Sua Santità il Dalai Lama saluta il Parlamento Europeo, gli è accanto il Presidente Hans Gert-Pöttering
Discorso di Sua Santità il Dalai Lama al Parlamento Europeo
Mentre una forte nevicata imbiancava Bruxelles, Sua Santità il Dalai Lama ha rivolto una discorso tutto di cuore ai membri del Parlamento Europeo, moti dei quali l’hanno accolto con bandiere tibetane e porgendo la kata, la sciarpa bianca tibetana di benvenuto. Il Presidente del Parlamento Europeo, Hans Gert-Pöttering, ha evidenziato quanto il Dalai Lama sia in buona salute e lo ha ringraziato per il chiaro messaggio che ha indirizzato al Parlamento, evidenziando come Sua Santità rappresenti l’emblema del dialogo.
Sua Santità il Dalai Lama indirizza il suo discorso al Parlamento Europeo il 4 dicembre 2008
Dalai Lama: “La promozione dei valori interiori rappresenta il mio impegno primario”.
È un grande onore parlare al vostro cospetto e vi ringrazio per l’invito.
Dovunque vado, il mio principale interesse o impegno consiste nella promozione dei valori umani, come il buon cuore. Questo è quello che ritengo il fattore chiave per una vita felice a livello individuale, familiare e comunitario. Nella nostra epoca, parrebbe che non venga prestata sufficiente attenzione a questi valori interiori. La loro promozione rappresenta quindi il mio impegno primario.
Il mio secondo interesse o impegno è la promozione dell’armonia interreligiosa.
Sebbene siamo disposti ad accettare la necessità d’un pluralismo in politica ed in democrazia, sembriamo tuttavia spesso più esitanti nell’accogliere la pluralità delle fedi e religioni. …Nonostante le loro diverse concezioni e filosofie, tutte le principali tradizioni religiose recano lo stesso messaggio di amore, compassione, tolleranza, appagamento e di auto-disciplina. Si accomunano anche nel manifestare la potenzialità d’aiutare gli esseri umani, facendo così loro conseguire una vita felice. Quindi, questi due ultimi punti rappresentano i miei principali interessi ed impegni.
Naturalmente, il problema del Tibet è per me anche fonte di particolare preoccupazione, e nutro una speciale responsabilità per il popolo Tibetano, che, in questo periodo tanto difficile della sua storia, continua a porre speranza e fiducia in me. Il benessere del popolo Tibetano rappresenta la mia costante motivazione e mi considero il suo libero portavoce in esilio.
L’ultima volta che ho avuto il privilegio di parlare al Parlamento Europeo, il 24 ottobre 2001, affermai: “Nonostante alcuni sviluppi ed il progresso economico, il Tibet continua ad affrontare fondamentali problemi di sopravvivenza. Gravi violazioni dei diritti umani sono diffuse in tutto il Tibet e sono spesso il risultato di politiche di discriminazione razziale e culturale. Eppure, sono solo i sintomi e le conseguenze di un problema più profondo. Le autorità cinesi vedono la cultura e la religione del Tibet come una fonte di minaccia di separazione. Di conseguenza, come risultato d’una politica deliberata, un intero popolo con la sua impareggiabile cultura ed identità è sottoposto alla minaccia d’estinzione”.
Dal marzo di quest’anno, i Tibetani da tutte le età ed in tutto l’altopiano hanno manifestato contro le politiche oppressive e discriminatorie delle autorità cinesi in Tibet. Con piena consapevolezza del pericolo imminente per la loro vita, tutti i Tibetani in Tibet, conosciuto come Cholka-Sum (U-Tsang, Kham e Amdo), giovani e vecchi, uomini e donne, monaci e laici, credenti e non credenti, compresi gli studenti, si sono riuniti per esprimere spontaneamente e coraggiosamente la loro angoscia, insoddisfazione con reali rimostranze per la politiche del governo cinese.
