Tibetano si suicida per porre fine alla tortura in prigione
Un uomo tibetano arrestato dalla polizia cinese con l’accuse sconosciute si è suicidato in carcere per porre fine alle brutali torture subite per mano dei suoi carcerieri.
Tassi, 30 anni, membro della famiglia di Deyang, è morto l’11 marzo nel centro di detenzione di Tsangshul a Markham nella contea Chamdo, della Prefettura della Regione Autonoma del Tibet.
Era stato preso in custodia dalla polizia poco prima dell’anniversario della rivolta del 1959 contro il dominio cinese.
“E’ stato picchiato duramente e torturato durante la detenzione, diventando così disperato da togliersi la vita”, riferisce una fonte. Non è ancora chiaro come si è tolto la vita.
Internet bloccato
La notizia della morte di Tashi è stata ha raggiunto lentamente i contatti con l’esterno a causa della restrizione rigorosa delle comunicazioni imposta dalle autorità cinesi nella zona.
“Internet è stato bloccato a Markham per un bel po’ di tempo, ed è stato difficile avere maggiori informazioni sul motivo per cui Tashi è stato arrestato dalla polizia”, ha detto la fonte.
Il numero di tibetani presi in custodia per aver protestato contro la morte di Rashi, inoltre, non è nota.
“I membri della task force governativa assegnati alle diverse aree di Markham stanno ora indagando e monitorando l’attività delle famiglie tibetane”, ha aggiunto.
Dimostrazioni sporadiche contro il governo di Pechino per chiedere il ritorno del leader spirituale in esilio, il Dalai Lama, sono continuate nelle zone a popolazione tibetana della Cina dalle diffuse proteste del 2008.
Fonte: Radio Free Asia, 2 apr 16
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