Il Summit tibetano ha dichiarato che il governo cinese "è il solo responsabile di questa situazione".
Ancora condanne contro i tibetani, Dharamsala invita il popolo alla prudenza.
Il regime cinese non sembra disposto a cercare un accordo con la popolazione del Tibet e continua ad emettere durissime sentenze contro manifestanti e oppositori. Nel frattempo, la diaspora tibetana conclude il Summit sulle auto-immolazioni accusando Pechino per la situazione attuale e invita il popolo a “cercare la Via di Mezzo insegnata dal Dalai Lama”.
Pechino (AsiaNews) – Mentre a Dharamsala si chiude il grande Summit della diaspora tibetana, convocato per decidere una strategia riguardo l’ondata di auto-immolazioni in Tibet, le autorità comuniste della regione non accennano ad allentare la repressione contro la popolazione locale. Diversi tribunali cinesi hanno infatti condannato 4 persone (monaci e laici) a lunghe pene detentive con accuse come “sostegno alle proteste interne” e “diramazione all’estero di notizie riservate”. Il più giovane dei condannati è un monaco di Kirti, nella contea di Ngaba, uno degli epicentri della protesta anti-cinese. I giudici hanno ritenuto Lobsang Tsultrim (19 anni) e Lobsang Jangchub (17 anni) colpevoli di tutte le accuse e li hanno condannati a 11 e 8 anni di prigione. Secondo il tribunale, inoltre, avrebbero avuto un ruolo attivo dell’auto-immolazione di un terzo monaco, Gepe (18 anni), morto il 10 marzo per protestare contro la dominazione cinese del Tibet. Nel frattempo, la Corte intermedia del popolo di Barkham ha condannato a 7 anni di prigione Lobsang Tashi (26 anni), anche lui monaco di Kirti. Insieme a lui è stato mandato in galera per 7 anni e 6 mesi Bu Thubdor (25 anni) laico: le accuse sono le stesse. Al momento si trovano nella prigione di Mianyang, nella provincia cinese del Sichuan. Dal 2009 a oggi, in Tibet e nelle province cinesi a maggioranza tibetana si sono verificate 52 auto-immolazioni. I gesti estremi sono stati condannati dalla Cina, che punta il dito contro il Dalai Lama che ne sarebbe il mandante. Tutti i manifestanti sono morti chiedendo libertà religiosa per il Tibet e il ritorno del loro leader spirituale. Da parte sua, il Nobel per la pace ha chiesto a tutti i suoi fedeli di “ritenere la propria vita il più sacro dei doni”. Per cercare di fermare questa ondata, il governo tibetano in esilio con sede a Dharamsala ha convocato un grande incontro con delegazioni provenienti dalle comunità di tutto il mondo. I 420 delegati, da 26 nazioni diverse, si sono riuniti per 4 giorni di discussioni e dibattiti e hanno concluso i lavori con la pubblicazione di 31 Raccomandazioni per il popolo tibetano.
Dopo aver espresso il “massimo rispetto” per il sacrificio dei 52 auto-immolati, il Summit ha dichiarato che il governo cinese “è il solo responsabile di questa situazione” e si è detto “pronto” a portare i leader di Pechino davanti alle Corti di giustizia internazionale per i loro crimini contro la popolazione locale. Tuttavia, nel testo, i delegati invitano “tutti i tibetani” a “camminare sulla via del Dalai Lama, ovvero cercare sempre di perseguire la Via di Mezzo e non commettere atti estremi”.