La pacifica marcia delle candele promossa a Dharamsala da migliaia e migliaia di monaci tibetani
Per il 4 giugno il gruppo chiede a tutti i tibetani nel mondo di indossare vestiti bianchi, in segno di lutto per le vittime di Tiananmen, come chiesto da Wan Dan, leader delle proteste del 1989.
Per il 20° anniversario del massacro, varie iniziative e la richiesta ai tibetani di tutto il mondo di vestirsi di bianco in segno di memoria. Per ricordare che è unica e comune la lotta per la democrazia e i diritti umani. Intanto prosegue la difesa di una “montagna sacra” tibetana.
Il Tpum esprime particolare solidarietà perché sente la repressione del 1989 simile a quella attuata in Tibet nel marzo 2008, quando l’esercito cinese ha sparato sui dimostranti. Da allora i gruppi pro-diritti denunciano che in Tibet ci sono stati oltre 200 morti, migliaia di arresti, processi iniqui con condanne anche alla pena di morte e all’ergastolo. I tibetani Lobsang Gyaltsen e Loyak sono stati condannati a morte e la pena può essere eseguita qualsiasi giorno. – …
Il gruppo ricorda che la protesta dei tibetani continua e che da settimane circa 500 tibetani hanno bloccato le strade che portano alla montagna sacra Ser Ngul Lo, contea di Markham prefettura di Chamdo, per impedire scavi minerari disposti dalle autorità cinesi. La zona è ora presidiata da oltre 300 soldati e le autorità hanno dichiarato che è illegale dare informazioni sulla vicenda.
Il Tpum chiede a Pechino di rilasciare tutti i detenuti politici di piazza Tiananmen e quelli tibetani del 2008 e riafferma la volontà di lavorare insieme al popolo cinese per sostenere la democrazia e i diritti umani. (NC)
03-06-2009 In Campidoglio il 20° anniversario della rivolta di Piazza Tien An Amen
Il 3 giugno alle ore 12 in via delle Vergini, 18 sarà celebrato il 20mo anniversario della rivolta di Piazza Tien An Amen, quando giovani studenti, operai e cittadini si ribellarono contro il regime dittatoriale cinese che represse nel sangue la rivolta, nell’indifferenza del mondo occidentale. Lu Decheng, Yu Zhijian e Yu Dongyue, il 23 maggio 1989 diedero vita alla ribellione gettando gusci d’uova pieni di vernice contro il ritratto di Mao Zedong a Piazza Tien An Men a Pechino. Per questa coraggiosa azione i ‘three gentlemen’, come vennero soprannominati dai mass-media,vennero condannati ai lavori forzati nei Laogai rispettivamente a 9, 12 e 17 anni. Per la prima volta i tre giovani eroi si sono incontrati negli USA vent’anni dopo il loro arresto. Li avremo collegati in video conferenza contemporaneamente da Washington. Un evento eccezionale per sottolineare la linea ideale che unisce la dissidenza cinese a quella tibetana e per ricordare il sacrificio del popolo cinese e la sofferenza del popolo tibetano da oltre mezzo secolo assoggettati al dominio di Pechino. Interverrà infatti anche il dissidente tibetano Reting Tempa Tsering, che porterà la sua testimonianza di combattente e prigioniero dei Laogai per oltre 12 anni. Al convegno organizzato dalla Laogai Research Foundation, Students For a Free Tibet Italia e l’associazione ambientalista Memento Naturae, interverranno i consiglieri comunali Ugo Cassone e Paolo Masini, Yakar Gelek, coordinatore nazionale di Students for a Free Tibet Italia, Riccardo Oliva presidente di Memento Naturae e Toni Brandi, presidente della Laogai Research Foundation Italia. Per interviste contattare Gianluigi Indri 338 2035134
Pechino costretta a rispondere alle memorie di Zhao su Tiananmen
Dura presa di posizione di media semiufficiali, che dichiarano “inoppugnabile” e “incontestabile” la condanna di Zhao, e con lui del massacro di Tiananmen. Ma esperti osservano che le modalità della risposta fanno pensare a contrasti interni nel Partito. Agli arresti domiciliari i principali dissidenti. Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Il giudizio del Partito comunista cinese (Pcc) su Zhao Ziyang, defunto leader riformista e contrario al massacro di piazza Tiananmen, è “inoppugnabile” e “fondato su dati storici incontestabili”. Pechino affida all’agenzia semiufficiale Hong Kong China News la sua risposta al libro delle memorie di Zhao (“Prigioniero dello Stato”), dopo settimane di imbarazzato silenzio. Intanto ha messo agli arresti i principali dissidenti democratici, per evitare che intervengano per l’anniversario dei 20 anni dal 4 giugno 1989.
