- Gengis Khan
Tra la fine del decimo e l’inizio dell’undicesimo secolo un Tibet ormai dimentico dei suoi trascorsi imperiali fu però attraversato da un rinnovato interesse per il Buddhismo. I canali spirituali tra il Tetto del Mondo e l’India tornarono ad aprirsi e un notevole flusso di contatti riprese a scorrere in entrambe i sensi. Maestri indiani vennero a insegnare in Tibet e studiosi tibetani si recarono ad approfondire le loro conoscenze nelle principali università buddhiste dell’India. Nei decenni a cavallo dell’anno Mille si verificò una vera e propria Seconda diffusione della dottrina grazie alla quale il Buddhismo si affermò definitivamente come religione principale e si articolò in numerose scuole (1). Tra il primo e il secondo secolo del nuovo millennio vengono costruiti in Tibet alcuni tra i suoi più importanti monasteri (gompa, in tibetano). Tshurpu, Sakya, Drigung, Talung, Reting e molti altri che in breve acquistano una rilevanza tale da travalicare la sfera esclusivamente religiosa per entrare in quella sociale.
La massiccia diffusione del Buddhismo aveva creato in Tibet una nuova koiné intorno alla quale si ritrovava la grande maggioranza della popolazione. Ma dal punto di vista politico il Paese rimaneva diviso e frammentato. Comunque tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo i diversi re, principi e signori feudali che governavano il Tetto del Mondo riuscivano a convivere senza eccessive tensioni e quel periodo viene ricordato come piuttosto pacifico e tranquillo. E’ l’inizio del tredicesimo secolo a segnare la fine di questo intermezzo sereno della storia tibetana. A nord, in un’immensa area che abbraccia in pratica quasi l’intera Asia centrale, le tribù mongole sono in movimento. Sotto la guida di capi intelligenti e decisi queste popolazioni fiere, bellicose e aggressive stanno assoggettando nazioni e popoli. Perfino la Cina, l’orgoglioso Impero di Mezzo, cade sotto i loro assalti.
Nel 1207 Gengis Khan, il capo supremo dei mongoli, manda i suoi emissari a intimare la sottomissione dei tibetani che non hanno altra scelta che quella di arrendersi, ben consapevoli che nulla avrebbero potuto contro la micidiale forza d’urto delle armate mongole. Nel 1239 le avanguardie della cavalleria di Godan, nipote di Gengis Khan, penetrano in profondità sul Tetto del Mondo raggiungendo le province centrali di U e Tsang. Il destino del Tibet sembra dunque segnato quando accade un fatto imprevisto e forse imprevedibile. Affascinato dai rapporti dei suoi uomini che raccontavano della grande influenza esercitata in Tibet da yogin e lama, Godan si incuriosì a tal punto che ne volle conoscere di persona qualcuno e invitò alla sua corte il più rinomato maestro spirituale dell’epoca, Sakya Pandita, capo della scuola Sakya-pa.
Il rapporto che si stabilì tra il lama ed il khan mongolo fu intenso e complesso; il primo, grazie ad un eccezionale carisma, riuscì a convertire al Buddhismo il secondo che, come segno di devozione, non solo proibì ogni ulteriore incursione dei suoi eserciti sul Paese delle Nevi ma assegnò anche agli abati della scuola Sakya-pa il governo dell’intero Tibet. Questa relazione, che gli storici anglosassoni sono soliti definire lama-patron, aveva dunque partorito un Tibet governato da tibetani (gli abati Sakya-pa) e posto sotto la diretta protezione del Khan mongolo che con il suo appoggio intendeva rendere evidente, concreto e manifesto il legame spirituale che lo univa al Tibet e alla sua religione. Il rapporto lama-patron iniziato da Godan khan e Sakya Pandita continuò con i loro rispettivi successori. Kublai khan, figlio di Godan, fu così affascinato dalla personalità e dalle realizzazioni spirituali di Phagpa, nipote di Sakya Pandita, da conferirgli il prezioso titolo di Precettore Imperiale che equivaleva a quello di sovrano del Paese delle Nevi.
La gerarchia Sakya governò il Tibet per circa un secolo ma quando in Cina l’influenza della dinastia Yuan (mongola) cominciò a indebolirsi sul Tetto del Mondo il potere dei Sakya-pa prese a vacillare. Nella valle di Yarlung la potente famiglia dei Pamotrupa si mise a capo di un movimento dai forti accenti nazionalisti che apertamente contestava l’autorità degli abati di Sakya il cui potere terminò del tutto nel 1354. Jangchub Gyaltsen, l’uomo forte del clan Pamotrupa, formò un nuovo governo che venne riconosciuto dagli stessi khan mongoli ormai alla vigilia della fine del loro ruolo dirigente in Cina. Quando i Ming sostituirono gli Yuan alla guida dell’Impero di Mezzo, Jangchub Gyaltsen considerò esaurito e non più riproponibile il rapporto lama-patron e venne così a cadere quel particolare legame che univa il Tibet a una nazione straniera e il Paese delle Nevi poteva nuovamente considerarsi indipendente a tutti gli effetti.
Il periodo della dinastia Pamotrupa coincise con la nascita di un diffuso senso di identità nazionale che trovò la sua espressione più visibile in una decisa rivalutazione del ruolo degli antichi monarchi di Yarlung. In modo particolare Songtsen Gampo e Trisong Deutsen vennero fatti oggetto di una venerazione quasi religiosa. Anche se alcuni governanti Pamotrupa erano monaci o lama, la dinastia si caratterizzò come fortemente laica e sotto di essa tutte le differenti scuole buddhiste e il rinato Bon potettero svilupparsi liberamente e in reciproca armonia. In Tibet i massimi esponenti delle principali tradizioni religiose continuavano a godere di una altissima considerazione ma erano venerati come maestri spirituali e non come esponenti politici. Ovviamente, soprattutto a livello locale, gli abati dei principali monasteri continuavano a esercitare una notevole influenza sociale che facevano valere stipulando alleanze con questo o quel governatore ma le redini complessive della nazione in questo periodo erano in mani laiche.
La caduta, nel 1435, della dinastia Pamotrupa chiude un periodo tutto sommato positivo della storia tibetana che però si avvia verso due secoli convulsi durante i quali una drammatica lotta tra fazioni rivali dilaniò un Paese delle Nevi lacerato e diviso. Altrettanto laico di quello dei Pamotrupa fu il governo dei principi di Rinpung che, per circa 130 anni, governarono il Tibet fino a quando nel 1565 il potere passò nelle mani dei re di Tsang, la terza delle grandi dinastie che regnarono sul Tetto del Mondo fra il XV e il XVII secolo. Tutte avevano esercitato la loro autorità in maniera assolutamente autonoma senza far mai alcun gesto di sottomissione, nemmeno formale, nei confronti degli imperatori cinesi.
Note: (1) Le principali sono: Nyingma, Kagyu, Sakya e Gelug.
Tratto da “Il Tibet nel Cuore”, di P. Verni
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