Sono rimasto profondamente addolorato per la perdita di vite umane, sia Tibetane che Cinesi, e subito mi sono appellato alle autorità cinesi perché prevalga la moderazione. Dal momento che le autorità cinesi mi hanno accusato d’aver orchestrato i recenti eventi in Tibet, ho fatto ripetuti appelli perché un autorevole organismo internazionale indipendente conduca un’approfondita indagine sulla questione, comprendendo una visita di Dharamsala, in India. Se il governo cinese ha alcuna prova a sostegno di tali gravi accuse, lo deve rivelare al mondo.
Nonostante gli appelli di molti leader mondiali, di ONG e di personalità a livello internazionale che invitavano ad evitare la violenza e a dar prova di moderazione, purtroppo, le autorità cinesi hanno fatto ricorso a metodi brutali per far fronte alla situazione in Tibet.
In questa situazione, un gran numero di Tibetani sono stati uccisi, migliaia sono i feriti e gli arrestati. Ci sono molti casi il cui destino resta completamente sconosciuto. Perfino ora, in questo stesso momento che vi parlo, in molte parti del Tibet si nota una gran presenza di forze armate e di polizia militare. In molte aree i Tibetani continuano a soffrire oppressi da una situazione che è di fatto quella della legge marziale. È stato colà instaurato un clima di intimidazione e d’angherie.
I Tibetani in Tibet vivono nella costante paura di essere arrestati da un momento all’altro. Senza osservatori internazionali, giornalisti o anche turisti, ammessi in Tibet, sono profondamente preoccupato per la sorte dei Tibetani. Attualmente, le autorità cinesi hanno completamente mano libera in Tibet.
E’ come se all’intero popolo Tibetano fosse inflitta una condanna a morte, una sentenza volta a cancellare lo spirito del popolo tibetano stesso.
Molti onorevoli membri del Parlamento Europeo sono ben consapevoli dei miei ripetuti sforzi volti a trovare una soluzione reciprocamente accettabile al problema del Tibet attraverso il dialogo ed i negoziati. In questo spirito, nel 1988 presso il Parlamento europeo a Strasburgo ho presentato una proposta formale per dei negoziati che non reclamavano la separazione e l’indipendenza del Tibet. Da allora, le nostre relazioni con il governo cinese hanno preso molte svolte e direzioni. Dopo una interruzione di quasi 10 anni, nel 2002 abbiamo ristabilito il diretto contatto con la leadership cinese. Ampie discussioni si sono svolte tra i miei inviati e rappresentanti della leadership cinese. In queste discussioni abbiamo messo chiaramente in evidenza le aspirazioni del popolo Tibetano.
L’essenza del mio approccio della “Via di Mezzo è quello di garantire la vera autonomia per il popolo Tibetano nell’ambito della Costituzione della Repubblica Popolare Cinese.
Nel corso della settima tornata di colloqui a Pechino il 1 ° e 2 ° luglio di quest’anno, la parte cinese ci ha invitato a presentare il nostro punto di vista sulle modalità di una vera autonomia.
Di conseguenza, il 31 ottobre 2008 abbiamo presentato alla leadership cinese il Memorandum sull’Autentica Autonomia per il Popolo Tibetano. La nostra proposta evidenzia la nostra posizione sulla vera e propria autonomia del Popolo Tibetano e le modalità per realizzare le esigenze di base d’autonomia e di auto-governo della nazionalità Tibetana. Abbiamo presentato queste proposte con l’unico scopo di dar vita ad un sincero sforzo che affronti i problemi reali del Tibet. Eravamo fiduciosi che, data la buona volontà, le questioni sollevate nella nostra relazione potessero trovare soluzione.
Purtroppo, la parte cinese ha respinto il nostro memorandum nella sua totalità, bollando i nostri suggerimenti come un tentativo di “semi-indipendenza” e di “indipendenza mascherata”, e, per tale ragione, inaccettabile. Inoltre, la parte cinese accusa proprio noi di “pulizia etnica”, perché la nostra relazione chiede il riconoscimento del diritto ad aree autonome “per disciplinare la residenza, l’insediamento e le attività di lavoro o economiche delle persone provenienti da altre parti della Repubblica Popolare Cinese che desiderano spostarsi in territori Tibetani”.