Il duro commento è apparso ieri in tre giornali di Hong Kong vicini al Pcc e nell’edizione di Hong Kong del China Daily (giornale in lingua inglese molto più letto dagli stranieri che dai cinesi) a firma di tale Zhong Zhengping, ritenuto nome di fantasia. A Hong Kong è uscito il libro di Zhao: l’edizione in inglese è andata a ruba e quella in cinese, uscita oggi, in poche ore ha esaurito le 14mila copie della prima tiratura.
L’articolo non parla del massacro di Tiananmen, che Pechino vorrebbe far cadere nell’oblio, ma ripete che non è pensabile alcuna revisione del giudizio su Zhao, allora segretario del Partito criticato perché si è opposto all’intervento dell’esercito e ha così creato “divisione” nel Partito, confinato agli arresti domiciliari sino alla morte nel 2005. Tende a sminuire il ruolo di Zhao nelle riforme e nella modernizzazione della Cina, a favore del leader supercelebrato Deng Xiaoping. Con ciò rifiuta qualsiasi dialogo sul movimento degli studenti del 1989, bollati da Pechino come antirivoluzionari, ma che sempre più voci chiedono di riconsiderare quali sinceri patrioti che chiedevano meno corruzione e più democrazia.
Il giorno prima 27 maggio tale Qi Lin (pure ritenuto uno pseudonimo) sugli stessi giornali ha attaccato i media occidentali, che “strombazzano” le memorie di Zhao per fare pressioni indebite sul governo cinese, rivedendo il giudizio sulle proteste del 1989 e piegandosi ad adottare una forma di democrazia occidentale.
Il massacro del 4 giugno è argomento tabù per il Pcc ed esperti concordano che l’aver dovuto dare una risposta dimostra come il libro di Zhao abbia toccato un nervo sensibile e causato ampie reazioni interne e dibattito pubblico nel Paese e all’estero.
Le modalità della risposta –affidata a un’agenzia semiufficiale- fanno ritenere ad alcuni analisti che queste affermazioni riflettano la posizione di alcuni leader, ma non dell’intera dirigenza del Pcc.
L’analista Poon Siu-to di Hong Kong osserva al quotidiano South China Morning Post che di solito le posizioni ufficiali del Pcc sono pubblicate sul Quotidiano del Popolo o su Xinhua.
L’esperto storico-politico Paul Lin di Taipei ritiene persino possibile sia in atto uno scontro interno per la revisione del giudizio su Zhao.
Il professor Joseph Cheng Yu-shek dell’Università della Città di Hong Kong commenta che “se una semplice revisione storica causa simile subbuglio, dobbiamo interrogarci sulla legittimità e sulla stabilità del regime”.
Intanto, con l’avvicinarsi del 4 giugno, è massima la sorveglianza sui principali dissidenti cinesi. Bao Tong, ex aiutante di Zhao da 20 anni agli arresti domiciliari e collaboratore nella stesura delle memorie, è stato “allontanato” dalla sua casa di Pechino. Il figlio Bao Pu precisa che “è stato d’accordo a farlo” e a prendersi una “vacanza” sui monti dell’Anhui fino al 7 giugno.
Sono agli arresti domiciliari sotto stretta sorveglianza Qi Zhiyong, che in piazza Tiananmen ha perso una gamba, e Jiang Qisheng, professore di filosofia incarcerato nel 1999 per sovversione per avere cercato di commemorare il 10° anniversario del massacro.
Ieri le Madri di Tiananmen, gruppo di 128 parenti che la notte del 3-4 giugno hanno perso i figli nella piazza, hanno di nuovo chiesto “a chiunque abbia informazioni su quella tragedia” di rivelare il destino dei molti giovani che sono scomparsi ma che si ignora se siano morti o in carcere da allora. Hanno anche chiesto un’indagine ufficiale, un risarcimento per i parenti delle vittime e la punizione dei responsabili.
Le memorie di Zhao Ziyang rivelano fatti “segreti” del massacro di Tiananmen
Zhao racconta come i “duri” del Partito hanno sfruttato la paranoia del leader Deng Xiaoping per impedire il dialogo con gli studenti e arrivare all’intervento dell’esercito. Silenzio imbarazzato di Pechino. Hong Kong (AsiaNews/Agenzie) – Poteva essere evitato il massacro di piazza Tiananmen a Pechino, dove la notte tra il 3 e il 4 giugno 1989 l’esercito ha sparato su pacifici dimostranti pro-democrazia uccidendone centinaia, forse migliaia. La Cina avrebbe potuto abbracciare un’evoluzione democratica. Ma nel Partito comunista cinese (Pcc) è prevalsa la paranoia del leader Deng Xiaoping per la paura di perdere il potere, manovrata con abilità dagli ultraconservatori come il premier Li Peng, il vice premier Yao Yilin e il sindaco di Pechino Chen Xitong.
