L’insegnamento dipende anche dal livello di comprensione dei discepoli.
Jean-Claude Carriere: “Sakyamuni sembra avere sempre diffidato delle posizioni estreme, che possono essere interpretate in un senso volto all’eternità (esiste per sempre un’anima indipendente) o, al contrario, nichilista (non esiste nulla). Le sue preoccupazioni di pedagogo ci sono state tramandate da uno dei suoi continuatori, Maitreya. Vi si vede che il Risvegliato diffidava del proprio prestigio, raccomandando di confidare nell’insegnamento propriamente detto, e non nella persona del maestro, e che metteva in guardia anche dalla dolcezza persuasiva delle parole, in altri termini di un bel discorso, preferendo la parola esatta e diretta.
Infine, a certe domande, è noto come egli rispondesse col silenzio. Queste zone lasciate nell’ombra, ove la lama del pensiero non penetra, si chiamano “le quattordici viste inesplicate”. Per noi, ricercatori occidentali che scaviamo ovunque, che non vogliamo lasciare alcun territorio di conoscenza inesplorato (anche se le conseguenze della ricerca possono spesso sembrare temibili), questi quattordici punti indiscutibilmente impenetrabili sono un mistero e quasi uno scandalo. Dio ci ha affidato tutto, anche l’oscurità da illuminare. Al mistero di questo atteggiamento lontano, di queste domande in sospeso fin dall’origine, si aggiunge per noi l’enigma del buddhismo stesso. Ai nostri occhi avidi di un ordine chiaro, di una definizione precisa, il buddhismo appare spesso come un atteggiamento ambiguo, al limite della contraddizione, ove tutte le tendenze possono convivere. È una religione? È una filosofia, o una morale? Domande senza risposta, quasi inopportune. Esso resiste ostinatamente a ogni classificazione, conservando in ultima analisi qualcosa di inafferrabile. Alcuni spiriti possono provarne ripugnanza (ha senso concepire problemi senza soluzione?), altri, al contrario, vi si muovono a loro agio. Tutti coloro che lo praticano insistono sulla necessità dell’esperienza, che risolve le indecisioni teoriche con la grazia della vita stessa, inesplicabile. Il nostro rapporto con la terra rappresenterebbe uno di questi problemi senza soluzione? Si tratterebbe di una quindicesima “vista inesplicata”?
Quello che più mi stupisce è che alcuni miei amici, intelligenti e colti, sembrano incapaci di vedere. Sembra anche, per alcuni di loro, che un accumulo di conoscenze rafforzi la fiducia in se stessi e li accechi anziché metterli in guardia. Nulla è più sconcertante dei dibattiti tra scienziati che rifiutano sempre, poniamo si citi la fascia d’ozono, di pronunciarsi. Manca sempre in loro un ultimo dettaglio, un piccolo calcolo. Il tempo stringe, come dice lei, il veleno della freccia produce i suoi effetti, ed essi non si pronunciano. Mentre la cosa è chiara: non si corre alcun rischio a proteggere la terra, anche supponendo che essa non corra alcun pericolo.”
Sua Santità il Dalai Lama: “In caso contrario, se non facciamo nulla, ogni timore è giustificato.”
Jean-Claude Carriere: “È la logica stessa. È di primaria necessità fare una scommessa sul peggio. Ma la gente ascolta, scuote la testa, dice: sì, sì, avete ragione…”
Sua Santità il Dalai Lama: “E subito dimentica.”
Jean-Claude Carriere: “Quanto ai partiti politici che si dichiarano sostenitori dell’ecologia, e ai quali lei alludeva, capita loro di dividersi.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Sì. Il gusto del potere s’intrufola ovunque.”
Jean-Claude Carriere: “Anche questo è uno dei problemi che ci inquietano: l’ecologia deve accontentarsi di un’azione sul campo oppure innalzarsi, col rischio di corrompersi, fino al piano politico dove si prendono le decisioni? Non abbiamo tutti la stessa risposta.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Né, senza dubbio, la stessa domanda.”
Jean-Claude Carriere: “Ho letto con piacere, in uno dei suoi libri, che lei spegne la luce quando lascia la stanza di un albergo.”
Sua Santità il Dalai Lama: “È vero.”
Jean-Claude Carriere: “Io faccio la stessa cosa, per abitudine. Durante l’infanzia, quando l’elettricità era ancora un lusso, mi hanno educato in questo modo.”
Sua Santità il Dalai Lama: “So bene che questo gesto non giova alla terra se non in proporzione infima. È necessario, comunque, iniziare da qui. Cominciare da se stessi, sperando che qualcun altro, intorno a noi, ci imiti, e che il cerchio vada allargandosi.”
