Durissimo libro bianco di Pechino sul Tibet: “il Dalai Lama abbandoni ogni illusione”.
16 aprile 2015. In un durissimo libro bianco pubblicato in data 15 aprile la Cina chiede al Dalai Lama di abbandonare ogni illusione circa la possibilità di un dialogo sul futuro del Tibet e lo accusa, ancora una volta, di falsità poiché dietro la sua richiesta di autonomia nasconde in realtà una forma di indipendenza mascherata.
Nel Libro bianco sulla questione del Tibet, il governo pone come condizione per il dialogo “il ritiro totale del monaco da ogni attività, le sue scuse per i misfatti compiuti e la fine di ogni richiesta di autonomia per la provincia”. Pechino spera di poter gestire la sua successione, ma esperti religiosi e accademici chiariscono: “Solo l’attuale leader buddista potrà decidere sul futuro della sua carica, le ingerenze della Cina provocheranno solo nuovi danni”.
Pechino (AsiaNews) – Il Dalai Lama “deve chiedere perdono al governo cinese per i suoi misfatti e smetterla di parlare di autonomia per il Tibet, un concetto che è del tutto fuori discussione”. È il cuore del Libro bianco sulla provincia autonoma tibetana presentato dall’Ufficio informazioni del Consiglio di Stato cinese. Nel testo, il governo di Xi Jinping respinge le proposte di dialogo lanciate dal leader buddista e riafferma la volontà di portare avanti una politica di repressione nella zona.
Ogni negoziato, scrivono i dirigenti cinesi, “passa dal completo abbandono di ogni attività da parte del Dalai Lama, che deve chiedere perdono al governo centrale e al popolo cinese. In un secondo momento lavoreremo su cosa dovrà fare per il resto della sua vita. Dato che il sistema e lo status politico del Tibet sono chiariti dalla Costituzione e dalle leggi cinesi, non esiste una ‘questione tibetana’ e tanto meno c’è la possibilità di un maggiore grado di autonomia”.
Nel lungo documento, reso pubblico dall’agenzia di stato Xinhua, il governo cinese afferma che il Dalai Lama e i suoi sostenitori, fallito ogni tentativo di raggiungere i loro obiettivi con la violenza, mostrano di non avere compreso cosa significhi un Tibet moderno e di “essere sentimentalmente legati al vecchio sistema teocratico della servitù feudale”. “L’unica alternativa che loro resta consiste nell’accettare che il Tibet ha fatto parte della Cina sin dall’antichità e nell’abbandonare l’idea di dividere la Cina e chiedere l’indipendenza”. “Nessuno dei colloqui fin qui avvenuti sono stati condotti in buona fede”, accusa Pechino, “L’intenzione del Dalai Lama e dei suoi sostenitori è sempre stata quella di dividere il paese e di arrivare a conseguire l’indipendenza del Tibet”.
Nel commentare su Facebook, nella pagina “Torce umane in Tibet”, il libro bianco cinese, Piero Verni, giornalista e scrittore, scrive: “E’ una dura requisitoria contro il Dalai Lama, l’Amministrazione Centrale Tibetana (CTA), la proposta della “Via di Mezzo” (vista esclusivamente come subdolo grimaldello per arrivare alla indipendenza del Tibet) e il popolo tibetano nel suo complesso. E’ un martellamento al limite del parossismo in cui nessuna accusa viene risparmiata al Dalai Lama e ai profughi. Il Tibet non è mai stata una nazione indipendente e da oltre un millennio è parte integrante della Cina (ma allora le frontiere che l’esercito cinese ha dovuto travolgere nel 1950 cosa ci stavano a fare?).
Il Dalai Lama ha sabotato, fin dagli anni ’50 dello scorso secolo gli innumerevoli ramoscelli di ulivo che Pechino gli ha porto in questi 60 anni. Il Dalai Lama e la sua “cricca” hanno in tutto questo tempo sistematicamente incoraggiato la violenza e la lotta armata come mezzo di lotta. L’organizzazione dei profughi Tibetan Youth Congress, è equiparata a un gruppo terroristico e la si dipinge come una lunga mano del Dalai Lama e della CTA. La Via di Mezzo è categoricamente liquidata, una volta per tutte verrebbe da dire, non solo come artificio per ottenere l’indipendenza del Tibet ma viene anche ridicolizzata la sua prospettiva di riunire sotto una unica amministrazione tutte le aree abitate prevalentemente da tibetani (oggi divise tra Regione Autonoma del Tibet e contee tibetane facenti parti del Qingai, dello Sichuan, dello Yunnan e del Gansu). Il cosiddetto “Grande Tibet” non è mai esistito ed è stato, tout court, una creazione dell’imperialismo occidentale, in particolare di quello britannico. Il Dalai Lama, la CTA e il Tibetan Youth Congress sono gli organizzatori e i responsabili del “fenomeno” delle autoimmolazioni e, cela va sans dire, dell’ondata di proteste del 2008. La legittimazione del Dalai Lama e del suo governo locale è sempre dipesa da Pechino.
Al Dalai Lama vengono perfino attribuite (ed è forse la cosa più vergognosa) frasi che non ha mai pronunciato quali: “il popolo cinese è un abominevole serpente che si nasconde nel vostro seno”, “Gli han sono degli psicopatici”, “Gli han sono viziosi e malevoli e voglio spazzare via i tibetani” e altre piacevolezze del genere. Infine il documento termina con questa lapidaria sentenza: “La via di mezzo è uno dei tanti tentativi che non avranno successo. Si oppone alla effettiva realtà della nazione e del Tibet. Contravviene alla costituzione cinese e al suo sistema statale”. Penso che possiamo dire che mai, negli anni recenti Pechino aveva stilato un documento così puntuale, duro e privo (quantomeno a livello retorico) di un qualsivoglia spiraglio per una eventuale ripresa dei colloqui con Dharamsala. E’ un diktat, un brutale “guai ai vinti” che stupisce anche chi, come il sottoscritto, non si è mai fatto soverchie illusioni sulla disponibilità al “dialogo” di Pechino”.
Il testo completo del libro bianco cinese (in lingua inglese) al sito:
http://www.china.org.cn/china/2015-04/15/content_35325433.htm