E’ quanto dice Zhao Ziyang, allora segretario generale del Pcc, nel libro “Prigioniero di Stato” che raccoglie le sue memorie, uscito ieri in inglese a Hong Kong e che sarà pubblicato in cinese mandarino entro il 29 maggio.
Zhao, sostenitore di uno sviluppo democratico in Cina, dopo il massacro è stato in carcere e poi agli arresti domiciliari fino alla morte nel 2005, solo per avere simpatizzato con gli studenti. Pechino ancor oggi dice che gli studenti e operai massacrati erano pericolosi elementi antirivoluzionari. Ma in realtà la ferita è ancora aperta nel Paese e le autorità rifiutano persino di parlare di quella tragedia e continuano a colpire con la censura e il carcere chiunque ne parli o cerchi la verità.
Zhao racconta che gli studenti erano scesi in piazza per protestare contro la corruzione e per ottenere riforme democratiche, ma non per rovesciare il sistema di governo. Ma la situazione è stata fatta precipitare da un editoriale del 26 aprile 1989 sul Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Pcc, scritto da Li, nel quale gli studenti erano qualificati come “agitatori contro il partito, contro il socialismo”. Zhao dice che nell’editoriale Li “parafrasò un discorso” privato di Deng, rendendo nota e ufficiale la sua posizione contro i manifestanti. Per reazione, proseguirono le proteste di piazza e diventò impossibile qualsiasi colloquio, rendendo di fatto inevitabile l’impiego della forza militare.
In quella situazione, Zhao dice che “la chiave della questione è sempre stato lo stesso Deng Xiaoping… se Deng rifiutava di avere una posizione più elastica, io non avevo modo di far cambiare posizione ai due più intransigenti, Li Peng e Yao Yilin”. Comunque, la responsabilità ultima della decisione è stata interamente dello stesso. Aggiunge che “Deng aveva sempre avuto la tendenza a preferire misure dure nel trattare con gli studenti, perché credeva che le loro dimostrazioni minassero la stabilità”. “Deng – continua –tra i leader del Pcc è sempre stato quello favorevole ad agire in modo dittatoriale. Ha sempre insistito come sia utile. Quando ha parlato di stabilità, ha sempre insistito sulla dittatura”.
Il libro è tratto da 30 ore di interviste a Zhao registrate ed è stato curato nel massimo segreto da suoi stretti amici e collaboratori. Se ne assume la piena responsabilità Bao Tong, ex segretario di Zhao, a sua volta in carcere per 7 anni e ancora agli arresti domiciliari. Egli dice di averne curato la versione sia cinese che inglese (con l’aiuto di suo figlio Bao Pu) e si augura che “induca i membri del Pcc a una profonda riflessione”.
Nel libro Zhao chiede al Partito di rivedere il giudizio sulle proteste e sul massacro e di riprendere le riforme politiche democratiche, con un sistema multipartitico, libertà di stampa e una magistratura indipendente.
La stampa cinese ha oggi accolto il libro con un imbarazzato silenzio, né ci sono stati commenti ufficiali.
Wei Jingsheng: Tiananmen, il potere della libertà
di Wei Jingsheng
I giorni di Tiananmen nel 1989 sono stati importanti per il mondo e per la Cina, e dimostrano che il desiderio di libertà e la libertà di espressione sono la base di ogni vero cambiamento. Una riflessione per AsiaNews scritta dal “padre della democrazia” in Cina, oggi esule negli Stati Uniti.
Washington (AsiaNews) – Il massacro accaduto nel 1989 ha sconvolto il mondo, ma lo ha anche cambiato in modo completo. Tutte le nazioni comuniste dell’Europa sono crollate, facendo nascere più di 12 nazioni democratiche. La Guerra fredda in Europa si è conclusa e ciò ha permesso ai popoli di investire più tempo, energia e denaro sulla salvaguardia sociale. In questo modo la società umana è entrata in un nuovo periodo di sviluppo.
Ciò che è cambiato in modo completo non è soltanto la struttura politica in Europa, ma anche quella dell’intero mondo.
Tutto questo movimento è partito dalla Cina. È grazie all’incoraggiamento ricevuto dall’eroismo della popolazione cinese che queste nazioni europee hanno sbriciolato i loro governi dittatoriali.
Quale potere ha invece incoraggiato il popolo cinese fino a rischiare le loro vite in un confronto con il governo dittatoriale, equipaggiato di carri armati e di mitragliatrici? È la libertà. La sete di libertà e quel poco spazio di libertà di parola durato due mesi ha prodotto il grande coraggio del mio popolo.
