Jean-Claude Carriere: “È possibile conciliare la politica e l’ahimsa?”
Sua Santità il Dalai Lama: “Sì, dovrebbe essere possibile. Perché no? Guardiamo il nostro secolo: ha escogitato o sviluppato un ampio campionario di metodi per fare della violenza la regola dei rapporti umani. Si va dalla guerra mondiale, con la distruzione di intere città, all’olocausto, alla tortura istituzionalizzata, al terrorismo
come forma di azione. Tutti questi metodi sono falliti, e falliranno sempre.”
Jean-Claude Carriere: “Perché?”
Sua Santità il Dalai Lama: “Perché sono superficiali. Cozzano contro il fondo possente della nostra natura, che è fatta di bontà, di generosità. Prendiamo ancora l’esempio degli israeliani, che hanno dato vita a quarant’anni di odio. Forzatamente, anche se da entrambe le parti gruppi estremisti continuano a esaltare e a mettere in pratica quest’odio sanguinoso e inutile, un giorno o l’altro giungeranno alla pace. Favorire l’odio non porta a nient’altro che all’odio. La violenza è il peggiore degli arbitri. Il reciproco rispetto non può essere evitato.”
Ritorno un istante al Mahabharata Alla fine del poema, il re Yudhisthira sale finalmente sul trono. È il figlio di Dharma, e di conseguenza (è un altro dei suoi nomi) “Dharmaraj”. Per una volta, è Dharma lui stesso, il re. E il mondo si appresta a conoscere, sotto la sua guida, trentasei anni di tranquillità, di prosperità.
Ma questa guida perfetta non suppone alcun indebolimento della vigilanza regia. Se Yudhisthira si presenta con il Dharma nella mano destra, nella sinistra regge sempre un bastone. E pronto a servirsene. Il re c’è per questo.
Sua Santità il Dalai Lama: “Naturalmente, ma nel mondo di oggi l’autorità si deve esercitare nel nome della legge, sotto il controllo della costituzione. E questa autorità dev’essere anzitutto benevola. Non deve punire per il solo gusto di punire.”
Jean-Claude Carriere: “Lei è contrario alla pena di morte?”
Sua Santità il Dalai Lama: “Fermamente contrario. Il mio predecessore l’aveva abolita in Tibet. Trovo incredibile che oggi continui a essere presente in grandi paesi come la Cina e l’India. In nome della giustizia, si uccidono ancora degli esseri umani nel paese del Mahatma Gandhi! Proprio nella terra dove il Buddha ha lasciato il proprio insegnamento! La pena di morte è pura violenza, una violenza barbara e inutile. È anche pericolosa, perché non può portare che ad altre violenze. Come ogni violenza.”
Jean-Claude Carriere: “Bisogna dunque limitarsi alla prigione?”
Sua Santità il Dalai Lama: “La pena capitale dovrebbe essere l’ergastolo, come da voi. E senza alcuna brutalità.”
“Ho notato che nei film non si uccidono veramente gli animali. Li si addormenta con una iniezione, perché sembrino morti. Tranne che nei film cinesi: qui li si uccide veramente, apertamente. Ho visto anche, nei film cinesi a carattere scientifico, dei ratti col cranio aperto. Orribile. E si mostra questo alla televisione!”
Vorrei dirgli che la morte vera, sullo schermo, non è prerogativa dei cineasti cinesi. Anche noi uccidiamo sullo schermo i maiali, i polli. Un bue viene squartato vivo in Apocalypse now. Conigli e pernici vengono uccisi in massa ne La regola del gioco, e in molti altri film. Mi ricordo anche una mula pugnalata a morte in un film spagnolo. Senza parlare degli insetti, degli uccelli, dei conigli, dei servizi scientifici e dei documentari sulla pesca d’altura. A ben guardare, la morte, quella vera, è costantemente presente.
Questo spettacolo della morte, in Cina, ha un rapporto diretto con il mantenimento della pena di morte? È un problema che lo preoccupa. Sì, vi vede senza dubbio un legame.
