Tsetang Sheldrak Pan, considerata terra di origine della stirpe tibetana
Una certa idea del Tibet
di Claudio Cardelli
Un universo sconfinato, spazi immensi e disperate solitudini, montagne invalicabili e monasteri arroccati su inaccessibili speroni di roccia. Monaci, briganti, pastori, nomadi erranti sugli altopiani con mandrie di yak e scure tende al cui interno fumose stufe mescolavano il loro fumo con quello degli incensi e delle lampade votive. Visi scuri e rugosi segnati dal sole e arcani sorrisi testimoni di una serenità interiore generata da un antico e solido pensiero religioso e filosofico. Prodigi, miti e leggende delle montagne intrisi del buddhismo proveniente dall’India e del culto sciamanico, il Bön.
Questo, più o meno, è come l’immaginario popolare occidentale ha vissuto per almeno tutto il secolo scorso il misterioso mondo tibetano.
Il Tibet è stato anche etichettato come una “teocrazia feudale”! Con questo termine semplicistico si è spesso liquidato quel complesso sistema governativo che per secoli ha guidato la nazione tibetana. Un sistema dove si mescolavano pragmatismo e metafisica, religione e secolarità, che vedeva nel Dalai Lama la sua figura centrale ma che contemplava anche una struttura consigliare complessa e articolata, il Kashag, dove confluivano religiosi e laici.
Se per un occidentale è difficile comprendere o accettare, alle soglie del terzo millennio, un tale sistema di potere, è indubbio che, sia pur con risvolti a volte contraddittori, nel corso dei secoli la società tibetana si è distinta per un generale equilibrio e un’armonia sociale derivante sostanzialmente dal pensiero buddhista. Tale pensiero permeava, e permea tuttora nonostante il prepotente “moderno” si sia inserito in molti strati della società, gran parte dell’esistenza nel mondo tibetano conferendogli peculiarità e unicità.
L’immagine del mondo tibetano è indissolubilmente legata all’immagine dei monasteri arroccati su inaccessibili speroni di roccia o adagiati sui fianchi delle montagne. Inquietanti nell’aspetto ed enormemente attrattivi, sembrano, come suggerisce Alexandra David Neel (1868 – 1969; esploratrice e scrittrice francese, prima donna europea a visitare il Tibet nel 1925) “laboratori misteriosi ove operano forze occulte”. Ma al di là delle suggestioni metafisiche i monasteri del Tibet sono stati per secoli il centro del sapere universale sugli altipiani. Ai monasteri era, ed è ancor oggi in parte, delegato tutto l’insegnamento non solo religioso, ma anche medico, artistico e astrologico.
Essi organizzavano le festività e determinavano quella presenza forte dell’elemento religioso buddhista anche nel vivere quotidiano del mondo laico.
Claudio Cardelli, Presidente dell’Associazione Italia-Tibet, da oltre 30 anni impegnato per il riconoscimento dell’identità di questa terra e strenuo sostenitore della causa tibetana. Documentarista e reporter, autore di diverse pubblicazioni e documentari, fra cui il volume Tibetan Shadows, Ed. Mediane 2008.