Jean-Claude Carriere: “Tuttavia le generazioni che ci seguono, nate nella seconda metà del secolo, hanno altre abitudini. L’elettricità, che fa dimenticare l’antica paura della notte, è diventata loro familiare. Rarissimi sono i giovani, in Europa, negli Stati Uniti, che spengono la luce uscendo da una stanza.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Non hanno conosciuto la notte, il mondo oscuro, il chiarore prezioso di una candela.”
Jean-Claude Carriere: “Sono come quei bambini che non hanno conosciuto la terra pulita e bella.”
Sua Santità il Dalai Lama: “E non dimentichi che quest’ignoranza fa gli interessi di coloro che producono l’elettricità”.
Jean-Claude Carriere: “E di coloro che la vendono. Abbiamo altri punti in comune. Come lei, sono nato in un piccolo paese. Ho abbandonato la pesca e la caccia, che praticavo nella mia infanzia come ogni fanciullo di campagna. Nato nel 1931, ho quattro anni più di lei, che nelle sue memorie racconta che la seconda guerra mondiale le passò quasi inosservata, mentre fu il grande avvenimento della mia infanzia. Lei viveva allora in un altro mondo, ancora isolato e organizzato da riti, bambino misteriosamente designato alla funzione che esercita oggi. Tuttavia, in alcuni momenti, ho l’impressione che lei, l’uomo che mi parla, ora serio, ora allegro, e che spesso mi stringe amichevolmente la mano, abbia due o tremila anni più di me. Porta in sé tutto un continente di pensieri, immagini, suoni, sentimenti che giungono da un lontano passato, conservati da una meditazione quotidiana, e per questo sempre vivi.
Sua Santità il Dalai Lama: “Non sono un esperto dell’educazione. Sono anzi ignorante in questo campo. Ma so che la vera risposta è qui. I nostri sistemi educativi cambiano nostro malgrado. In Occidente è chiaro che la televisione sta prendendo il posto dei maestri di un tempo. È un bene? È un male?”.
Jean-Claude Carriere: “Comunque, tutti ne discutono. E vivacemente.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Mi dicono che le nuove generazioni, negli Stati Uniti e anche in Europa, hanno un comportamento sempre più egoista e crudele, mi parlano della giungla delle periferie, di bande di giovani teppisti drogati, di pietre omicide gettate dai cavalcavia sulle automobili, e anche di crimini commessi da bambini. È conseguenza d’una decadenza generale, della crisi economica? Oppure lo spettacolo quotidiano della violenza fa emergere la nostra stessa violenza?”
Jean-Claude Carriere: “È un altro problema all’ordine del giorno.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Un fatto curioso, ad esempio: trovo che i giovani tibetani, nati e cresciuti in India, siano più miti di quelli del Tibet. Fanno parte dello stesso popolo, della stessa cultura, parlano la stessa lingua, e tuttavia sono diversi. A causa dell’ambiente, immagino.”
Jean-Claude Carriere: “Però l’India non è un paese particolarmente pacifico.”
Sua Santità il Dalai Lama: “Chi lo può sapere? Rifletta. So bene che ci sono problemi, in India, e anche sangue versato! Ma nell’insieme, in India, popoli diversi, che parlano quasi sessanta lingue e che praticano religioni di ogni genere, riescono a convivere. Non è questo un esempio che tutto il pianeta potrebbe seguire? Non esageri nel dipingere negativamente il quadro. Lei, venendo qui, ha attraversato il Punjab. Sconvolto di recente da lotte, questo Stato è ora pacifico. Ha ritrovato la propria ricchezza. E pensi ai giovani tibetani che in questo momento, in Tibet, devono fare fronte ogni giorno alla pressione degli occupanti cinesi. Ecco indubbiamente la ragione prima della loro aggressività: una vita senza felicità, una vita costantemente messa in discussione. Un’oppressione sistematica porta all’insoddisfazione e ben presto all’aggressività. A tutti noi manca qualcosa. Non so bene cosa, ma lo sento. In Occidente, avete tutto. O almeno lo pensate. Anche se state attraversando in questo momento una crisi, non manca ogni sorta di beni materiali, senz’altro meglio distribuiti che in passato. Voi ne andate comunque sovente fieri. Ma mi sembra che viviate in una tensione, in una competizione e in un timore incessanti. Coloro che crescono in questa atmosfera mancheranno, per tutta la vita, di qualcosa”.
Jean-Claude Carriere: “Di cosa mancheranno?”
Sua Santità il Dalai Lama: “Della nostra dimensione più profonda, e anche più gradevole, e più feconda. Resteranno sulla superficie agitata del mare, senza conoscere la calma sulla quale posano.”