Sua Santità il Dalai Lama: “I fedeli che vanno in pellegrinaggio alla Mecca devono sacrificare un animale. Ma almeno, questo sacrificio non viene fatto vedere!”.
Jean-Claude Carriere: “Lo disapprova?”
Sua Santità il Dalai Lama: “Rispetto una tradizione religiosa, ma non posso approvare questo spargimento di sangue.”
Ride di cuore e aggiunge:
“Attenzione! Non faccia di me un Salman Rushdie!”.
Jean-Claude Carriere: “Nessun pericolo. Lei non è musulmano.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Faccio grandi sforzi per raggiungere ovunque un’armonia. Milioni di atti di violenza distruggono a ogni istante quest’armonia. Perché aggiungerne altri? Perché praticare e mostrare la violenza quando non è inevitabile? L’uccisione di un animale è un attentato all’armonia universale. Mi fa davvero orrore.”
Jean-Claude Carriere: “I cinesi indubbiamente non lo fanno per crudeltà. Per loro è qualcosa di naturale, forse.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Me lo domando. In questo momento, in Tibet, mi dicono che milioni di animali vengono uccisi dai cinesi per semplice divertimento. Cani, ad esempio. Si taglia loro una zampa, o una parte del corpo, oppure si strappa loro la pelle e li si lascia così, finché muoiono. Ecco la mentalità che si diffonde.”
Jean-Claude Carriere: “E che bisogna combattere?”
Sua Santità il Dalai Lama: “Certamente. Come lei ricordava a proposito di Dharmaraj, occorre tenere sempre il bastone in una mano e usarlo se necessario. Sì, in un modo o nell’altro, c’è bisogno di un sistema di disciplina.”
Jean-Claude Carriere: “Malgrado la bontà della nostra natura?”
Sua Santità il Dalai Lama: “Questa bontà naturale fa così fatica a manifestarsi.”
Jean-Claude Carriere: “È più semplice essere crudeli.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Più semplice per alcuni, sì. Essere crudeli significa arrestarsi lungo il cammino. E rinunciare, per un motivo o per l’altro, a penetrare fin nel profondo di noi stessi. È restare attaccati alla nostra superficie irritata o esasperata.”
Jean-Claude Carriere: “Significa porre la lotta su un terreno sbagliato.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Esatto. Per questo credo che sia necessario attribuire fin dall’infanzia il posto più importante all’educazione. Lo ripeto in continuazione. A questa educazione devono aggiungersi una pratica dello spirito, sotto forma di meditazione e, se possibile, l’influsso rasserenante di una famiglia unita, di un matrimonio felice.”
Jean-Claude Carriere: “È un bel sogno.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Lo so bene. Tuttavia, quest’armonia esiste. La avvertiamo chiaramente, talvolta. È scritta nel profondo di noi stessi. È la nostra tendenza originaria. Ci sono e ci saranno sempre dei malvagi, so anche questo.”
Jean-Claude Carriere: “Da qui la presenza del bastone?”
Sua Santità il Dalai Lama: “La meno brutale possibile.”
Una bontà scritta nel profondo di noi stessi, una “gentilezza” di fondo e onnipotente, senza la quale tutto l’edificio buddhista diventa incomprensibile. Bontà che si estende a tutto l’universo, e che ci condurrà un giorno al nirvana, ma una bontà fragile, poiché l’uccisione di un cane può sconvolgere l’ordine del mondo. Bontà segreta, anche, che si nasconde facilmente sotto l’arroganza, la brutalità e l’avidità, le maschere che portiamo più di frequente.
Il paradosso apparente – a che pro questa insistenza sull’educazione, se è sufficiente confidare nella nostra natura? – si risolve senza dubbio con questo pericolo che ci circonda, pericolo nato dall’illusione in cui nasciamo, in cui viviamo. Il nostro persistere nella sventura trae radice, senza dubbio, da tale accecamento. Se questo cessa, o si verifica il risveglio, tutto allora sembra in completa tranquillità, come se i nostri desideri fossero svaniti.
