Pechino blocca gli ingressi in Tibet, centinaia di pellegrini fermi alla frontiera con il Nepal.
Oltre 700 pellegrini indiani diretti al monte Kailash bloccati al confine fra Nepal e Tibet. Per i funzionari di Pechino i loro veicoli non sono in regola con le leggi cinesi. Arrestati e torturati nove tibetani provenienti dall’India perché sospettati di attività sovversive.
Kathmandu (AsiaNews/ Agenzie) – Per controllare la crisi tibetana, dove da mesi vi sono continue manifestazioni e auto-immolazioni di monaci buddisti, le autorità cinesi chiudono la frontiera con il Nepal.
Da ieri sera circa 700 pellegrini di nazionalità indiana, diretti al lago Mansarovar, sito sacro per buddisti e indù, sono fermi a Tatopani a circa 125 km da Kathmandu. Sudhir Sham, responsabile del dipartimento nepalese per l’ immigrazione, afferma che tutti i pellegrini erano in regola con i visti, ma le autorità cinesi le hanno bloccate dicendo che i loro pullman non erano in regola con le leggi cinesi. La maggior parte delle agenzie di viaggio indiane non sa dell’esistenza di questo permesso di viaggio richiesto da Pechino per limitare l’entrata in Tibet ed evitare l’ingresso di attivisti pro-Dalai Lama, in esilio in India dal 1959. Ogni anno migliaia di pellegrini si recano in Tibet per visitare il Monte Kailash. Essa è considerata la montagna più sacra di tutta l’Asia, venerata da buddisti, indù e jainisti di India, Tibet, Nepal e Bhutan.
Per oltre 40 anni il Nepal ha accolto migliaia di profughi tibetani favorendo il loro trasferimento a Dharamsala (India), sede del governo tibetano in esilio e dove a tutt’oggi risiede il Dalai Lama. Dopo l’abolizione della monarchia nel 2006 e la salita al potere di formazioni maoiste e comuniste, il Nepal ha cambiato rotta, abbandonando lo storico alleato indiano e allacciando stretti rapporti con la Cina. In cambio di aiuti economici Pechino ha chiesto la chiusura delle frontiere con il Tibet e la repressione di qualsiasi manifestazione anticinese.
Le restrizioni riguardano soprattutto i tibetani che si recano in India per ragioni religiose. Sospettati di avere contatti con la dissidenza al momento di ritornare in Tibet essi vengono bloccati dalle autorità cinesi che sequestrano documenti impendendo il loro ritorno a casa. Di recente le autorità di frontiera cinesi in combutta con quelle nepalesi hanno trattenuto in carcere e picchiato per quasi una settimana nove tibetani originari della prefettura Nagchu. Essi si erano recati in India a dicembre per sfuggire alle purghe del governo cinese, ma i i tibetani in esilio li avevano convinti a rientrare. Rilasciati lo scorso 4 giugno essi sono ora nella mani della polizia nepalese. I funzionari chiedono da mille a 5mila dollari per la loro liberazione. Se non verrà pagata la cauzione i nove saranno condannati per vagabondaggio e ingresso illegale nel Paese, perché privi dei documenti e visti sequestrati dalle autorità cinesi.