Abbiamo messo in chiaro nella nostra nota che la nostra intenzione non è quella di espellere i non-Tibetani. La nostra preoccupazione riguarda il movimento di massa principalmente di Han, ma anche d’altre nazionalità, verso molte zone tibetane, che, a sua volta, emargina i nativi Tibetani e minaccia il fragile ambiente naturale dell’altipiano. Grandi cambiamenti demografici risultanti dalla massiccia migrazione comporterà l’assimilazione, piuttosto che l’integrazione dei Tibetani nella Repubblica popolare cinese, portando a poco a poco all’estinzione della cultura e dell’identità del popolo Tibetano.
I casi dei popoli della Manciuria, della Mongolia Interna e del Turkestan Orientale nella Repubblica Popolare Cinese sono chiari esempi delle devastanti conseguenze del massiccio trasferimento della popolazione dominante di nazionalità Han nelle zone abitate dalle minoranza etniche. Oggi, la lingua, la scrittura e la cultura del popolo Manchu sono scomparse: è il risultato d’un sterminio culturale. In Mongolia Interna oggi, su una popolazione complessiva di 24 milioni di abitanti, solo il 20% sono mongoli nativi.
Nonostante quanto affermano alcuni funzionari cinesi dalla linea dura, dalle copie del nostro memorandum messe a vostra disposizione, emerge che abbiamo sinceramente affrontato le preoccupazioni del governo cinese circa la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica Popolare Cinese. Il memorandum si spiega da sé. I vostri commenti e suggerimenti sono i benvenuti.
Colgo l’occasione per indirizzare un appello all’Unione Europea ed al Parlamento d’interporre i vostri buoni uffici, senza lesinare sforzi, per convincere la dirigenza cinese, per il bene comune dei popoli tibetano e cinese, a risolvere il problema del Tibet attraverso seri negoziati.
Mentre respingo fermamente l’uso della violenza come un mezzo della nostra lotta, abbiamo certamente il diritto di esplorare tutte le altre opzioni politiche a nostra disposizione.
Nello spirito della democrazia, ho richiesto una Riunione Speciale dei Tibetani in esilio per discutere la situazione del popolo Tibetano e della questione del Tibet ed il corso futuro del nostro movimento. La riunione si è svolta dal 17 al 22 novembre 2008 a Dharamsala, in India. Il fallimento della leadership cinese a rispondere positivamente alle nostre iniziative ha ribadito il sospetto, nutrito da molti Tibetani, che il governo cinese non ha alcun interesse di qualsiasi tipo per una soluzione reciprocamente accettabile del problema. Molti Tibetani continuano a credere che la leadership cinese è determinata alla completa e forzata assimilazione ed assorbimento del Tibet nella Cina.
Essi pertanto reclamano la completa indipendenza del Tibet. Altri sono sostenitori del diritto di autodeterminazione e d’un referendum in Tibet.
Nonostante questi diversi punti di vista, i delegati della Riunione Speciale hanno deliberato all’unanimità di autorizzarmi a decidere l’approccio migliore, in conformità con la situazione ed i cambiamenti in atto nel Tibet, in Cina e nel resto del mondo. Studierò le proposte formulate da circa 600 leader e delegati provenienti dalle comunità Tibetane di tutto il mondo, compresi i punti di vista raccolti da una sezione trasversale dei Tibetani in Tibet.
Sono un convinto assertore della democrazia. Di conseguenza, ho costantemente incoraggiato i Tibetani in esilio a seguire il processo democratico. Oggi, la comunità di rifugiati Tibetani può essere considerata tra le poche comunità di rifugiati al mondo che ha realizzato tutti e tre i pilastri della democrazia: legislativo, esecutivo e giudiziario.
Nel 2001, abbiamo intrapreso un altro grande passo nel processo di democratizzazione nominando il presidente del Kashag (il Capo di Gabinetto dell’Amministrazione Tibetana in esilio ) con elezioni dirette popolari.
Ho sempre sostenuto che in ultima analisi, il popolo Tibetano deve essere in grado di decidere il futuro del Tibet. Come dichiarò al Parlamento indiano il 7 dicembre 1950 il Pandit Nehru, il primo Primo Ministro dell’India: “L’ultima voce per quanto riguarda il Tibet dovrebbe essere la voce del popolo del Tibet e nessun altro”.
