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Tibet: La polizia spara sulla folla, 4 morti
Ottobre 13th, 2013 by admin

La polizia spara sulla folla, 4 morti

Tibet torna di pre­po­tenza nelle cro­na­che rela­tive alla Cina: dopo alcune pro­te­ste seguite a un arre­sto, la poli­zia cinese ha spa­rato sulla folla, ferendo cen­ti­naia di tibe­tani e ucci­den­done quat­tro. La noti­zia, resa nota da Radio Free Asia, da sem­pre molto vicina agli ambienti degli esuli tibe­tani, river­bera sul web, pro­prio men­tre la Corte di Cas­sa­zione spa­gnola accetta il ricorso di un esule tibe­tano, di cit­ta­di­nanza spa­gnola, e accusa l’ex Pre­si­dente cinese Hu Jin­tao di geno­ci­dio, per­pe­trato negli ultimi 50 anni da Pechino con­tro la mino­ranza tibe­tana. Si tratta di due fatti, cui va aggiunta la dichia­ra­zione del Dalai Lama che par­lando del Xin­jiang, l’ha defi­nito «Turk­me­ni­stan Orien­tale» irri­tando ancora di più Pechino, che ripro­pon­gono come cen­trale il pro­blema interno numero uno della diri­genza cinese, ovvero la gestione della regione auto­noma del Tibet.

I quat­tro morti sono il risul­tato dell’ennesima repres­sione mili­tare nella regione. Nei giorni scorsi, un tibe­tano era stato arre­stato per­ché si era rifiu­tato di innal­zare la ban­diera cinese, nel giorno della festa della Repub­blica Popo­lare (il 1 otto­bre). All’arresto era seguita una pro­te­sta, di cui erano arri­vate solo scarne infor­ma­zioni: dalle noti­zie giunte dai luo­ghi tibe­tani, si era venuti a cono­scenza di almeno ses­santa feriti. Da ieri si sa che invece almeno quat­tro sareb­bero i morti e molti gli arrestati.

Un fatto che dopo cen­ti­naia di autoim­mo­la­zioni, testi­mo­nia una poli­tica da parte di Pechino nei con­fronti della regione tibe­tana che non cam­bia nean­che al mutare della pro­pria lea­der­ship poli­tica. Nean­che se – come abbiamo scritto anche nei giorni scorsi su il mani­fe­sto – Xi Jin­ping ha recen­te­mente aperto alle fedi tra­di­zio­nali cinesi, tra le quali figura in primo piano pro­prio il buddismo.

I tibe­tani con­te­stano l’arroganza del potere cinese, che si mani­fe­sta attra­verso una sorta di colo­niz­za­zione eco­no­mica, reli­giosa e cul­tu­rale: da un lato Pechino tra­sforma le anti­che città tibe­tane in Disney­land dei tempi moderni, inse­dia cen­ti­naia di pre­fab­bri­cati dove dovreb­bero abi­tare popo­la­zioni tra­di­zio­nal­mente noma­di­che, dall’altro spinge sul depo­ten­zia­mento del lamai­smo (descritto come un regime teo­cra­tico e feu­dale, non a torto) attra­verso la siniz­za­zione dell’area. Le stesse pro­ce­dure adot­tate in altre regioni, come il Xin­jiang, dove le mino­ranze etni­che lot­tano per la pro­pria soprav­vi­venza culturale.

Dal Tibet, inol­tre, le noti­zie arri­vano con il con­ta­gocce, per­ché il governo ha di fatto chiuso l’area ai gior­na­li­sti e anche per i turi­sti è molto com­pli­cato rag­giun­gere le sue vette e le sue anti­che città. Anche la rete inter­net subi­sce spesso chiu­sure, pro­prio per evi­tare il dif­fon­dersi di noti­zie che pos­sano met­tere in dif­fi­coltà il regime pechi­nese.
Prima dell’avvento al potere di Xi Jin­ping, la rivolta più cla­mo­rosa si era avuto nel 2008, poco prima delle Olim­piadi di Pechino, quando vio­lente pro­te­ste infiam­ma­rono la regione. Allora la rispo­sta dello Stato cinese pre­sie­duto da Hu Jin­tao fu duris­sima. Del resto lo stesso Hu si era for­mato poli­ti­ca­mente pro­prio in Tibet, eser­ci­tando la carica di segre­ta­rio regio­nale alla fine degli anni 80. E pro­prio in occa­sione della rivolta del 1988 Hu Jin­tao pro­clamò la legge mar­ziale nella regione.

