siano le difficoltà, il cambiamento è sempre possibile. A patto che tu stesso sia onesto e sincero. Oggi la lotta tibetana è tra il potere della verità e il potere del fucile. Noi crediamo nella verità. Il potere della verità rimane sempre forte. Il potere del fucile sembra decisivo, ma non lo rimarrà per sempre». La Cina cambierà? «La Cina storicamente è una nazione buddista. Lei c’è stato, mi ha detto, avrà visto quanti templi. Nonostante la Rivoluzione Culturale abbia distrutto le antiche tradizioni, oggi il buddismo e altre fedi stanno risorgendo velocemente. Ci sono 400 milioni di buddisti in Cina. Molti di loro mostrano genuino interesse e rispetto per la tradizione buddhista tibetana. E sono preoccupati per il Tibet. Molti leader cinesi, molti membri del partito, a livello cerebrale credono nel sistema totalitario, perché ne hanno benefici e hanno opportunità di fare soldi (ride). Ma nei loro cuori sono buddisti. Le cose stanno cambiando, perciò. Non in Tibet: dove lo spirito rimane forte». Lei è stato in Cina, quando aveva vent’anni. «Oh sì! Io amo i cinesi e la cultura cinese. Gente colta, lavoratrice. Cibo fantastico. Il Paese più popoloso. Un’economia importante. La Cina può assumere un ruolo costruttivo su scala globale. Ma rispetto e fiducia del resto del mondo sono essenziali. Oggi la Cina è talvolta fonte di timore. Ho tanti amici in India e in Giappone: dietro i loro sorrisi vedo sfiducia e paura. Questo è contro l’interesse della Cina, che dovrebbe cambiare. Wen Jiabao (ex primo ministro cinese, ndr) aveva parlato della necessità di riforme, di democrazia di stampo occidentale. Ora Xi Jinping (Segretario generale del Partito Comunista Cinese, Presidente PRC, ndr ) sembra realistico: dice che cerca la verità nei fatti». Le piacerebbe incontrarlo? «Dipende da lui!» (ride) Lei è nato il 16 luglio 1935 da una famiglia contadina in un piccolo borgo nell’Amdo, nel Tibet nord-orientale, e all’età di due anni è stato riconosciuto come la reincarnazione del suo predecessore. Chi sarà il XV Dalai Lama? Potrebbe essere una donna? «Certo, e lo dico da anni. Se le circostanze saranno giuste, una donna Dalai Lama potrebbe essere più utile per il servizio al Buddha Dharma. Ma se accadrà, questa donna dovrà essere molto, molto attraente, con una bella faccia… Una Dalai Lama femmina con una brutta faccia non servirebbe a molto (ride)…». L’istituzione del Dalai Lama resisterà? «Se la maggior parte della gente ritiene che quest’antica istituzione non è più rilevante, allora che sia interrotta, no problem. Il buddismo tibetano è più antico dell’istituzione del Dalai Lama, e rimarrà. Il governo cinese deve ricordare che il Dalai Lama non è più, da anni, politicamente rilevante. Io, per esempio, non ho più alcuna responsabilità in materia. Mi sa che Pechino è più ansiosa di me circa il prossimo Dalai Lama! Io non sono preoccupato» (ride). Religione e moda. Il buddismo è una religione amata dall’ateismo occidentale e da molti laici. Va forte nei media, spopola a Hollywood, a differenza del cristianesimo. Le conversioni delle star (Richard Gere, Sharon Stone, Sting, Patty Smith…) non si contano. Ma lei ha detto in passato: le persone dovrebbero rimanere nella religione della loro tradizione. «Quando mi hanno invitato a parlare del tema, ho subito messo in chiaro: è più sicuro ed è meglio rimanere nella propria fede tradizionale. Cambiare fede non è facile. Talvolta crea difficoltà nella mente. Ho notato come, dopo aver cambiato fede, arrivi una grande confusione qui (indica la testa). Noi crediamo che, finché qualcuno non ci chiede di spiegare il buddismo, non dobbiamo farlo. Non abbiamo missionari; allo