La questione del Tibet ha dimensioni ed implicazioni che vanno ben oltre il destino di sei milioni di tibetani. Il Tibet è situato tra l’India e la Cina. Per secoli il Tibet ha funzionato come una tranquilla zona cuscinetto che separa i due paesi più popolati della terra. Tuttavia, nel 1962, solo pochi anni dopo la cosiddetta “liberazione pacifica del Tibet” il mondo fu testimone della prima guerra tra i due giganti asiatici.
Ciò dimostra chiaramente l’importanza di una giusta e pacifica risoluzione della questione del Tibet in modo di garantire un vero e duraturo clima di fiducia ed amicizia tra le due più potenti nazioni dell’Asia.
La questione tibetana è anche collegato al fragile ambiente del Tibet, il quale, come è stato rilevato da ricerche scientifiche, ha un impatto su gran parte dell’Asia, coinvolgendo miliardi di persone. L’altopiano tibetano è la fonte di molti dei più grandi fiumi dell’Asia. I ghiacciai del Tibet costituiscono, al di fuori dei poli, la più grande massa di ghiaccio sulla Terra. Alcuni ambientalisti si riferiscono oggi al Tibet come il terzo polo. E, se l’attuale tendenza al riscaldamento dovesse continuare, il fiume Indo, entro i prossimi 15-20, anni potrebbe prosciugarsi.
Inoltre, il patrimonio culturale del Tibet si basa sui principi Buddisti di compassione e di non-violenza. Pertanto, riguarda non solo i sei milioni di tibetani, ma anche gli oltre 13 milioni di persone in tutta l’Himalaya, della Mongolia e delle Repubbliche di Calmucchia e Buriazia in Russia, tra cui un numero crescente di fratelli e sorelle cinesi che condividono questa cultura, che detiene il potenziale per contribuire alla realizzazione d’un mondo pacifico ed armonioso.
La mia massima è stata sempre quella di sperare per il meglio e di prepararsi al peggio.
Con questo pensiero in mente, ho consigliato ai tibetani in esilio d’intraprendere degli sforzi più rigorosi per educare le giovani generazioni di tibetani, per rafforzare il nostro patrimonio culturale e le istituzioni religiose in esilio, con l’obiettivo di preservare il nostro ricco patrimonio culturale, e d’espandere e consolidare le istituzioni democratiche e della società civile tra le comunità di rifugiati tibetani. Uno dei principali obiettivi della nostra comunità in esilio è quello di preservare il nostro patrimonio culturale laddove esiste la libertà di farlo e di essere la voce libera del nostro popolo in cattività all’interno del Tibet.
I compiti e le sfide che abbiamo di fronte sono agghiaccianti. Come comunità di rifugiati, le nostre risorse sono limitate. Noi Tibetani dobbiamo anche affrontare la realtà che il nostro esilio potrà durare per un tempo più lungo. Sarei quindi grato all’Unione Europea per l’assistenza ai nostri sforzi educativi e culturali.
Non ho alcun dubbio che il coerente impegno del Parlamento Europeo verso la Cina avrà un impatto sul processo di cambiamento che è già là in atto.
La tendenza globale è verso una maggiore apertura, libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani. Prima o poi, la Cina dovrà seguire la tendenza mondiale. In questo contesto, vorrei elogiare il Parlamento Europeo per l’assegnazione del prestigioso Premio Sacharov al difensore dei diritti umani il cinese Hu Jia. Si tratta di un importante segnale, dal momento che osserviamo come la Cina si stia spostando rapidamente in avanti. Con il suo nuovo status, la Cina è pronta a svolgere un importante ruolo di primo piano sulla scena mondiale. Al fine di adempiere questo ruolo, credo che sia di vitale importanza per la Cina mostrare apertura, trasparenza, stato di diritto e libertà di informazione e di pensiero.