Sotto l’autoritario regime del comunismo, [fino ad allora] molte persone hanno perso la loro vita per quello che hanno detto. In questo modo, la gente ha dovuto essere molto cauta nel rapportarsi l’uno all’altro, per evitare di essere denunciati dicendo qualcosa di negativo verso il Partito comunista. Questa enorme cautela fra la gente ha prodotto incomprensioni nella maggioranza della popolazione. Essi pensavano che, oltre a se stessi e a pochi amici, tutti sostenevano il Partito comunista. Se l’intera società sostenesse il Partito comunista, la determinazione della gente a resistere sarebbe minore e non si troverebbe nessuno che abbia il coraggio di uscire allo scoperto. Con la loro potente macchina di soppressione, i governanti hanno maggiore facilità a soffocare ogni tipo di resistenza.
Nella primavera del 1989, durante la loro resistenza nelle strade, le persone hanno cominciato a comunicare liberamente. Tutt’a un tratto essi hanno scoperto che i pensieri di uno erano gli stessi di quello dell’altro e così la loro fiducia ha ricevuto un grande incoraggiamento. Il numero delle persone che andava a dimostrare nelle strade è cresciuto a dismisura, gli slogan contro il comunismo sono divenuti sempre più espliciti. E dopo che anche i media si sono schierati in modo aperto dalla parte della gente, il movimento democratico è divenuto un movimento di tutto il popolo.
I cittadini e gli studenti di Pechino erano decisi a dare la vita per la libertà. Essi volevano sapere che [perfino] la loro morte avrebbe avuto valore. Se questo fosse stato il pensiero di pochi, il sacrificio delle loro vite non avrebbe avuto valore. L’eroismo della gente si è moltiplicato perché [essi hanno capito] che era per il bene della maggioranza e questa maggioranza comprendeva tale sacrificio. Il dialogo libero, la libertà di parola, ha creato le condizioni per uno scambio libero dei pensieri e ciò è divenuta la ragione fondamentale per il coraggio della gente.
La libertà dà al popolo il vero potere. Nel movimento popolare cinese dell’89 contro la tirannia, è evidente il potere della libertà.
* Chi è Wei Jingsheng
Wei ha una lunga storia nel campo dei diritti umani e della democrazia in Cina. Il 5 aprile 1976, a 26 anni, partecipa al primo moto antigovernativo che scoppia in piazza Tiananmen. Due anni dopo appare, nei pressi di uno dei principali incroci della capitale, il Muro della Democrazia: un angolo di muro dove sono affissi i dazibao della contestazione democratica. Il 5 dicembre 1978 affigge il testo che lo renderà celebre “La Quinta Modernizzazione” – dove sviluppa l’idea che il progresso economico del paese (le “quattro modernizzazioni” esaltate dal regime comunista) deve passare attraverso la democratizzazione del sistema, senza la quale il popolo non avrà alcun beneficio. Wei denuncia la detenzione per motivi politici, la miseria di una parte della popolazione, le origini politiche della delinquenza giovanile, la vendita di bambini per le strade di Pechino. Dal ’79 al ’93 è tenuto in prigione per volere di Deng Xiaoping. Dopo il rilascio, il primo aprile 1994 viene fatto sparire insieme alla sua compagna. Il 13 dicembre 1995, un anno e mezzo dopo il nuovo arresto, Wei riappare davanti alla Corte popolare di Pechino e condannato a 14 anni di prigione per “aver complottato contro il governo”. Il 16 novembre 1997 è stato scarcerato dalle autorità cinesi dopo fortissime pressioni da parte della comunità internazionali e mandato all’estero per “cure”, ma in realtà condannato all’esilio. Al momento vive negli Stati Uniti ed è il presidente del Comitato oltreoceano del Movimento “Democratic China”.
Card. Zen: A 20 anni da Tiananmen, Deng è morto: è tempo che cambi la dittatura cinese
di Gianni Criveller
Il vescovo emerito di Hong Kong afferma che è tempo di criticare Deng Xiaoping per la responsabilità avuta nel massacro. Il 4 giugno 1989 è il momento in cui la gente di Hong Kong è cresciuta nel patriottismo e nell’amore alla Cina. Giustificare il massacro con lo sviluppo economico di questi anni è “una stupidaggine”.
Hong Kong (AsiaNews) – “É veramente triste che siano passati 20 anni [dal massacro di Tiananmen] e la tragedia non sia stata ancora riconosciuta dal governo come un errore e un crimine… Deng stesso se ne è presa la responsabilità quando nei giorni successivi al massacro si è recato in prima persona a congratularsi con i soldati. È stato lui che ha dato l’ordine. Ma ora Deng è morto da tanto tempo: è possibile che dopo tanti anni non si possa fare chiarezza e giustizia su ciò che è successo, senza aver paura di una persona morta da tempo?”. Il card. Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, campione di democrazia e libertà religiosa, esprime così il suo dispiacere e stupore per il rifiuto del governo cinese di ammettere l’errore di Tiananmen.