Almeno, questo è quanto dice il buddhismo.
Dopo tutto, se le cause di questa “mentalità” possono definirsi così (a causa della responsabilità collettiva e contemporaneamente delle perversioni in-dividuali), come precisare le condizioni? In altre parole, esistono circostanze particolari che favoriscono queste crudeltà?
Ricordiamo di nuovo, più rapidamente, la sovrappopolazione e la povertà, situazioni riconosciute, contro le quali la lotta è dura. Prendiamo in considerazione il nazionalismo, vecchio spargitore di sangue, e il gusto del potere che s’impossessa presto di questo o quel gruppo di individui, spingendoli ad atti feroci.
Giungiamo ben presto a parlare della televisione, di cui si era già discusso. Gli dico che negli Stati Uniti, da due o tre anni, si levano critiche molto sentite nei confronti dei ripetuti omicidi sul piccolo schermo. Queste critiche non sono nuove. Prima della televisione hanno preso di mira il cinema, il teatro, la pittura, la letteratura – a dire il vero la maggioranza delle forme d’espressione – accusandole di fornire un’immagine del mondo corrotta e sanguinosa, soprattutto agli occhi indifesi dei bambini, che avrebbero la tendenza a vedere in quel mondo il mondo reale.
Al che i sostenitori della libertà di espressione replicano, con ottimi argomenti, che questa influenza dannosa non è provata e che nessuna censura ha mai risolto un problema sociale. Ma vero è che un bambino americano, o europeo, assiste ogni giorno a sconcertanti valanghe di uccisioni. L’eroe televisivo trascorre la maggior parte del proprio tempo con un grosso revolver fra le mani a procurare morte ai suoi simili. A buon diritto ci si può interrogare. Ed inquietare.
Sua Santità il Dalai Lama: “I governanti e i capi religiosi devono ammettere, oggi, di non essere più i soli a esercitare un potere, e nemmeno una autorità”.
Jean-Claude Carriere: “Intende parlare del potere dei media?”
Sua Santità il Dalai Lama: “Certo. Quello della stampa è noto, analizzato da tempo. Quello della radio, e ancor più della televisione, occupa oggi un posto di primo piano.”
Jean-Claude Carriere: “È un potere indiretto.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Poco importa il modo in cui si esercita. Diretto o indiretto, è un potere reale, che agisce su di noi, che modifica i nostri comportamenti, i nostri gusti e probabilmente il nostro pensiero. Come ogni autorità, non può essere applicato a caso, in qualche modo.”
Jean-Claude Carriere: “Altrimenti, questo potere diventerebbe arbitrario.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Evidentemente. Arbitrario e irresponsabile.”
Jean-Claude Carriere: “Tuttavia ” dico “vediamo entrare in funzione un po’ ovunque canali radio e televisivi chiamati commerciali dove il senso della responsabilità di cui lei parla sembra sensibilmente attenuato. Coloro che dirigono questi canali dicono: siamo delle imprese di spettacolo, di svago. Obbediamo a una logica di mercato, di concorrenza.”
Sua Santità il Dalai Lama: “In altre parole, questi dirigenti rifiutano di riconoscere il fatto di esercitare un vero e proprio potere?”
Jean-Claude Carriere: “È l’essenza del loro discorso. Presentano il loro obiettivo come unicamente commerciale, con lo scopo, come si dice, di “ottenere audience”. In alcuni casi, i mezzi usati contano poco. E ogni preoccupazione morale viene deliberatamente messa da parte.”
Sua Santità il Dalai Lama: “È un grave errore. Coloro che dirigono questi canali, e coloro che li finanziano, esercitano un potere, che lo vogliano o no. Questo potere conferisce loro una responsabilità, paragonabile alla responsabilità religiosa o politica. Contribuiscono a modo loro alla costruzione e al mantenimento di una comunità umana. Il benessere di questa comunità dev’essere la loro prima preoccupazione.”
