Prigionieri tibetani sono fatti sfilare legati tra la folla in una città cinese.
L’auto-immolazione di due giovani, è avvenuta nella “strada dei martiri” a Ngaba, dove vi sono stati molti suicidi. I due giovani hanno frequentato la scuola di medicina del monastero di Kirti. I dimostranti tibetani picchiati dalla polizia con mazze di ferro e bastoni appuntiti.
Dharamsala (di Nirmala Carvalho AsiaNews) – La polizia cinese ha operato pestaggi indiscriminati e arresti contro alcuni dimostranti dopo che due giovani tibetani si sono dati fuoco nella via centrale di Ngaba (Sichuan).
Verso le 18.50 di ieri, il laico Tashi (circa 21 anni) e il monaco Lungtok (circa 20) del monastero di Kirti si sono auto-immolati per protesta contro l’oppressione cinese in Tibet.
Secondo testimonianza raccolte da esuli, “Lungtok e Tashi si sono dati fuoco gridando slogan e correndo verso il centro della strada” che i tibetani chiamano ormai “la strada dei martiri”, per il gran numero di autoimmolazioni avvenute.
Un gruppo di poliziotti è corso verso di loro, li ha atterrati e battuti per spegnere le fiamme. Essi sono stati portati prima all’ospedale di Ngaba e poi a Barkham (cinese: Maerkang).
Subito dopo l’immolazione, un gruppo di tibetani ha organizzato una protesta e le forze di sicurezza cinesi hanno cominciato a picchiarli con mazze di ferro e bastoni appuntiti. Molti sono rimasti feriti e un certo numero di loro sono stati arrestati. Uno dei manifestanti aveva la nuca e il volto sanguinante. Non si sa che fine abbia fatto.
Secondo diverse informazioni, il monaco Lungtok dovrebbe essere morto per le ustioni. Non si sa se il corpo verrà dato ai familiari. Le condizioni di Tashi non sono note.
Lungtok era studente di medicina e astrologia al Menpa Dratsang (Dipartimento di medicina) del monastero di Kirti. Tashi era compagno di classe di Lungtok, ma nel 2011 aveva lasciato il monastero.
Dal 2009 circa 50 tibetani hanno deciso di auto-immolarsi col fuoco per la liberazione del Tibet e per il ritorno del Dalai Lama al suo Paese. Almeno 17 di essi erano monaci o ospiti del monastero di Kirti.
Il suicidio non è contemplato nella spiritualità del buddismo del Tibet, ma i giovani di Kirti vedono questo come l’unica via per contrastare la repressione cinese e il soffocamento della loro religione e cultura.