Sua Santità il Dalai Lama: Morte e impermanenza
21 Insegnamenti di Sua Santità il Dalai Lama del Lamrim del Panchen Lobsang Choekyi Gyaltsen a Dharamsala, in India, marzo 1988.
Sua Santità il Dalai Lama
L’essenza della riflessione sulla morte e l’impermanenza può essere riassunta in un brano tratto dal Chatushalaka Shastra:
«Si dovrebbero cambiare dapprima le azioni malsane, E poi nel mezzo il «sé».
In seguito si dovrebbero eliminare
Tutte le visioni errate.
Chi lo comprende è un saggio.»
Dovreste sviluppare la convinzione che la coscienza della morte e dell’impermanenza è un elemento fondamentale dell’insegnamento buddista dal momento che il Buddha parlò dell’impermanenza all’inizio di tutti i suoi insegnamenti quando spiegò le Quattro Nobili Verità.
La prima fase della pratica è quella di limitare le azioni negative che potrebbero portarvi nei reami inferiori di esistenza. Il vostro organismo è contaminato da atti e illusioni e fino a quando sarete sotto la loro influenza non ci sarà spazio per la felicità. Analogamente, non è possibile essere felici quando si è sotto il dominio di una persona negativa. Quindi cercate di riflettere sul fatto che siete governati dall’ignoranza, un tiranno che ha come ministri la rabbia e l’attaccamento. Viviamo sotto la tirannia e l’influenza dell’ignoranza che dà vita a quei comportamenti egotici che tutti i Buddha e i bodhisattva considerano i veri nemici. Non c’è niente di peggio di essere governati da questi fattori negativi. Per questo, nel secondo capitolo del Pramanavartika, (Un’Efficace Spiegazione delle Valide Conoscenze), Dharmakirti afferma che grazie alla comprensione dell’impermanenza potremo comprendere anche la vera natura della sofferenza.
La seconda fase consiste nell’impegnarsi a estirpare le illusioni che sono le fondamenta di queste azioni negative. Questo lo si può fare usando la forza contraria, la saggezza che conosce la vacuità e che elimina l’attaccamento all’idea di autoesistenza. Eliminate queste illusioni e le loro radici, ecco che si raggiunge l’Illuminazione.
Nella terza fase si eliminano le disposizioni che derivano dalle illusioni che vi impediscono di raggiungere l’onniscienza, la diretta conoscenza di ogni fenomeno. Questo dovrebbe essere fatto unendo la saggezza che conosce la vacuità con i fattori del metodo: compassione, bodhicitta, pazienza, generosità e così via. Se sarete in grado di coltivare una mente potente, capace di concentrarsi sul benessere di tutti gli esseri senzienti, svilupperete un coraggio che realmente vi consentirà di alleviare le sofferenze del prossimo. Grazie al grande potere di questa pratica, riuscirete ad accumulare un’enorme quantità di meriti. E a questo punto potrete liberarvi del tutto dalle visioni false ed errate.
Anche parlando in termini ordinari, avrete bisogno della paura di correre un pericolo per cercare rifugio. Per ottenere una forte pratica di rifugio, dovrete sin da subito riconoscere il pericolo da cui siete minacciati. Per far questo dovrete comprendere come la natura stessa della vita sia insoddisfacente e produca dolore. Quando avrete preso coscienza di questa verità, in generale per questo ciclo di esistenza e in particolare per quella dei reami inferiori, nascerà automaticamente in noi un desiderio genuino di prendere rifugio. Per comprenderlo, sono essenziali alcune riflessioni sull’impermanenza e sulla morte. Quando il Buddha insegnò le Quattro Nobili Verità. parlò dapprima dell’impermanenza come viene spiegato nel primo capitolo dei Quattrocento Versi. Sebbene le parole siano difficili da capire, il testo parla a lungo delle sofferenze del ciclo dell’esistenza.
I commentari enumerano le pratiche che ci aiutano a superare l’attrazione per i beni materiali nella vita: comprendere i vantaggi della riflessione sulla morte e l’impermanenza; contemplare gli svantaggi del non farlo; praticare la meditazione sulla morte mimandone l’esperienza. Gungthang Tenpai Dronme, nel suo Mitag Gomtsul Gyi Labjha, (Consigli su come meditare sull’Impermanenza), afferma:
“I pensieri che Io metterò in pratica durante quest’anno e questo mese
E quindi darò inizio a una perfetta pratica del Dharma,
È in effetti il male che porta tutte le disgrazie.”
La mancanza di una effettiva consapevolezza della morte impedisce a molte persone di praticare il Dharma. Infatti se non siamo coscienti che la morte può coglierci in qualunque momento, sprecheremo il nostro tempo preoccupandoci esclusivamente della dimensione materiale della nostra esistenza. E le preoccupazioni per questa dimensione materiale assorbono tutte le nostre energie e tutto il nostro tempo. Però, indipendentemente da quanto possano sembrarci importanti, interessando solo la nostra vita attuale, i loro benefici saranno limitati, e una volta che avrete lasciato il corpo attuale questi benefici svaniranno. Anche se abbiamo un amico carissimo, non potremo portarlo con noi dopo la nostra morte.