Non vi è dubbio che gli atteggiamenti e le politiche dei membri della comunità internazionale nei confronti della Cina avranno un impatto sul corso del cambiamento in atto in quel Paese, come pure lo avranno gli eventi e gli sviluppi interni.
In contrasto con l’atteggiamento verso il Tibet costantemente molto rigido del governo cinese, per fortuna, tra il popolo cinese – soprattutto tra i circoli più informati ed istruiti – esiste una crescente simpatia e comprensione per la difficile situazione del popolo Tibetano. Anche se la mia fede nella leadership cinese per quanto riguarda il Tibet sta diventando sempre più tenue, la mia fede nel popolo cinese, resta immutabile. Ho pertanto consigliato il popolo Tibetano di fare sforzi concertati per entrare in contatto con il popolo cinese. Gli intellettuali cinesi hanno criticato apertamente la dura repressione delle manifestazioni Tibetane da parte del governo cinese nel marzo di quest’anno e hanno invitato alla moderazione ed al dialogo per affrontare i problemi in Tibet. Avvocati cinesi si sono pubblicamente offerti di difendere in processo i Tibetani arrestati.
Oggi v’è una crescente comprensione, simpatia, sostegno e solidarietà tra i nostri fratelli e sorelle cinesi per la difficile situazione dei tibetani e le loro legittime aspirazioni. Il che è decisamente incoraggiante. Colgo l’occasione per ringraziare i coraggiosi fratelli e sorelle cinesi per la loro solidarietà.
Ringrazio anche il Parlamento europeo per la coerente espressione di preoccupazione e di sostegno per la giusta e non-violenta lotta tibetana. La vostra simpatia, sostegno e solidarietà sono sempre stati una grande fonte d’ispirazione ed incoraggiamento per il popolo tibetano, sia all’interno e all’esterno del Tibet. Vorrei esprimere un ringraziamento speciale ai membri dell’Inter-Gruppo per il Tibet del Parlamento Europeo, che hanno fatto della tragedia del popolo tibetano non solo un punto cruciale della loro attività politica, ma anche una causa dei loro cuori. Le numerose risoluzioni del Parlamento Europeo sulla questione del Tibet hanno contribuito notevolmente ad evidenziare la difficile situazione del popolo tibetano, aumentando la consapevolezza al problema del Tibet tra le genti, nei governi qui in Europa e in tutto il mondo.
La coerenza del sostegno del Parlamento europeo per il Tibet non è andata inosservata in Cina. Mi dispiace se questo ha causato alcune tensioni nelle relazioni UE-Cina. Tuttavia, desidero condividere con voi la mia sincera speranza e convinzione che il futuro dei rapporti tra il Tibet e la Cina migrino dall’attuale clima di sfiducia, ad un rapporto basato sul rispetto reciproco, sulla fiducia e il riconoscimento d’un interesse comune, a prescindere dall’attuale situazione molto preoccupante all’interno del Tibet e lo di stallo del processo di dialogo tra i miei inviati e la leadership cinese.
Non ho alcun dubbio che la continua manifestazione di preoccupazione e di sostegno per il Tibet, nel lungo periodo, avrà un impatto positivo e contribuirà a creare il necessario ambiente politico per una soluzione pacifica della questione del Tibet. Il vostro continuo sostegno è, pertanto, fondamentale.
Vi ringrazio per l’onore di poter condividere i miei pensieri con voi. Il Dalai Lama
Bruxelles, Belgio
4 Dicembre 2008
http://www.dalailama.com/news.315.htm
Dalai Lama addresses European Parliament
The full text of His Holiness the Dalai Lama’s Address to the plenary session of the European Parliament in Brussels, Belgium, on Thursday, December 4, 2008.
Your Excellency, Mr. President, Honorable Members of the Parliament, ladies and gentlemen,
It is a great honour to speak before you today and I thank you for your invitation. Wherever I go, my main interest or commitment is in the promotion of human values such as warm heartedness – this is what I consider the key factor for a happy life at the individual level, family level and community level. In our modern times, it seems that insufficient attention is paid to these inner values. Promoting them is therefore my number one commitment.