Jean-Claude Carriere: “Su questo ho qualche dubbio.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Ma il problema è stato posto! Da tempo ormai!”
Jean-Claude Carriere: “Si, un po’ dovunque nel mondo i governi si interrogano, comitati di sorveglianza e di controllo sono posti all’opera, le leghe degli spettatori protestano, leggi successive si contraddicono. Di fatto, nessuno ha ancora trovato la formula magica Forse perché nessuno, a livello decisionale, osa affrontare con franchezza il problema.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Come vede questo problema?”
Jean-Claude Carriere: “Non sono in alcun modo sostenitore di un ordine morale, né di una vigile censura. Sono anzi contrario a tutto ciò. Ma vedendo, come lei, che i direttori dei programmi di un canale televisivo detengono oggi altrettanto potere reale, se non maggiore, del governo in carica, mi capita di pormi delle domande, come tutti, di fronte allo scatenarsi della volgarità e della violenza che la televisione ci offre. Mi ricordo un produttore cinematografico, qualche anno fa. Usciva dalla proiezione di un film prodotto da un altro, una sorta di spaghetti-western e, profondamente turbato, diceva: “Cosa volete fare dopo questo? Diciotto morti prima dei titoli di testa!”.”
Il Dalai Lama scoppia a ridere e mi domanda: “Li aveva contati?”.
Jean-Claude Carriere: “Senz’altro.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Era un film destinato alle sale cinematografiche?”
Jean-Claude Carriere: “Tutti i film prima o poi arrivano in televisione. È proprio qui che trovano, e di gran lunga, il maggior numero di spettatori.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Questi spettatori non hanno compiuto lo sforzo di uscire, di scegliere un film. Restano in casa propria e guardano quello che si mostra loro.”
Jean-Claude Carriere: “Sì. Il potere che si esercita su di loro è tanto più efficace quanto più è nascosto, quanto più si presenta persino sotto una forma distensiva, e sottoposta apparentemente alla loro discrezione.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Capisco. Questo potere dice loro: avete ogni potere su di me.”
Jean-Claude Carriere: “E non è vero.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Che cosa la preoccupa di preciso?” mi domanda.
Jean-Claude Carriere: “Quello che preoccupa tutti. I bambini trascorrono più ore davanti al televisore che in classe. Si dice che scoprano il mondo, ma questo mondo non è quello vero, non è che un’immagine del mondo.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Ma non si può dire che le loro conoscenze siano più vaste?”
Jean-Claude Carriere: “Sì. I bambini privati della televisione mostrano vere lacune, anche nell’attività scolastica.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Ciò che la preoccupa, è la passività? Perché si può rispondere a un maestro, si può interromperlo e interrogarlo, si può persino contestarlo. Ma come parlare a un oggetto?”
Jean-Claude Carriere: “La televisione si è installata fra noi come un nuovo membro della famiglia, imperioso, seducente ed esigente. Anche se la moltiplicazione dei canali le fa perdere autorità, la rende banale, non possiamo più fare a meno di lei. E non soltanto la guardiamo, ma il giorno dopo, in ufficio o in fabbrica, parliamo di quello che abbiamo visto la sera prima. Soprattutto a scuola. Questo diventa una sorta di circolo vizioso. Al punto che la televisione giunge a fare trasmissioni che non parlano d’altro che di televisione.”
Sua Santità il Dalai Lama: “E che dimenticano il mondo?”
Jean-Claude Carriere: “Che lo dimenticano o che lo falsano.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Questo dipende dai programmi. I media possono fornire un’immagine eccitante o, al contrario, molto negativa, della terra. E suppongo che la gente, in effetti, finisca per vedere il mondo sotto questa falsa forma.”
Jean-Claude Carriere: “Sì, l’immagine vince sulla realtà. La “rappresentazione” trionfa. Il mondo finisce per assomigliare a ciò che noi vediamo alla televisione.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Se riceviamo una sovrabbondanza di immagini di violenza, finiamo per credere che il mondo sia così.”
