La falsa felicità dei tibetani creata su Twitter da Pechino
Il Tibet, come lo Xinjiang, per i cinesi sono oggi tra le regioni più felici del mondo. Il raccolto di grano è tra i più abbondanti da sempre. Gli yak non hanno mai prodotto tanto latte. Nei villaggi sull’Himalaya aprono scuole e ospedali. La gente, per la prima volta, assapora pace e abbondanza. I monaci buddisti non si appiccano più fuoco e anzi ringraziano Pechino, che porta acqua e luce nei monasteri. Un idillio senza precedenti, bellissima notizia: peccato che sia il parto fantastico della propaganda del partito comunista, creato per disorientare l’opinione pubblica globale. A denunciarlo è l’associazione Free Tibet, base a Londra, che ha scoperto su Twitter centinaia di falsi account riconducibili al governo cinese. I costruttori della finta felicità delle minoranze oppresse non lesinano nemmeno le immagini. Sulla Rete circolano fotografie di sorridenti monaci fedeli al Dalai Lama, impegnati a giocare a mahjong con i soldati di Pechino. La tivù di Stato mostra tibetani e uighuri mentre cantano e ballano.
Un’inchiesta del New York Times ha scoperto che anche nomi e ritratti dei titolari degli account sono una finzione. Decine di identità risultano create incrociando cognomi di persone che vivono tra Caucaso e Brasile. Tale Felipe Berto, presunto tibetano che gioisce online per il trasferimento in periferia dello storico mercato di Lhasa, si rivela un ignaro modello di San Paolo. Altri fan della leadership cinese, accusata di colonizzare con la forza Tibet e Xinjiang, somigliano misteriosamente ad attrici e cantanti occidentali: uno sembra il sosia di Syd Barret, ex voce dei Pink Floyd morto nel 2006. La fotografa di Atlanta Kirsten Kowalski ha scoperto che tra i sedicenti pro-Cina risulta pure la studentessa Usa Lydia May, ritratta a Washington assieme al Dalai Lama. «È una pedina nella mani della Casa Bianca», assicura la pseudo- internauta tibetana.
La mano di Pechino è abilmente celata, ma la creazione di un Tibet in armonia con la Cina, tramite la propaganda sui social network, non beneficia che l’immagine del potere cinese. L’espediente ricorda il «partito del mezzo yuan», l’esercito di cinesi qualunque assoldati dal governo per postare ogni giorno messaggi e commenti tesi a inquadrare positivamente temi considerati «politicamente sensibili». Identità false ed sms pre-costruiti dai funzionari comunisti, incaricati di creare sul web un’opinione pubblica fantoccio ad uso dei media internazionali. Un dipendente della “Wuzhou media Corporation”, società che produce siti Internet per conto del governo cinese, ha smentito l’operazione falsi-tweet, ma ha ammesso che uno staff di 300 persone opera sulle notizie «usando toni e stili facili da credere all’estero».
Paradosso estremo dell’autoritarismo rosso: in patria Twitter, Facebook e YouToube sono bloccati dalla censura anti-occidentale, mentre la propaganda di Stato se ne serve per il nuovo soft-power globale di Pechino. Non a caso il web di partito viene ora mobilitato per simulare la pace in Tibet e Xinjiang. La regione buddista è sconvolta dai suicidi che denunciano la definitiva assimilazione cinese. Nei territori turcofoni, isolati dalla repressione anti-musulmana, sono tornate le esecuzioni di massa negli stadi. Per i leader comunisti, ossessionati dal gap di credibilità internazionale, il ricorso ai finti sostenitori interni è così il solo certificato spendibile all’estero. Esuli e dissidenti, potenza delle Rete, riescono però a smontare la disinformazione elettronica del regime, sfruttando proprio la farsa di Twitter per scoprire i fronti caldi del momento. Questione di traduzione: quando per la fantasia di Pechino «in Tibet è un altro giorno perfetto», significa che in realtà la falsa «terra felice » del web, è scossa «da nuove ore di violenza consegnate al silenzio».
Fonte: di Giampaolo Visetti, da Repubblica (pag. 32), 23/7/2014
Continua a leggere: La falsa felicità dei tibetani creata su Twitter da Pechino | Laogai
Follow us: @LaogaiRFItalia on Twitter | LaogaiResearchFoundationItalia on Facebook