My second interest or commitment is the promotion of inter-religious harmony. We accept the need for pluralism in politics and democracy, yet we often seem more hesitant about the plurality of faiths and religions. Despite their different concepts and philosophies, all major religious traditions bear the same messages of love, compassion, tolerance, contentment and self-discipline. They are also similar in having the potential to help human beings lead happier lives. So these two are my main interests and commitments.
Of course the issue of Tibet is also of particular concern to me and I have a special responsibility to the people of Tibet, who continue to place their hope and trust in me during this most difficult period in the history of Tibet. The welfare of the Tibetan people is my constant motivation and I consider myself to be their free spokesperson in exile.
The last time I had the privilege to address the European Parliament (EP), on October 24, 2001, I stated, “despite some development and economic progress, Tibet continues to face fundamental problems of survival. Serious violations of human rights are widespread throughout Tibet and are often the result of policies of racial and cultural discrimination. Yet, they are only the symptoms and consequences of a deeper problem. The Chinese authorities view Tibet’s distinct culture and religion as the source of threat of separation. Hence as a result of deliberate policies an entire people with its unique culture and identity are facing the threat of extinction”.
Since March this year, Tibetans from all walks of life and across the entire Tibetan plateau demonstrated against the oppressive and discriminatory policies of the Chinese authorities in Tibet. With full awareness of the imminent danger to their lives, Tibetans from all across Tibet known as Cholka-Sum (U-Tsang, Kham and Amdo), young and old, men and women, monastic and lay people, believer and non-believers, including students, came together to spontaneously and courageously express their anguish, dissatisfaction and genuine grievances at the policies of the Chinese government. I have been deeply saddened by the loss of life, both Tibetan and Chinese, and immediately appealed to the Chinese authorities for restraint. Since the Chinese authorities have blamed me for orchestrating the recent events in Tibet, I have made repeated appeals for an independent and respected international body to conduct a thorough investigation into the matter, including inviting them to Dharamsala, India. If the Chinese government has any evidence to support such serious allegations, they must disclose it to the world.
Sadly, the Chinese authorities have resorted to brutal methods to deal with the situation in Tibet, despite appeals by many world leaders, NGOs and personalities of international standing to avoid violence and show restraint. In the process, a large number of Tibetans have been killed, thousands injured and detained. There are many whose fate remains completely unknown. Even as I stand here before you, in many parts of Tibet there is a huge presence of armed police and military. In many areas Tibetans continue to suffer under a state of de-facto martial law. There is an atmosphere of angst and intimidation. Tibetans in Tibet live in a constant state of fear of being the next to be arrested. With no international observers, journalists or even tourists allowed into many parts of Tibet, I am deeply worried about the fate of the Tibetans. Presently, the Chinese authorities have a completely free hand in Tibet. It is as though Tibetans face a death sentence, a sentence aimed at wiping out the spirit of the Tibetan people.
Many honorable members of the EP are well aware of my consistent efforts to find a mutually acceptable solution to the Tibet problem through dialogue and negotiations. In this spirit, in 1988 at the European Parliament in Strasbourg I presented a formal proposal for negotiations that does not call for separation and independence of Tibet. Since then, our relations with the Chinese government have taken many twists and turns. After an interruption of nearly 10 years, in 2002 we re-established direct contact with the Chinese leadership. Extensive discussions have been held between my envoys and representatives of the Chinese leadership. In these discussions we have put forth clearly the aspirations of the Tibetan people. The essence of my Middle Way Approach is to secure genuine autonomy for the Tibetan people within the scope of the Constitution of the PRC.
During the seventh round of talks in Beijing on 1st and 2nd July this year, the Chinese side invited us to present our views on the form of genuine autonomy. Accordingly, on 31st October 2008 we presented to the Chinese leadership the Memorandum on Genuine Autonomy for the Tibetan People. Our memorandum puts forth our position on genuine autonomy and how the basic needs of the Tibetan nationality for autonomy and self-government can be met. We have presented these suggestions with the sole purpose of making a sincere effort to address the real problems in Tibet. We were confident that given goodwill, the issues raised in our memorandum could be implemented.