Jean-Claude Carriere: “Lo vediamo così.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Di conseguenza siamo convinti che la natura umana sia aggressiva.”
Jean-Claude Carriere: “Tutti lo dicono. Bisogna riconoscere che quel che veniamo a sapere degli avvenimenti reali, nei giornali, ad esempio, non può che confermare questo sentimento. Nessun giornalista sa che cosa sia una “buona notizia”. Ogni giorno ci vengono presentati solo attentati, incidenti, scontri, truffe, catastrofi naturali. Si è saputo di telespettatori colpiti da depressioni nervose per eccesso di informazione. E i programmi che precedono o seguono questi telegiornali non fanno che battere sullo stesso tasto.”
Sua Santità il Dalai Lama sorride allora per dirmi: “Sì, ma è noto che i buoni sentimenti non suscitano che noia e conducono piano piano al sonno. Talvolta, può essere buona cosa mostrare un crimine”.
Jean-Claude Carriere: “In che senso?”
Sua Santità il Dalai Lama: “Poiché abbiamo in noi una compassione naturale, e questa compassione deve manifestarsi, può essere bene destarla. Una violenza fatta su una persona innocente, ad esempio, può farci indignare, può scandalizzarci, e nel contempo aiutarci a scoprire la nostra compassione.”
Jean-Claude Carriere: “Tutto dipende dalla risposta del pubblico.”
Sono un po’ stupito di vederlo prendere le difese, da un punto di vista strettamente buddhista, di una certa forma di violenza pubblica. Poco prima denunciava al contrario la sofferenza e la morte manifesta degli animali, come se fosse importante non far vedere. Ora, almeno per quanto riguarda la violenza esercitata su esseri umani, sembra mitigare il proprio atteggiamento.
Sua Santità il Dalai Lama: “La televisione, grazie alla sua stessa violenza, può mantenerci in stato di allerta”.
Jean-Claude Carriere: “Coloro che studiano l’influenza della televisione hanno la tendenza a dire il contrario: che essa non fa che aggravare la nostra indifferenza.”
Sua Santità il Dalai Lama: “In che modo?”
Jean-Claude Carriere: “Perché tutto vi è presentato allo stesso livello di interesse. Ora, mi sembra, il nostro spirito, per essere colpito da un avvenimento e per ricordarsene a lungo, deve distinguerlo dagli altri.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Sì. Nel bene o nel male.”
Jean-Claude Carriere: “L’uniformità porta all’oblio. Per questo motivo alcuni osservatori definiscono la televisione una “macchina dell’oblio”. Perché essa mette tutto allo stesso livello. Anche la finzione e la realtà tendono sempre più a confondersi. E non soltanto per i bambini.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Se la violenza porta alla compassione è una buona cosa. Se l’accumulo di violenza porta all’indifferenza, è in effetti molto pericoloso.”
Jean-Claude Carriere: “A ciò si aggiungono strane deviazioni del linguaggio. Come molta gente confonde vita spirituale e vita religiosa, così una grande parte del pubblico confonde violenza e azione. Un film d’azione è un film violento, un film con uccisioni di uomini. E con sesso in aggiunta, questo è ovvio. Come potrebbe il sesso, che d’altra parte è sempre più violento, destare la nostra compassione?”
Riflette un momento prima di rispondere.
Sua Santità il Dalai Lama: “Non lo so. Come distinguere, nei media, ciò che, in fin dei conti, è buono o cattivo per l’armonia generale del mondo, francamente non lo so. Ma vedo chiaramente che il problema esiste”.
Jean-Claude Carriere: “E che continuerà a esistere per molto tempo ancora.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Questa tentazione dell’indifferenza, in cui entrambi vediamo un pericolo, la sento talvolta in me stesso. Tempo fa, negli anni Sessanta o Settanta, quando mi raccontavano storie tristi – e non mancavano, intorno a noi – mi sentivo molto commosso, spesso piangevo. A poco a poco queste storie mi sono diventate familiari, la mia emozione si è placata e le mie lacrime si sono asciugate per l’abitudine”.