Jean-Claude Carriere: Il Dalai Lama è venuto per la prima volta in Occidente nel 1973. La conoscenza che ha potuto avere delle nostre condizioni di vita, e del livello del nostro pensiero, è forse limitata così come lo è la nostra quando ritorniamo da un viaggio in India o in Cina. Ogni realtà è complessa e mutevole. Quando parla brevemente dell’Occidente meccanicistico e mercantile, non sempre egli sa evitare i luoghi comuni. Non è affatto vero che tutti coloro che vivono in Occidente beneficino di tutte le presupposte comodità, di tutte le meraviglie della tecnica. Questa tensione di cui s’è parlato, questa fretta, questa competizione spietata, non sono senza vaste schiarite, senza ampie zone di serenità. Anche noi abbiamo ricercatori disinteressati, benefattori, sognatori. Anche da noi ci sono anacoreti. Inoltre, quando egli parla dell’Occidente, si accontenta talvolta, per comodità, di un’immagine senza sfumature. Noi facciamo lo stesso, regolarmente, quando parliamo dei paesi arabi, dell’Africa, del Giappone: non cogliamo che il tratto saliente, semplificatore. E il buddhismo ci insegna senza sosta che ogni semplificazione, sempre che pretenda di descrivere una società, è falsa e, di conseguenza, pericolosa.
Quando arriviamo a parlare dei cambiamenti che abbiamo potuto osservare nel corso della nostra vita, gli cito il celebre libro dell’antropologa americana Margaret Mead, Generazioni in conflitto, che fu uno dei manifesti della fine degli anni Sessanta. Non sembra conoscere questo libro.
Sua Santità il Dalai Lama: “Perché dunque era celebre?”
Jean-Claude Carriere: “Perché riprendeva, con chiarezza, le idee più diffuse in quegli anni, e anche perché poneva un vero problema. Nelle società tradizionali, diceva Margaret Mead, il mondo non cambiava da una generazione all’altra, o cambiava di poco. Anche i vecchi potevano trasmettere ai giovani, ai nuovi venuti nel gruppo, ogni loro conoscenza sull’ambiente, sul modo di vita, sugli utensili, sui racconti, sui legami sociali. In un mondo immutabile, le nuove generazioni avevano bisogno di questo sapere. Quando le cose sono cominciate a cambiare, sempre più velocemente con i tempi moderni, lo scarto fra generazioni si è fatto evidente e, in seguito, si è aggravato. È diventato un fossato. I nuovi venuti si domandavano perché i vecchi si ostinassero a trasmettere loro questa o quella tecnica, a far leggere l’uno o l’altro autore, quando quell’autore li annoiava e quella tecnica non aveva più alcuna utilità. Ad esempio, dall’età di sette o otto anni, mio padre mi ha insegnato ad arare con il cavallo. Fra le altre cose dovevo conoscere tutto sull’ambiente contadino. Oggi, supponendo di non averlo dimenticato, sono probabilmente uno dei pochissimi autori europei a saper arare in questo modo.
In compenso, nel 1945, quando si è saputo dell’esplosione di Hiroshima, le persone del paese più vecchie di me (avevo quattordici anni) sono venute a chiedermi cosa fosse questa bomba straordinaria, capace di distruggere una città in un sol colpo. Andavo a scuola, e loro pensavano che io avessi conoscenze che del resto, in questo campo, non avevo. Il sapere cambiava generazione. Accade la stessa cosa, oggi, per quanto riguarda l’elettronica. A mia volta, spesso, chiedo consiglio su questo argomento a mia figlia.
A partire dalla fine degli anni Sessanta, il nostro sistema educativo e’ rimasto come in uno stato d’incertezza. Da un lato gli antichi baluardi del sapere si sgretolavano. Tutto un passato ci sembrava all’improvviso inutile. Il latino cadeva nel dimenticatoio, a favore della matematica. L’insegnamento si proclamava aperto, flessibile, superficiale, quasi facoltativo. In alcuni casi si giungeva a chiedere agli studenti che cosa desiderassero imparare. Atteggiamento che condusse a una pedagogia strana, quasi alla rovescia, e che corse il rischio di formare una o due generazioni di ignoranti. Dopo di che si ebbe la solita reazione, e così via.
In questo momento esitiamo ancora. Come lei dice, avvertiamo chiaramente che l’intero sistema deve cambiare. Ma per andare in quale direzione? Le opinioni divergono.”
Da: Il Dalai Lama, La Compassione e la Purezza. Conversazioni Con Jean-Claude Carriere. Traduzione di Laura Deleidi. Fratelli Fabbri Editori Anno: 1995 http://it.scribd.com/doc/157928207/Dalai-Lama-Purezza