Unfortunately, the Chinese side has rejected our memorandum in its totality, branding our suggestions as an attempt at “semi-independence” and “independence in disguise” and, for that reason, unacceptable. Moreover, the Chinese side is accusing us of “ethnic cleansing” because our memorandum calls for the recognition of the right of autonomous areas “to regulate the residence, settlement and employment or economic activities of persons who wish to move to Tibetan areas from other parts of the PRC.”
We have made it clear in our memorandum that our intention is not to expel non-Tibetans. Our concern is the induced mass movement of primarily Han, but also some other nationalities, into many Tibetan areas, which in turn marginalizes the native Tibetan population and threatens Tibet’s fragile natural environment. Major demographic changes that result from massive migration will lead to the assimilation rather than integration of the Tibetan nationality into the PRC and gradually lead to the extinction of the distinct culture and identity of the Tibetan people.
The cases of the peoples of Manchuria, Inner Mongolia and East Turkestan in the PRC are clear examples of the devastating consequences of a massive population transfer of the dominant Han nationality upon the minority nationalities. Today, the language, script and culture of the Manchu people have become extinct. In Inner Mongolia today, only 20% are native Mongolians out of a total population of 24 millions.
Despite the assertions by some hard-line Chinese officials to the contrary, from the copies of our memorandum made available to you it is clear that we have sincerely addressed the concerns of the Chinese government about the sovereignty and territorial integrity of the PRC. The memorandum is self-explanatory. I would welcome your comments and suggestions.
I take this opportunity to appeal to the European Union and the Parliament to use your good offices, sparing no efforts, to persuade the Chinese leadership to resolve the issue of Tibet through earnest negotiations for the common good of the Tibetan and Chinese peoples.The Dalai Lama
Brussels, 4 December 2008
While I firmly reject the use of violence as a means in our struggle, we certainly have the right to explore all other political options available to us. In the spirit of democracy, I called for a Special Meeting of Tibetans in exile to discuss the state of Tibetan people and the state of the issue of Tibet and the future course of our movement. The meeting took place from November 17-22, 2008 in Dharamsala, India. The failure of the Chinese leadership to respond positively to our initiatives has reaffirmed the suspicion held by many Tibetans that the Chinese government has no interest whatsoever in any kind of mutually acceptable solution. Many Tibetans continue to believe that the Chinese leadership is bent on the forceful and complete assimilation and absorption of Tibet into China. They therefore call for the complete independence of Tibet. Others advocate the right to self-determination and a referendum in Tibet. Despite these different views, the delegates to the Special Meeting unanimously resolved to empower me to decide the best approach, in accordance with the prevailing situation and the changes taking place in Tibet, China and the wider world. I will study the suggestions made by about 600 leaders and delegates from Tibetan communities around the world, including views we are able to gather from a cross section of Tibetans in Tibet.
I am a staunch believer in democracy. Consequently, I have consistently encouraged Tibetans in exile to follow the democratic process. Today, the Tibetan refugee community may be among the few refugee communities that have established all three pillars of democracy: legislature, judiciary and executive. In 2001, we took another great stride in the process of democratization by having the chairman of the Kashag (cabinet) of the Tibetan Administration in exile elected by popular vote.
I have always maintained that ultimately the Tibetan people must be able to decide the future of Tibet. As Pundit Nehru, the first Prime Minister of India, stated in the Indian Parliament on December 7, 1950: “The last voice in regard to Tibet should be the voice of the people of Tibet and nobody else.”
The issue of Tibet has dimensions and implications that go well beyond the fate of six million Tibetans. Tibet is situated between India and China. For centuries Tibet acted as a peaceful buffer zone separating the two most populated countries on earth. However, in 1962, only a few years after the so-called “peaceful liberation of Tibet” the world witnessed the first ever war between the two Asian giants. This clearly shows the importance of a just and peaceful resolution of the Tibet question in ensuring lasting and genuine trust and friendship between the two most powerful nations of Asia. The Tibetan issue is also related to Tibet’s fragile environment, which scientists have concluded, has an impact on much of Asia involving billions of people. The Tibetan plateau is the source of many of Asia’s greatest rivers. Tibet’s glaciers are the earth’s largest ice mass outside the Poles. Some environmentalists today refer to Tibet as the Third Pole. And, if the present warming trend continues the Indus River might dry up within the next 15-20 years. Furthermore, Tibet’s cultural heritage is based on Buddhism’s principle of compassion and non-violence. Thus, it concerns not just the six million Tibetans, but also the over 13 million people across the Himalayas, Mongolia and in the Republics of Kalmykia and Buryat in Russia, including a growing number of Chinese brothers and sisters who share this culture, which has the potential to contribute to a peaceful and harmonious world.