stesso tempo, c’è libertà religiosa. Il Tibet è al 99 per cento buddhista, ma ci sono anche islamici e cristiani». Lei, quindi, non spinge alla conversione? «Se qualcuno è davvero attirato dal buddismo, dico: “Pensaci seriamente, non è una moda”. Se poi questa persona dovesse concludere che il buddismo è fatto per lui o per lei, allora è libera di farlo. Aggiungo: mai sviluppare, poi, atteggiamenti negativi verso la propria precedente religione. È molto importante». Uno dei grandi problemi italiani, poco compresi dall’Europa, è la migrazione di massa dal sud. Dall’Africa, dalla Siria. Cosa si può fare? Chiudere tutte le porte è atroce, aprirle tutte è impraticabile. (sorride, pensa, parla in tibetano con gli assistenti). «Una risposta come “sì” o “no” è impossibile, le cose sono complicate. Dobbiamo trattarle in maniera realistica. Lo sviluppo dell’economia e della libertà africane sono fondamentali. Il mondo ha una responsabilità morale: deve aiutare. Se nel Paese vicino la gente muore di fame e viene uccisa, diventa difficile dire “No, non entrate”. Ma, di nuovo: se arrivassero tutti, nel tuo Paese finiresti per avere difficoltà. Quindi, bisogna aiutare e dire onestamente fin dove si può aiutare». Come si tiene informato? «Bbc radio . Televisione? Sarà tre anni che non l’accendo. Internet? Non so come funziona (muove le dite avvicinandole al mio computer). Anni fa il presidente George W. Bush mi ha chiamato mentre ero in ospedale in India. Quando il mio segretario mi ha passato il telefono, invece di metterlo all’orecchio, l’ho piazzato davanti alla bocca!» (ride, mimando il movimento). Qual è l’errore dei media che le dispiace di più? «L’insistenza sulle notizie negative. Omicidi, stupri, abusi sessuali, corruzione, violenza, anche sulla Bbc mai una cosa positiva: nel mondo non c’è solo questo. Se coloro che commettono queste azioni fossero in maggioranza, il mondo sarebbe finito. L’umanità in genere si occupa di bambini e anziani: non fa cose cattive. Se fosse il contrario, pregherei Dio, o Buddha: per favore, elimina l’umanità!». Esiste una città al mondo in cui torna più volentieri? «Sono un po’ tutte uguali, le città moderne: strade e tanti palazzi alti. Non sono necessariamente belle. Mi piacciono i posti più piccoli, come questo». Fuori dall’India, dove abita, quale cibo preferisce? «Il cibo italiano! Gli spaghetti, li amo. Ho problemi in Giappone: il cibo è ottimo ma è poco. Ricordo una delegazione straniera che, dopo un banchetto ufficiale, chiese: dov’è il ristorante? Per me la quantità è importante. Io non ceno, come monaco buddista: devo mangiare a colazione e a pranzo». Guarderà la partite dei Mondiali in Brasile? E per chi tiferà? «Non guardo il calcio, non sono interessato. Ma quand’ero ragazzo a Lhasa, noi giovani monaci giocavamo a palla, ci piaceva. Non conoscevamo le regole. La sfida era mandare la palla più lontano possibile. Posso aggiungere una cosa?» Be’, lei è il Dalai Lama. «Guardare lo sport porta una soddisfazione sensoriale. Così la musica. Ma sono cose passeggere. La fede, la compassione e il pensiero, invece, non partono dai sensi: danno tranquillità interiore. Mi sveglio alle due e penso a me stesso, al piacere, alla coscienza. Magari alla fisica quantistica. Le emozioni basate sulle conoscenze superficiali possono essere distruttive. Eppure il mondo moderno si basa su questo: piacere sensoriale. Molto superficiale. Lei è cattolico. Chi crede, deve andare a fondo. E se il cervello italiano, come scrive nei suoi libri, è diverso dagli altri, questo non lo so!» (ride).
di Beppe Severgnini, Corriere della Sera, 13 giugno 2014 (ha collaborato Stefania Chiale )