Moltissime persone sono nate in questo mondo ma adesso non sono altro che ricordi. Proprio come dicono le scritture, anche i buddha e i bodhisattva del passato – nonostante fossero esseri eccelsi – oggi sono solo dei ricordi. Lo stesso vale per i grandi monarchi e per tante altre importanti figure. Riflettete sul fatto che persino il Buddha lasciò il suo corpo per entrare nel nirvana. Tutti dobbiamo morire.
Pensate a cosa accadrà tra un centinaio di anni. Nessuno di coloro che sono oggi qui sarà ancora vivo. E forse non rimarrà in piedi nemmeno la casa che ora ci ospita. Per provare la bontà di queste affermazioni non dobbiamo far ricorso ai testi sacri o a spiegazioni logiche. È una semplice e inoppugnabile constatazione. Perfino rispetto agli insegnamenti che ho impartito l’anno scorso, vedo che alcuni dei miei amici sono morti. E lo stesso accadrà a tutti noi, quando ci rivedremo il prossimo anno per nuovi insegnamenti: qualcuno non ci sarà più. Ma nessuno pensa: «Toccherà a me andarmene», e questo per via della nostra radicata attitudine a pensare in termini di permanenza.
Pensate che fra venti o trent’anni anche il Dalai Lama, che sta parlando così tanto, non ci sarà più. Ora che sono vivo ci sono persone pronte a sacrificare la loro vita per me. Ma quando sarò andato via non potrò nemmeno portarli con me. Come non potrò portarmi nessuno dei miei beni, tanto meno il corpo che mi ha fatto compagnia fin da quando sono nato e che ho cercato sempre di proteggere e preservare. Anche lui dovrò lasciarmi dietro. Quando arriverà il momento della mia morte l’unico vero aiuto saranno i semi positivi che avrò seminato nella mia coscienza. Niente altro mi aiuterà in quel momento. Questo è vero, un dato di fatto che può essere provato e osservato.
Quindi, se vi preoccupate esclusivamente dei vostri interessi materiali della vita presente, correte il rischio di essere gli artefici della vostra rovina. Certo che se questi interessi fossero in grado di procurarvi un’autentica felicità non ci sarebbe problema. Ma le cose non stanno in questo modo. Noi ci lasciamo catturare in un groviglio di preoccupazioni mondane che rischiano di soffocarci. Passiamo tutta la vita a pensare che questo sarebbe meglio di quello, che dovremmo fare una cosa piuttosto di un’altra, e così via. Ma alla fine, se tirate le conclusioni, vedrete che tutti questi interessi dietro ai quali correte una folle corsa non sono poi così importanti, dal momento che i benefici che vi danno sono molto limitati. Ovviamente non intendo dire che non dovreste lavorare per guadagnarvi da vivere, ma che il benessere materiale non dovrebbe essere la vostra unica preoccupazione.
La meditazione su morte e impermanenza dovrebbe essere ispirata da un senso di beatitudine. Dovreste considerarla come un fattore che vi incoraggerà a impegnarvi nella pratica del Dharma.
È davvero importante essere consapevoli della morte, e non solo allo stadio iniziale della pratica ma durante tutto il sentiero. Quando avete questa consapevolezza, anche se siete impegnati a guadagnarvi il pane quotidiano, non considerereste questo come l’unico aspetto importante della vita. Se una persona è preparata a morire, quando giungerà il momento non ne farà un dramma: sentirà che la morte non è altro che un cambiamento di stato. Invece se si cerca di esorcizzare il pensiero della morte cercando in tutti i modi di evitarlo, quando la morte arriverà sarà un’esperienza terribile perché non saremo preparati. Ho molti amici, tra quelli non interessati al Dharma, che sono molto anziani ma quando parlano della morte ormai imminente mostrano un disagio così evidente che la gente si sente in dovere di ingannarli, dicendo che sicuramente vivranno ancora a lungo.
Possiamo vedere che la vita di alcune persone che hanno avuto un certo peso nel recente destino del popolo tibetano – come Mao Tse Tung e Stalin – non sono state, in ultima analisi, così positive. Questi personaggi sono stati responsabili di innumerevoli disastri e non sono stati nemmeno in grado di portare a termine le azioni negative che stavano compiendo. E hanno sprecato malamente la loro esistenza. Questo mi sembra un dato di fatto inoppugnabile.
Ma se avete invece la consapevolezza della morte, penserete sempre al futuro come a una preparazione a essa, e quando infine arriverà non sarà una cattiva sorpresa, e, anzi, voi sarete in grado di mantenere la calma mentale.