In un’intervista ad AsiaNews – che sarà pubblicata integrale nei prossimi giorni – egli afferma che l’origine di questo “rifiuto” sta nel sistema dittatoriale cinese, che è tempo di cambiare.
“[Quello cinese] è un sistema che dipende da una persona. Quella persona è stata lungimirante e intelligente in alcune cose, ma quella stessa persona non sopportava la democrazia, e si considerava un imperatore. Di recente qualcuno ha detto: ma come si fa riabilitare quel movimento [di Tiananmen]? Si dovrebbe biasimare Deng Xiaoping! Ma questo è impossibile!
Io chiedo: e perché mai non si può biasimare Deng Xiaoping? Ha fatto una cosa enorme. Anche Mao è stato biasimato a causa della Rivoluzione culturale, e perché non si potrebbe biasimare anche Deng? Bisogna assolutamente cambiare questo sistema imperiale, dittatoriale che è rimasto e che è all’origine di una tragedia cosi vasta”.
Il porporato – venti anni fa un semplice sacerdote – ricorda la partecipazione della popolazione di Hong Kong al movimento di Tiananmen e il dolore per il massacro.
“Quell’anno [il 1989] per tutto il popolo di Hong Kong è stato l’inizio di una nuova consapevolezza e sensibilità: siamo cinesi, facciamo parte di questa nazione. Fin ad allora ci sentivamo solo come gente di Hong Kong. Ma in quella occasione ci siamo sentiti veramente cinesi”.
“Io ero allora il direttore religioso della scuola salesiana di Aberdeen, superiore della comunità e il supervisore della scuola. Siccome i fatti salienti sono capitati di domenica, il lunedì seguente, quando avevamo i raduni della scuola, si parlava con le lacrime agli occhi, perché ci siamo sentiti cinesi, e abbiamo condiviso con emozione la sorte di quei giovani che hanno avuto il coraggio di venir fuori e di chiedere una riforma della patria. Ricordo che dopo il massacro ho fatto due discorsi, e poi abbiamo fatto una commemorazione per gli eroi morti in piazza e nelle vicinanze della piazza”.
“Ricordo in special modo la giornata della grande marcia di un milione di cittadini qui ad Hong Kong in cui si cantava e pregava. È stata veramente un’esperienza unica, una cosa che si ricorda per tutta la vita”.
Dall’89 in poi a Hong Kong ogni anno, il 4 giugno, si celebra una grande veglia a ricordo degli uccisi di Tiananmen. Nel Victoria Park, dove ha luogo, si radunano decine di migliaia di persone. Negli anni in cui il card. Zen è stato vescovo di Hong Kong egli ha sempre partecipato in prima persona alla veglia di preghiera che precedeva il grande raduno.
“Ricordo che qualche anno fa, durante uno di quegli incontri di preghiera, mi è stato chiesto se l’anno seguente sarei ritornato. Io ho risposto: Il prossimo anno spero che saremo qui a celebrare una vittoria, ovvero il riconoscimento del valore dei martiri di Tiananmen come eroi patriottici e dell’errore commesso da governo nel sopprimerli.
É veramente triste che siano passati 20 anni e la tragedia non sia stata ancora riconosciuta dal governo come un errore e un crimine Ma [per noi], dopo 20 niente è cambiato di quel sentire e di quel dolore per il grande ardore giovanile sciupato”.
Nei giorni scorsi il capo dell’esecutivo di Hong Kong, Donald Tsang, ha affermato che il massacro di Tiananmen doveva essere “consegnato alla storia” per dimenticarlo, e ha domandato alla gente di Hong Kong di valutare anche gli “eccezionali risultati” economici raggiunti dalla Cina e da Hong Kong dopo il massacro.
Il card. Zen commenta: “Quella dichiarazione non è farina del suo sacco, è più semplicemente la linea ufficiale: sopprimendo quel movimento si è assicurata la stabilità, da lì è venuta la prosperità. Ma questa è una stupidaggine, davvero una stupidaggine. Nessuno può provare che la stabilità sia venuta dalla soppressione di quel movimento, ed ad ogni modo, nessun successo o prosperità può giustificare un uso così terribile della violenza”.
Sindacalista di Hong Kong: La Cina rischia di ripetere un altro Tiananmen
di Lee Cheuk Yan
Senza democrazia la Cina affonda nell’ingiustizia e nella corruzione. Le rivolte di operai, contadini, migranti sono il segno che Pechino è sull’orlo di una nuova crisi nel rapporto con la popolazione. Hong Kong è un catalizzatore della democrazia in Cina. Parla un testimone del movimento di Tiananmen, al quale è proibito da 20 anni di recarsi in Cina.