Anche per que­sto e per aver sem­pre aval­lato una poli­tica repres­siva nei con­fronti della comu­nità tibe­tana, Hu Jin­tao è stato accu­sato, insieme ad altri diri­genti comu­ni­sti, di «geno­ci­dio nei con­fronti della popo­la­zione tibe­tana», per­ché nella sua posi­zione avrebbe avuto «la com­pe­tenza e la capa­cità orga­niz­za­tiva suf­fi­cienti per azioni dirette e cam­pa­gne volte a mole­stare la popo­la­zione tibe­tana». La Corte spa­gnola è giunta a que­sta deci­sione con­tro Hu Jin­tao, in base alla pos­si­bi­lità rico­no­sciuta di pren­dere in con­si­de­ra­zione anche i casi inter­na­zio­nali di vio­la­zione dei diritti umani, pur­ché ci sia almeno un cit­ta­dino spa­gnolo coin­volto. Nel caso del Tibet, uno degli esuli que­re­lanti, Thub­ten Wan­g­chen risponde a que­sto requi­sito. Si tratta di impu­ta­zioni pesanti, sop­pe­sate a fronte del man­cato lavoro dei diri­genti cinesi per rispon­dere alle accuse e che rischiano di sol­le­vare una cla­mo­rosa pole­mica inter­na­zio­nale tra la Spa­gna e la Cina. http://ilmanifesto.it/la-polizia-spara-sulla-folla-4-morti/

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Nuova ondata di proteste in Tibet, La polizia spara sulla folla: 4 morti

Disordini nella prefettura di Nagchu
Repressione degli agenti cinesi: ferite 50 persone. Le Ong: decine di arresti

Uccisi dalla polizia per essersi rifiutati di issare la bandiera del paese che ritengono invasore ed oppressore. È quello che è successo martedì, ma la notizia si è diffusa solo poche ore fa, nella contea di Driru (Biru in cinese), nella prefettura di Nagchu (Naqu per i cinesi) nel Tibet, provincia autonoma per i cinesi, regione occupata per i locali.

Da un mese l’area è interessata da una ondata di proteste dopo che le autorità cinesi hanno emesso una ordinanza che obbliga tutti i residenti ad issare la bandiera cinese, soprattutto in considerazione che all’inizio di ottobre cade la festa nazionale cinese della nascita della Repubblica Popolare. Nonostante le forti pressioni da parte di autorità e forze di polizia, moltissimi locali si sono rifiutati di sottostare all’obbligo e hanno cominciato a manifestare. Domenica scorsa, il promo forte scontro tra polizia e manifestanti: i primi, per disperdere la folla, esplodono colpi di arma da fuoco sulla folla, facendo una sessantina di feriti. In quella occasione, i manifestanti chiedevano la liberazione di Dorje Draktsel, uno dei principali protagonisti della protesta anti bandiera cinese, che è stato poi arrestato. Martedì nuovamente in strada e nuovi spari della polizia. Questa volta, restano a terra quattro vittime, le prime dal 27 settembre, da quando sono cominciate queste manifestazioni. Secondo quanto riferiscono organizzazioni che si battono per i diritti dei tibetani, tre vittime provenivano dal villaggio di Sengthang ed uno da quello di Tinring. Una cinquantina di tibetani del villaggio di Yangthang sono invece stati feriti dei colpi esplosi dalle forze paramilitari cinesi. A seguito delle manifestazioni, le autorità cinesi hanno inviato nell’area migliaia di agenti e paramilitari per controllare l’area. A Sengthang e in altre zone, sono stati operati anche centinaia di arresti oltre a sequestri di telefonini, per evitare i collegamenti. Ma è caccia al residente dell’area anche in altre parte del Tibet.

Nella capitale Lhasa, infatti, secondo il Tibetan Centre for Human Rights and Democracy, le autorità hanno cominciato una vera e propria caccia ai tibetani di Nagchu. Per l’occasione, è stato diffuso un codice «segreto» per identificare i residenti dell’area teatro delle manifestazioni, subito scoperto dai locali. Gli uomini di Nagchu vengono chiamati `turisti maschi´, le varie città e villaggi dalle quali provengono indicate con lettere dell’alfabeto. Giunti a Lhasa, vengono seguiti a distanza dalla polizia che ne annota gli spostamenti e ne informa i vari centri di polizia di zona. Quelle di queste settimane sono le ultime manifestazioni in Tibet, che hanno visto dal 2008, in concomitanza con il passaggio della fiaccola delle Olimpiadi di Pechino, una recrudescenza della soppressione di ogni forma di protesta da parte delle autorità di Pechino, che ha poi portato ad un aumento delle auto immolazioni. Dal 2011 sono 121 (122 considerando il primo caso avvenuto nel 2009) i tibetani che si sono dati fuoco in nome della libertà del Tibet e per il ritorno dall’esilio del loro leader spirituale, il Dalai Lama. Sono 24 le immolazioni dall’inizio di quest’anno. Sul totale delle autoimmolazioni, 103 sono uomini, 19 donne, 24 erano minori di 18 anni.  http://www.lastampa.it/2013/10/12/esteri/nuova-ondata-di-proteste-in-tibet-la-polizia-spara-sulla-folla-morti-FcHIU33An6uREhisUp83vJ/pagina.html


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