My maxim has always been to hope for the best and to prepare for the worst. With this in mind, I have counseled the Tibetans in exile to make more rigorous efforts in educating the younger generation of Tibetans, in strengthening our cultural and religious institutions in exile with the aim of preserving our rich cultural heritage, and in expanding and strengthening the democratic institutions and civil society among the Tibetan refugee community. One of the main objectives of our exile community is to preserve our cultural heritage where there is the freedom to do so and to be the free voice of our captive people inside Tibet. The tasks and challenges we face are daunting. As a refugee community, our resources are naturally limited. We Tibetans also need to face the reality that our exile may last for a longer time. I would therefore be grateful to the European Union for assistance in our educational and cultural endeavors.
I have no doubt that the principled and consistent engagement of the EP with China will impact the process of change that is already taking place in China. The global trend is towards more openness, freedom, democracy and respect for human rights. Sooner or later, China will have to follow the world trend. In this context, I wish to commend the EP for awarding the prestigious Sakharov Prize to the Chinese human rights defender Hu Jia. It is an important signal as we watch China rapidly moving forward. With its newfound status, China is poised to play an important leading role on the world stage. In order to fulfill this role, I believe it is vital for China to have openness, transparency, rule of law and freedom of information and thought. There is no doubt that the attitudes and policies of members of the international community towards China will impact the course of the change taking place in China as much as domestic events and developments.
In contrast to the continued extremely rigid attitude of the Chinese government towards Tibet, fortunately among the Chinese people – especially among the informed and educated Chinese circles – there is a growing understanding and sympathy for the plight of the Tibetan people. Although my faith in the Chinese leadership with regard to Tibet is becoming thinner and thinner, my faith in the Chinese people remains unshaken. I have therefore been advising the Tibetan people to make concerted efforts to reach out to the Chinese people. Chinese intellectuals openly criticized the harsh crackdown of Tibetan demonstrations by the Chinese government in March this year and called for restraint and dialogue in addressing the problems in Tibet. Chinese lawyers offered publicly to represent arrested Tibetan demonstrators at trials. Today, there is growing understanding, sympathy, support and solidarity among our Chinese brothers and sisters for the difficult situation of the Tibetans and their legitimate aspirations. This is most encouraging. I take this opportunity to thank the brave Chinese brothers and sisters for their solidarity.
I also thank the European Parliament for the consistent display of concern and support for the just and non-violent Tibetan struggle. Your sympathy, support and solidarity have always been a great source of inspiration and encouragement to the Tibetan people, both in and outside of Tibet. I would like to express special thanks to the members of the Tibet Inter-Group of the EP, who have made the tragedy of the Tibetan people not only a focus of their political work but also a cause of their hearts. The many resolutions of the EP on the issue of Tibet have helped greatly to highlight the plight of the Tibetan people and to raise the awareness of the issue of Tibet amongst the public and in governments here in Europe, and all around the world
The consistency of the European Parliament’s support for Tibet has not gone unnoticed in China. I regret where this has caused some tensions in EU-China relations. However, I wish to share with you my sincere hope and belief that the future of Tibet and China will move beyond mistrust to a relationship based on mutual respect, trust and recognition of common interest – irrespective of the current very grim situation inside Tibet and the deadlock in the dialogue process between my envoys and the Chinese leadership. I have no doubt that your continued expressions of concern and support for Tibet will, in the long run, have a positive impact and help create the necessary political environment for a peaceful resolution of the issue of Tibet. Your continued support is, therefore, critical.
I thank you for the honor to share my thoughts with you.