Chiedere le preghiere degli altri quando si sta morendo e non fare nulla per prepararsi a quel momento nel corso della vita, mi sembra proprio sbagliato e contrario al Dharma. Però, purtroppo, a volte pare che accada proprio questo. Una signora tibetana è solita dirmi: «Santità, non mi lasci cadere nei reami infernali», come se dipendesse da me! Io non posso farci nulla se lei non fa la sua parte. Ma non solo non posso farci niente io, nemmeno il Buddha avrebbe un tale potere. Infatti il Buddha insegnò l’infallibilità della legge del karma. Se lui o altri grandi esseri avessero il potere di intervenire sul destino degli esseri viventi, non avrebbe avuto certo nessun senso parlare dell’infallibilità della legge karmica. Se avrete la consapevolezza della morte, potrete lavorare per accumulare meriti e preparare quindi al meglio il vostro futuro.
Per meditare sulla morte, dovreste cominciare a riflettere sulla sua certezza e sul fatto che, quando arriverà, solo la pratica del Dharma potrà esservi d’aiuto. La meditazione sulla certezza della morte va compiuta facendo il seguente ragionamento: non c’è alcun dubbio che la morte prima o poi arriverà; che non possiamo estendere all’infinito la durata della nostra vita; e che il tempo per praticare il Dharma è sempre limitato. Ispirati da questi tre pensieri, dovrete decidere di praticare seriamente. Dopo aver meditato sulla ineluttabilità della morte dovrete anche comprendere che essa può arrivare in qualsiasi momento. Questa riflessione vi indurrà a imboccare immediatamente il sentiero del Dharma. Quindi dovrete riflettere che, al momento della morte, ricchezze, possedimenti, amici, parenti e perfino il vostro stesso corpo non potranno esservi di aiuto. Per questo non vi rimane altra scelta che mettervi immediatamente a praticare il Dharma.
Le istruzioni orali dicono che, dopo aver meditato sull’ineluttabilità della morte, è utile contemplare il processo della morte mimandone le varie fasi, e immaginando come si deve sentire una persona nel momento del trapasso. I dottori vi hanno ormai abbandonato e voi vi sentite perduti. Se soffrite di una malattia incurabile i medici avranno perso ogni speranza e amici e parenti chiederanno le preghiere degli esseri spirituali. Da parte vostra, invece, non c’è altra scelta che affrontare la situazione. Non potete alzarvi dal letto e forse non riuscite nemmeno a pronunciare le vostre ultime parole. E potreste perfino non essere in grado di ingerire nemmeno delle pillole benedette. E in ogni caso è difficile sapere se l’ingestione di tali pillole potrebbe esservi davvero di qualche aiuto. Comunque è nella natura dell’uomo continuare a sperare.
Mentre starete morendo, sperimenterete ogni sorta di visioni man mano che gli elementi del vostro organismo inizieranno a dissolversi. Spesso questo processo di dissoluzione si associa a sensazioni di paura e allucinazioni. Così diventerete sempre più distanti da quella vita per cui avete compiuto ogni genere di azioni negative. Potrete anche avere qualche indicazione sulla vostra futura rinascita, provare una sensazione di fuoco o di acqua, di essere sepolto, sentire un grande senso di pesantezza o altro ancora. A poco a poco anche il respiro comincerà a rallentare per poi diventare troppo veloce. Infine potrete solo esalare e nient’altro e sarà a quel punto che il vostro legame con il presente corpo umano giungerà alla fine.
Da quel momento si comincerà a parlare di voi al passato. Quindi la presente esistenza sarà conclusa. È molto importante riflettere su questo processo che viene spiegato in dettaglio negli scritti di Gungthang Jamphelyang Phapongka Dechen Nyingpo. Lasciatemi ora citare qualche verso dal testo di Phabongka, Mitag Drenku Nyingi Thurrna, (Consapevolezza dell’Impermanenza) :
«Sebbene vi prepariate diligentemente
Con il pensiero costante di molti domani
Verrà il tempo in cui sarete costretti
A lasciare tutto, qui e ora.
Verrà il tempo in cui, senza alcun controllo,
Dovrete andare lasciando le cose incompiute:
Compiti, pasti e perfino il bicchiere mezzo vuoto.
Verrà il tempo in cui sarete spogliati
Dall’aiuto dei vostri amici,
Con mani deboli e tremanti
Quando non potrete più muovervi,
Sdraiati sul vostro letto di morte,
Simili a un vecchio albero caduto.
Verrà il tempo in cui vedrete
Il vostro cadavere per la prima volta,
Quando il vostro corpo sarà rigido come il marmo
Nonostante sia avvolto in abiti e lenzuola,
Che userete per l’ultima volta.
Verrà il tempo in cui sarete travolti
Dalla depressione e dalla frustrazione
Di non poter più comunicare con gli altri
Tramite le vostre ultime volontà,
Dette con una voce roca nonostante tutti i vostri sforzi.
Con questo, ha termine la contemplazione sulla morte e l’impermanenza.