Hong Kong (AsiaNews) – Lee Cheuk Yan, 52 anni, è oggi parlamentare del Legco ad Hong Kong. Responsabile della Federazione dei sindacati del territorio, è anche membro del gruppo pan-democratico. Durante i moti di Tiananmen – come tutta la popolazione di Hong Kong – egli ha aiutato i giovani di Pechino e poco prima del massacro del 4 giugno, era riuscito a portare loro il denaro raccolto che doveva servire per acquistare tende, fax, cibo. Arrestato per alcuni giorni, egli è stato poi estradato ad Hong Kong. Da allora Lee è una delle poche persone a cui è vietato andare in Cina, per le sue responsabilità verso il movimento di Tiananmen, ma soprattutto a causa del suo impegno a favore dei lavoratori di Hong Kong e della Cina.
Molte persone mi chiedono perché ricordare ancora il 4 Giugno? In fondo la Cina è cambiata. A guardare la Cina di oggi si vede in effetti un progresso strabiliante. Ma questo è solo in campo economico. Solo in questo ambito si può dire che ci sono molti successi, con una crescita del Pil (Prodotto interno lordo) che per molto tempo è stata sul 10% ogni anno. Ma il modo in cui il Partito comunista tratta la sua gente non è cambiato per nulla. Anche sul lato della corruzione non è cambiato nulla. L’unica cosa che è cambiata rispetto a 20 anni fa sono le dimensioni della corruzione. E la gente continua ad essere adirata contro questa corruzione, come 20 anni fa.
Sugli aspetti della libertà, dunque, nulla è cambiato ancora. Non vi era libertà di espressione e ancora oggi, il governo blocca le opinioni differenti, manca la libertà di parola e di associazione. Basta guardare a come ha arrestato e bloccato tutti i firmatari di Carta 08. Non appena essi sentono che le opinioni possono essere una minaccia al Partito comunista, subito le sopprimono. Così hanno arrestato Liu Xiaobo; durante le Olimpiadi hanno arrestato Hu Jia e il loro crimine è solo quello di sostenere il diritto della gente.
Per questo è davvero amaro sentire che dovremmo dimenticare il 4 giugno perché la Cina è ormai cambiata.
Quest’anno non è solo il 20° anniversario del massacro di Tiananmen. Sono anche i 90 anni dal movimento del 4 Maggio. Anch’essi studenti, chiedevano allora che la Cina venisse riformata con la “scienza” e la “democrazia”. Dopo 90 anni, forse la Cina ha acquisito la scienza, ma dov’è la democrazia? Nella storia della Cina c’è una richiesta di democrazia lunga decenni e ancora oggi non abbiamo democrazia, né diritti umani, né libertà.
La Cina aspetta da un secolo l’avvento della democrazia e non l’ha ancora raggiunta. Perciò è ancora più urgente oggi ricordare al governo di Pechino che la democrazia è una delle promesse non mantenute e senza di essa si rischia un triste sviluppo per il popolo cinese.
Pechino dice spesso che la democrazia è qualcosa che va bene solo all’occidente. In realtà la gente dice che senza democrazia e libertà di parola c’è solo corruzione. Guardiamo ad esempio al terremoto nel Sichuan. Oltre alle Madri di Tiananmen – che ricordano i loro figli uccisi dai carri armati – adesso ci sono anche le Madri del Sichuan, i cui figli sono morti nel terremoto. Nel maggio 2008, esse avevano domandato un’inchiesta per verificare come erano state costruite le scuole, crollate sui loro bambini. Dopo un anno, perfino nell’anniversario del terremoto, il presidente Hu Jintao non ha osato nemmeno ricordare questo problema degli “edifici di tofu”. Eppure un anno fa il governo aveva promesso un’inchiesta!
L’altro esempio è l’impegno di Wen Jiabao per tentare di rafforzare l’economia, sostenendo i contadini, aiutandoli a comprare prodotti ed elettrodomestici [anche per aumentare la domanda interna]. Ma i soldi non arrivano in mano alle persone: rimangono attaccati alle mani dei corrotti rappresentanti del governo.
Quando Pechino dice: “dimenticate i diritti umani, la democrazia, quello che importa è dare da mangiare al popolo”, dice una bugia. Di fatto avviene che senza diritti umani, democrazia, libertà di stampa, non si nutre il popolo, ma i corrotti. L’unica garanzia per il benessere della popolazione è la democrazia.
In più, senza diritti umani e democrazia non si riesce a colmare l’abisso fra ricchi e poveri. Se non ci sono partecipazione, sindacati, società civile, si rischia la rottura.
