Ngawang Norpel, 22 anni, e Tenzin Khedup, 24 anni, immolatisi per il Tibet.
Altri due giovani tibetani si autoimmolano per protesta contro Pechino, uno muore.
Ngawang Norpel, 22 anni, e Tenzin Khedup, 24 anni, si sono dati fuoco nella contea di Trindu, provincia di Qinghai. I due hanno invocato l’indipendenza del Tibet e augurato “lunga vita” al Dalai Lama. Incerte le condizioni del giovane sopravvissuto. In un breve video le immagini del rogo.
Dharamsala (AsiaNews) – Due giovani tibetani si sono dati fuoco ieri nella contea di Trindu, Prefettura autonoma tibetana (Tap) di Jyekundo, provincia di Qinghai. La conferma arriva da gruppi attivisti e dai media ufficiali cinesi, secondo cui uno dei due uomini è morto e il secondo ha riportato ferite gravi. Prima di auto-immolarsi hanno invocato l’indipendenza del Tibet e “lunga vita” al loro leader spirituale in esilio, il Dalai Lama (clicca qui per vedere il video, diffuso da Voice of America). Nei giorni scorsi, intanto, un monaco tibetano è morto nelle carceri cinesi, in seguito alle torture subite dagli agenti di polizia; Karwang, 36 anni, era accusato di aver appeso poster inneggianti all’indipendenza del Tibet ed era in attesa di processo.
Fonti del Tibetan Youth Congress riferiscono che Ngawang Norpel, 22 anni, e Tenzin Khedup, 24 anni si sono dati fuoco attorno alle 3.30 del pomeriggio ora locale nella cittadina di Zatoe, brandendo bandiere tibetane e intonando slogan e inni. Khedup, un pastore, sarebbe morto sul colpo, mentre Norpel – un carpentiere migrante originario della provincia di Aba – ha riportato ferite gravi. Un gruppo di tibetani della zona ha portato il cadavere di Tenzin Khedup al monastero di Zilkar, per le preghiere di rito e la cerimonia funebre. Al momento non si hanno invece ulteriori informazioni sulle condizioni di Ngawang Norpel e il luogo dove è custodito.
Decine di giovani tibetani, monaci e laici, hanno scelto l’autoimmolazione come gesto estremo di protesta contro Pechino che continua ad arrestare chiunque manifesti dissenso contro la politica repressiva della cultura e religione tibetana. Nell’ultimo anno sono più di 35 i tibetani che si sono dati fuoco per criticare la dittatura di Pechino e chiedere il ritorno del Dalai Lama in Tibet. Il leader spirituale tibetano ha sempre sottolineato di “non incoraggiare” queste forme estreme di ribellione, ma ha elogiato “l’audacia” di quanti compiono l’estremo gesto, frutto del “genocidio culturale” che è in atto in Tibet. Pechino risponde attaccando il Dalai Lama, colpevole di sostenere “terroristi, criminali o malati mentali”. (NC)