Un monaco tibetano mostra un ritratto del Dalai Lama per ricordare i martiri autoimmolatisi per la causa tibetana.
La Disneyland di regime sull’Himalaya, di Giampaolo Visetti, La Repubblica 05 agosto 2012
PECHINO Il Tibet chiuso agli stranieri e scosso dalle auto-immolazioni anticinesi diventa un luna park politico per turisti in cerca di folclore e souvenir. Il governo di Pechino, impegnato a nascondere i quarantaquattro roghi che da due anni fanno strage tra la popolazione in lotta per l’autonomia e per il ritorno del Dalai Lama dall’esilio, ha dato il via alla costruzione di un maxi parco divertimenti alle porte di Lhasa, con shopping center e hotel a cinque stelle. Giostre, attrazioni e ricostruzioni degli antichi villaggi himalayani racconteranno la storia della principessa Wencheng, erede della dinastia Tang, andata in sposa a un re tibetano. Il matrimonio, celebrato attorno all’anno mille dopo Cristo, secondo la propaganda cinese è la prova dell’appartenenza del Tibet storico alla Cina. La nuova “Disneyland” ideologica più alta del mondo, poco sotto quota quattromila, punta a raddoppiare le presenze turistiche nella città del Potala, abbandonata dal Dalai Lama nel 1959. Peccato che da giugno per uno straniero,o per un cinese senza un visto politico speciale, raggiungere Lhasa sia impossibile.
Pechino, a pochi mesi dal decennale passaggio dei poteri, teme che i sacrifici di monaci e ribelli tibetani possano dilagare e che le immagini delle torce umane costringano l’Occidente a scuotersi dal suo torpore.
L’obiettivo del Partito comunista è però arricchire i coloni han trasferiti nel Tibet storico e accreditare l’idea secondo cui l’area è Cina. Pechino incasserebbe così il merito di aver sviluppato l’economia di una popolazione altrimenti «abbandonata a una deriva medievale».
Il parco giochi costerà oltre 3,5 miliardi di euro e sarà inaugurato entro il 2015. Accanto ai divertimenti ispirati a leggende tibetane e tradizioni buddiste, si potranno visitare padiglioni su storia, usi e costumi dei popoli dell’Himalaya, mostre, accampamenti di pastori nomadi e villaggi contadini ricostruiti. Ma Xinming, vicesindaco filocinese di Lhasa, ha assicurato che «il museo vivente del popolo tibetano» diminuirà la pressione dei turisti nei monasteri più importanti, nelle strade del Barkhor, nel Potala e nella città vecchia. Per contenere le spinte autonomiste, la Cina punta molto sul turismo. Oltre alla linea ferroviaria, in pochi anni ha aperto sei aeroporti, un’autostrada che raggiunge il confine col Nepal, hotel di lusso e centri commerciali.
Quest’anno, nonostante la chiusura estiva, le autorità contano di superare i dieci milioni di visitatori.
Una massa enorme per una piccola città di montagna come Lhasa, ridotta alla messinscena militarizzata di una civiltà distrutta. Di qui, il progetto di un “Tibet in miniatura” ideologicamente corretto e sotto il controllo dell’esercito di Pechino. Le comitive saranno allontanate dai luoghi più sensibili, escluse dalle visite ai monasteri e indottrinate da guide istruite dal partito. Allora il Tibet, formalmente aperto, sarà davvero ciò che la Cina vuole: un luna park politico dentro uno shopping center, avvolto nel mito, ma ormai irriconoscibile e svuotato della sua identità. http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/08/05/la-disneyland-di-regime-sullhimalaya.html