Hong Kong ha avuto una grande funzione di sostegno verso i giovani del movimento di Tiananmen.
Quei giorni di 20 anni fa sono stati uno dei periodi più dolorosi della mia vita: vedere i giovani uccisi, i feriti trasportati in bicicletta, o caricati sulle spalle, la gente in pianto… Proprio in quei giorni io sono andato a Pechino a portare i soldi che avevamo raccolto a sostegno del movimento. Sono arrivato lì proprio alla fine di maggio. Ho potuto assistere alle prime schermaglie fra l’esercito, i carri armati e la popolazione. Ero andato insieme ad alcuni studenti di Hong Kong, ma ci siamo persi di vista. Ho cercato negli ospedali per vedere di trovarli e alla fine per fortuna li ho trovati, feriti, ma vivi.
Quando però siamo riusciti a prendere l’aereo per tornare ad Hong Kong, la pubblica sicurezza mi ha trascinato giù prima che l’aereo decollasse. Sono rimasto per tre giorni detenuto e non sapevo cosa mi sarebbe successo. Ma dopo tre giorni – penso per le pressioni da parte della gente di Hong Kong – mi hanno lasciato libero di ritornare. Avevo saputo che alcuni operai di Hong Kong avevano promesso che se non mi lasciavano libero, sarebbero entrati con un camion dentro l’ufficio della Xinhua, ad Hong Kong, creando uno scandalo internazionale.
A me è andata bene, ma vi sono cinesi che sono finiti in prigione per lunghi anni.
Per noi di Hong Kong, il movimento di Tiananmen era una specie di speranza, che la dittatura sarebbe finita. E per questo lo abbiamo sostenuto. Ma con il massacro, le nostre speranze erano finite.
Al ritorno, dopo il 4 giugno, a Hong Kong si respirava il terrore e la disperazione. La gente non aveva più fiducia nel futuro, cercava di emigrare, lasciare il territorio. Mi ricordo che mia moglie Elizabeth a quel tempo aspettava un bambino. La gente le domandava dove trovasse il coraggio di avere un figlio, con un marito che era nei guai con la Cina.
Eppure ancora adesso, dopo 20 anni, noi continuiamo la battaglia perché i nostri amici in Cina possano godere di libertà e di democrazia. E la lotta che facciamo ad Hong Kong è la stessa: nel territorio noi vogliamo completa democrazia, il suffragio universale, ma per due volte il Politburo ha bloccato ogni sviluppo, sia per il 2008 che per il 2012.
Se la Cina non cambia il suo giudizio sul 4 Giugno, come possiamo aspettarci che Pechino permetta la totale democrazia ad Hong Kong? È la stessa lotta, lo stesso movimento.
Per questo è importante che noi ad Hong Kong continuiamo a sostenere la democrazia in Cina. La nostra è una importante responsabilità anche come cinesi. Qui ad Hong Kong, il 4 giugno, abbiamo almeno la libertà di accendere una candela per ricordare i morti di Tiananmen [come avviene alla veglia che si tiene nel Victoria Parka tutti gli anni -ndr], ma a Pechino i nostri compatrioti non hanno nemmeno la possibilità di ricordare i defunti: glielo proibiscono.
Il nostro appuntamento annuale è anche una possibilità per quelli della Cina di venire ad Hong Kong per ricordare Tiananmen. Quando nel 2005 abbiamo organizzato un memoriale alla morte di Zhao Ziyang, fra gli intervenuti vi erano molte persone dalla Cina popolare, che venivano da noi perché da loro era proibito ricordare Zhao.
Per i cinesi della Cina popolare, venire ad Hong Kong non è solo turismo, è anche un tour per la democrazia. Hong Kong ha davvero la funzione di diventare un catalizzatore della libertà in Cina.
Anche la tivu di Hong Kong ha questa funzione: la gente nel Guangdong guarda spesso i programmi di Hong Kong. Capita che quando ci sono manifestazioni per la democrazia ad Hong Kong, le televisioni in Cina sono oscurate. La gente allora capisce: Ah, stanno manifestando ad Hong Kong!
Hong Kong, grazie allo stile di vita, la tivu, internet, le comunicazioni ha già un profondo impatto sulla Cina.
Ricordare Tiananmen 20 anni dopo significa mettere il governo cinese davanti una decisione.
Il Paese è ormai una potenza economica; anche se vi è la crisi economica, vi sono ancora tanti soldi che girano; vi sono perfino quelli che dicono che ormai, non si deve parlare di G20, ma di G2 (Cina e Usa) per il governo del mondo…Ma perché sono così deboli quando si confrontano con la loro gente, tanto da non riuscire a sopportare opinioni diverse e sopprimerle?
