Lobsang Namgyal, monaco di 37 anni, è morto a causa delle ustioni.
Un giovane monaco si dà fuoco e muore nella prefettura di Aba (Sichuan, Cina meridionale). A Kathmandu (Nepal) un altro giovane religioso sceglie il gesto estremo e si auto-immola davanti alla stupa buddista di Boudhanath. Dal 2009 sono 101 i tibetani che hanno scelto di immolarsi contro l’oppressione cinese. Lhasa (AsiaNews) – Altri due giovani tibetani si sono dati fuoco per protestare contro l’oppressione di Pechino. Dendup Gopchep (v. foto), 30 anni, monaco della comunità tibetana in esilio in Nepal, ha compiuto il suicidio durante le manifestazioni per il capodanno lunare organizzate davanti alla stupa di Boudhanath. Il giovane è morto questa notte nell’ospedale di Tribhuwan (Kathmandu). Egli è il secondo membro della comunità tibetana in esilio a immolarsi per libertà del Tibet. Lo scorso 3 febbraio un ex monaco del monastero di Kirti si è dato fuoco vicino a una stazione di polizia nella prefettura di Aba (Sichuan, Cina meridionale). Lobsang Namgyal, 37 anni, è morto subito dopo a causa delle ustioni. Nel 2012 il monaco era stato arrestato e picchiato dalla polizia per aver partecipato a una manifestazione anti-cinese. La notizia è apparsa solo oggi sui media. Secondo fonti locali, prima di cospargersi benzina il monaco ha chiesto il ritorno del Dalai Lama, augurandogli lunga vita. La polizia ha raccolto i suoi resti e li ha consegnati ai familiari. Fonti locali affermano che i tibetani nascondono i casi di auto-immolazioni per timore delle autorità cinesi, che controllano tutte le comunicazioni per evitare la fuga di notizie. Dopo la morte di Lobsang Namgyal, la polizia ha arrestato il fratello minore e ha messo sotto stretta sorveglianza i familiari per paura di proteste. Lo scorso 8 febbraio il tribunale del Popolo della provincia nord-occidentale del Qinghai ha condannato a 13 anni di carcere un tibetano accusato di aver “incitato” un monaco buddista a darsi fuoco contro la dominazione comunista e a favore del ritorno del Dalai Lama in Tibet. Con il gesto di Dendup Gopchep e Lobasang Namgyal i casi di auto-immolazione salgono a 101; di questi, 85 hanno avuto decorso fatale. Stephanie Brigden, responsabile di Free Tibet afferma che “questo triste traguardo dovrebbe suscitare la vergogna della autorità cinesi…La Cina continua a reprimere tutte le manifestazioni, ma senza alcun risultato. Le auto-immolazioni continueranno finché i tibetani saranno oppressi dal regime”. Per la donna, i leader mondiali hanno smesso di parlare del Tibet perché non vogliono inimicarsi Pechino: “Quante altre persone dovranno morire per spingere la comunità internazionale a fermare la Cina?”. Hanno collaborato Kalpit Parajuli e Nirmala Carvalho
Ieri, 13 febbraio, ricorre il centesimo anniversario della proclamazione dell’indipendenza tibetana da parte del 13° Dalai Lama, Thubten Gyatso. Costretto a rifugiarsi in India – dal 1910 al 1912 – in seguito all’invasione del Tibet da parte della dinastia Manchu, fece ritorno in patria dopo la caduta, nel 1911, dei Manchu e la conseguente liberazione del Tibet. Con il suo storico proclama, Thubten Gyatso dichiarò la totale indipendenza del Tibet, indipendenza di cui il paese godette per i successivi trent’anni, fino all’invasione cinese. Ieri, non solo era il “Lhakar”, il “mercoledì bianco” in cui ogni tibetano riafferma l’unicità della propria cultura, ma era anche il terzo giorno, forse il più importante, delle celebrazioni del Losar, il nuovo anno tibetano iniziato lunedì 11 febbraio. Manifestazioni di protesta e di solidarietà con i tibetani all’interno del Tibet hanno segnato questo Losar che l’Amministrazione Tibetana ha voluto fosse ricordato senza i consueti, tradizionali festeggiamenti. Le comunità dei profughi, da Dharamsala a Delhi, da Pokhara a Kathmandu, in Nepal, si sono riuniti in preghiera nei templi, hanno organizzato veglie e osservato un giorno di digiuno in segno di vicinanza e partecipazione alle sofferenze dei loro connazionali in Tibet. Fonti: Phayul – ITN http://www.italiatibet.org/