Jean-Claude Carriere: “Questo capita a tutti.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Nella mia giovinezza, quando vivevo a Lhasa, vedevo i macellai portare gli animali al mattatoio. Siccome ero molto sensibile alla sorte degli animali, e disponevo di un po’ di denaro, acquistavo buoi e montoni per salvarli e poi rimetterli in libertà. Era però comunque un problema: dove portare questi superstiti?”
Jean-Claude Carriere: “E come proteggerli?”
Sua Santità il Dalai Lama: “Avevo stabilito che, ogni volta che uno di questi animali rimessi in libertà moriva, si dovesse portare il suo corpo al Potala, per nutrire i cani. Altrimenti, chiunque avrebbe potuto ucciderli di nascosto, dichiararli morti e mangiarli, o anche venderli.”
Jean-Claude Carriere: “Non era un po’ ingenuo? In ogni modo, i macellai avrebbero ucciso un numero di animali necessari al consumo.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Era senza dubbio abbastanza ingenuo, ma avevo allora dodici o tredici anni. Ciò che voglio dire, è che ho perso il sentimento che mi animava durante la giovinezza. Oggi, in India, vado in un luogo e nell’altro, vedo animali condannati a morte, migliaia e migliaia di polli, ad esempio, e mi dico talvolta: potrei comprarne alcuni per salvarli, ma dove metterli? Chi se ne occuperebbe?”
Sua Santità il Dalai Lama: “Potrei certo recitare un mantra, dire una preghiera. Cos’altro? Anche qui l’abitudine ha cambiato il mio atteggiamento. D’altra parte è un punto centrale della nostra dottrina: raggiungere il non attaccamento, ma senza cadere nell’indifferenza”.
Parliamo allora di Aristotele. In ogni discussione che ruoti intorno alla violenza, Aristotele fa prima o poi la sua comparsa. Ma la teoria della catarsi teatrale non è familiare al mio interlocutore. Cerco di parlargliene, il più semplicemente possibile. La catarsi, gli dico, è una purificazione. Per Aristotele, se la tragedia si ispira a sentimenti elevati (questa condizione è indispensabile) può, mostrando o raccontando azioni violente, provocare questa purificazione, liberare lo spettatore da alcune sue pulsioni aggressive e rimandarlo a casa sua più tranquillo, più corazzato per la vita.
Il Dalai Lama mi ascolta con attenzione e mi pone qualche domanda. Cerco di tracciare a grandi linee la storia della catarsi – cosa che, per quanto mi risulta, non è mai stata fatta -, di mostrare ad esempio come i nostri pensatori e autori classici, nel XVII secolo, hanno finito per diffidare, malgrado Aristo-tele, dello spettacolo della violenza sulla scena, preferendo confinarla dietro le quinte e accontentarsi della sua narrazione.
Gli dico anche che quest’influenza positiva dell’azione tragica, eventualmente violenta, riguarda solo il teatro. Ora, il teatro è sempre una finzione, non pretende di eguagliare la realtà stessa. Gli attori non muoiono veramente, lo sappiamo tutti. I morti alla fine dello spettacolo si alzano e vengono a salutare.
Al cinema, alla televisione, i rapporti sono rovesciati. Si tratta qui di una sequenza concatenata di fotografie, e una fotografia ci mostra sempre qualcosa che, in un certo momento, è esistito. Il cinema e la televisione sono così, per la tecnica stessa che utilizzano, espressioni realistiche, se non reali.
Il Dalai Lama, sempre attentissimo, sembra molto interessato da questa distinzione, che comprende immediatamente. Forse si continua ad applicare l’effetto della catarsi in una espressione realistica? Ad esempio, un giornale pieno di immagini di guerra, di fame e di regolamenti di conti fra gangster ci lascia alla fine più calmi e fiduciosi in noi stessi?
Si capisce come la discussione sia vivace e lunga.