I leader sono sempre preoccupati che qualcosa contro di loro possa succedere. E penso che siano molto preoccupati per la corruzione galoppante. Un fenomeno di tali dimensioni, che va avanti da decenni, crea tanto risentimento e rivolte e magari un altro Tiananmen.
È ovvio, noi non vogliamo un altro Tiananmen. Vorremmo che il governo risponda in positivo alle rivolte, incontrando il popolo e varando delle riforme politiche. In Cina il desiderio di cambiare è molto forte; il governo deve decidere cosa fare e rispondere alla società civile. Magari non attueranno subito una piena democrazia, ma almeno cominceranno a fare dei passi. E con questo eviterà un altro massacro.
Migliaia in marcia ad Hong Kong per ricordare Tiananmen
di James Wang
L’anno scorso erano mille, quest’anno sono stati 8 mila. Si attende grande partecipazione alla veglia del 4 giugno al Victoria Park. Xiong Yan, già leader di Tiananmen, ora in esilio negli Usa, ha ricevuto il visto un giorno prima, dopo vari rifiuti. Presenti anche alcuni studenti dalla Cina. Hong Kong è l’unico luogo cinese dove in pubblico si commemora Tiananmen.
Hong Kong (AsiaNews) – Almeno 8 mila persone hanno marciato ieri pomeriggio nel centro di Hong Kong per ricordare le dimostrazioni e il massacro avvenuto in piazza Tiananmen a Pechino il 4 giugno 1989. Fra i dimostranti vi era anche Xiong Yan, uno dei leader del movimento di 20 anni fa, che oggi vive negli Usa come cappellano dell’esercito. Xiong Yan ha detto di aver ricevuto il visto di entrata nel territorio solo il giorno precedente, dopo molti rifiuti.
Il corteo si è snodato da Victoria Park fino agli uffici del governo ed era aperto da 20 giovani nati nell’89. L’Alleanza per il sostegno al movimento democratico e patriottico della democrazia in Cina, il gruppo di Hong Kong che ogni anno commemora il 4 giugno, ha voluto sottolineare in questo modo la continuazione della memoria di quell’evento. Fra gli slogan scanditi lungo il percorso vi è uno che diceva: “ Passa la torcia, trasmetti il messaggio della democrazia a quelli che vengono dopo di noi”.
La presenza di 8 mila persone – molti di essi vestiti di bianco e di nero, i colori del lutto – è un grande successo: lo scorso anno i dimostranti erano solo un migliaio. Secondo un’inchiesta dell’università di Hong Kong, il 61% degli studenti del territorio vuole che il governo cinese riveda il suo giudizio su Tiananmen e il 69% pensa che l’uso della violenza contro indifesi dimostranti è stato un errore di Pechino. Lo scorso anno le percentuali erano rispettivamente del 41% e del 58%. L’incremento di coscienza politica è uno smacco per il governatore del territorio, Donald Tsang, che nei giorni scorsi aveva dichiarato che era tempo di mettere da parte il ricordo di Tiananmen e badare allo sviluppo economico della Cina.
Da giorni ad Hong Kong è stato pubblicato il libro delle memorie di Zhao Ziyang, il segretario del partito nel 1989, che a causa della sua contrarietà al massacro, è stato esautorato e messo agli arresti domiciliari per il resto della vita. Il libro in inglese e in cinese è già esaurito. Tutto questo interesse sulla storia e sulle responsabilità di Pechino e il massacro accrescerà la partecipazione alla veglia che ogni anno ad Hong Kong si tiene la sera del 4 giugno nel Victoria Park.
Alla manifestazione di ieri hanno partecipato anche giovani studenti della Cina. Lee Cheuk Yan, sindacalista di Hong Kong, fra gli organizzatori della marcia e della veglia ha dichiarato che Hong Kong “è l’unico luogo in terra cinese che può commemorare il 4 giugno. Hong Kong è divenuta la coscienza della Cina per ricordare… il crimine del massacro di piazza Tiananmen e spingere il regime ad ammettere i suoi errori”.
Il commento di Xiong Yan è che “vi è speranza, dato che sempre più gente di Hong Kong capisce cosa significhi la libertà. Essi aspirano, ricercano la libertà e la attuano”.
Dharamsala (AsiaNews) – Solidarietà dai tibetani vero il movimento democratico cinese del 1989 e sostegno per le sue richieste di libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani. – …Domani 3 giugno il Tibetan People’s Uprising Movement (Tpum) commemorerà i 20 anni dal massacro di piazza Tiananmen, quando l’esercito uccise migliaia di dimostranti pacifici, con varie iniziative. Ci sarà una raccolta di firme durante il giorno e una veglia a lume di candela la notte.