Jean-Claude Carriere: “Tutto dipende spesso dalle nostre convinzioni personali. Se siamo più ottimisti, aperti e portati all’azione, tendiamo all’indulgenza, ci rassicuriamo, diciamo: è meglio che la violenza sia fuori di noi, che diventi spettacolo e che così le immagini ci liberino dai nostri stessi orrori. Se siamo più conservatori, chiusi e attirati dalla stabilità delle istituzioni e dei sentimenti, ci ribelliamo, diciamo: tutto questo non è che un commercio vergognoso, che gioca con il nostro turbamento e sveglia in noi quel che deve dormire.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Per questo dunque ci sono tentativi di censura?”
Jean-Claude Carriere: “Non sono mai mancati, nella storia del cinema. Alla fine degli anni Venti, tutta l’industria hollywoodiana obbediva a un codice rigoroso, che definiva in modo molto preciso quel che era possibile dire e mostrare. Ma questo codice è crollato assai presto.”
Sua Santità il Dalai Lama: “È comunque difficile imporre una censura in una democrazia.”
Jean-Claude Carriere: “Vediamo ancora questa censura operante in India. Nei film indiani è permessa una cruda violenza, e anche un erotismo palese. Le donne possono mostrarsi molto provocanti e i crimini si accumulano come ovunque, d’altronde. Tuttavia, fino a tempi recenti, uomini e donne non si baciavano sulla bocca. Si uccide, non ci si bacia.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Eppure è più piacevole baciarsi che uccidere!”.
Fin dall’origine del buddhismo, la teoria della non violenza non si presenta senza qualche eccezione. L’esempio fu offerto dallo stesso Buddha Sakyamuni. Salito un giorno su una barca che attraversava un fiume, vedendo che un bandito minacciava la vita degli altri passeggeri, scelse di sacrificare la vita del bandito. Questo esempio, giunto dall’alto, viene sovente citato. Ma è anche da prendersi con cautela, perché sappiamo tutti che è facile trattare qualcuno da bandito, trovando così un pretesto per sopprimerlo.
Allo stesso modo, nella grande guerra del Mahabharata, dov’è in gioco la vita dell’universo, succede che gli inganni e anche le menzogne di Krishna (incarnazione terrestre del dio Vishnu) scandalizzino persino i suoi amici. Ricordo spesso, al tempo delle prime rappresentazioni dell’opera nel 1985, la desolazione di Maurice Bénichou, l’attore francese che interpretava proprio il ruolo di Krishna. Avvertiva l’ostilità del pubblico e usciva di scena molto abbattuto dicendo: “Sono un dio, vengo per salvare il mondo, e mi detestano!”. Fu necessario scrivere diverse nuove scene, e modificarne altre, per far sentire che la sua lotta non si limitava alla vittoria dei buoni sui cattivi ma che era molto più vasta, che si svolgeva in un territorio, in una dimensione ove i sentimenti e la moralità umana possono essere talvolta sovvertiti. Così, a un certo momento, di fronte alle incomprensioni che lo circondano, Krishna è portato a dire, ma a bassa voce, il più segretamente possibile, che per difendere il Dharma bisogna talvolta dimenticare il Dharma. Frase dai mille pericoli, che ogni dittatore potrebbe volgere a proprio vantaggio, parlando così (come fanno sempre) di stato di necessità, di patria in pericolo, insomma, di una situazione talmente critica da imporre la sospensione di ogni forma di legalità. Per un momento, certo. Ma questi momenti durano spesso tutta una vita. Allora, che fare? Come trattare questa violenza che sentiamo e vediamo intorno a noi?
Jean-Claude Carriere: “Forse si tratta anche in questo caso di una vista inesplicata? Di un’altra domanda senza risposta?”
Da: Il Dalai Lama, La Compassione e la Purezza. Conversazioni Con Jean-Claude Carriere. Traduzione di Laura Deleidi. Fratelli Fabbri Editori Anno: 1995 http://it.scribd.com/doc/157928207/Dalai-Lama-Purezza