Due giornalisti italiani, dell’Ansa e di Sky Tg24, sono stati fermati dalla polizia cinese per tre ore (http://www.pupia.tv/mondo/notizie/0003028.html) – …Più di 100 monaci del monastero tibetano di An Tuo, nella provincia cinese di Qinghai, sono stati arrestati dopo una manifestazione tenuta in occasione del Capodanno tibetano, celebrato il 25 febbraio.
La notizia è stata riferita da alcuni monaci a due giornalisti italiani, corrispondenti di Ansa e Sky Tg24. I due reporter subito dopo sono stati fermati dalla polizia per tre ore e poi rilasciati. Gli arresti sono stati 109 sui circa 300 monaci che vivono abitualmente nel monastero. I monaci di An Tuo hanno spiegato che domani, cinquantesimo anniversario della rivolta tibetana conclusa con la fuga in India del Dalai Lama, potrebbero verificarsi altre manifestazioni. Poco dopo essere usciti dal monastero, i due giornalisti italiani sono stati fermati dalla polizia e trattenuti per oltre tre ore, pur non avendo violato alcuna legge cinese. La polizia non ha dato spiegazioni sulle ragioni del fermo. Un altro episodio di protesta si è verificato oggi nella provincia del Qinghai, nella contea di Guoluo, dove due auto della polizia sono state colpite da una rudimentale bomba. Sia la contea di Guinan, che quella di Guoluo, hanno la popolazione in gran parte tibetana.
– Alla vigilia del 50esimo anniversario dalla fallita rivolta in Tibet, il presidente cinese, Hu Jintao, ha esortato i leader della provincia a costruire una “grande muraglia” contro il separatismo. “Dobbiamo costruire una Grande muraglia nella nostra lotta contro il separatismo e per la salvaguardia dell’unità della madrepatria e trasformare la stabilità di base del Tibet in una sicurezza a lungo termine”, ha affermato in un messaggio televisivo Hu, che nel 1989 quando guidava il Partito comunista locale guidò una sanguinosa repressione in Tibet. La provincia himalayana – ha sostenuto – dovrebbe progredire verso “un rapido sviluppo economico” e garantire “sicurezza e stabilità sociale”. Intanto, però, tornano le proteste dei tibetani nella provincia di Qinghai, nella Cina nord-occidentale.
Nuovi scontri in Cina. Piccoli ordigni rudimentali sono stati lanciati contro un’auto della polizia e un mezzo dei vigili del fuoco, causando lievi danni ma senza causare vittime. Gli scontri sono avvenuti domenica ma i media cinesi ne hanno dato notizia con 24 ore di ritardo. A innescare la reazione dei tibetani della prefettura di Golog, dove questa minoranza è molto numerosa, era stato il fermo di un residente a un posto di blocco della polizia cinese. In Tibet e nelle zone con minoranze tibetane come il Golog sono state aumentate le misure di sicurezza in vista del 10 marzo, 50mo anniversario della rivolta contro Pechino del 1959 che portò alla fuga in India del Dalai Lama.
Intensificati i controlli Truppe aggiuntive sono state schierate alle frontiere, lungo le arterie principali. A Lhasa le forze di sicurezza pattugliano le strade e i pochi tibetani che circolano vengono spesso fermati e identificati. A Dharamsala, la città indiana dove ha sede il governo tibetano in esilio, per domani è in programma una manifestazione di diecimila attivisti pro-Tibet nonostante gli appelli alla moderazione del Dalai Lama che ha invitato a pregare e a tenere cerimonie pacate per commemorare l’anniversario. Ad accendere gli animi è un rapporto da cui emerge che sono oltre 1.200 i tibetani di cui si sono perse le tracce dopo l’ultima, sanguinosa repressione cinese nella regione, nel marzo 2008. La denuncia arriva da International Campaign for Tibet, gruppo legato all’opposizione tibetana in esilio. Portati via in piena notte, incriminati sulla base di vaghe accuse di separatismo, migliaia di tibetani l’anno scorso finirono nelle carceri cinesi e alcuni non sono più tornati. Il rapporto, basato su materiale vietato in Cina e su resoconti di testimoni rimasti anonimi per ovvie ragioni di sicurezza, parla di “brutali torture” subite dagli arrestati, “a cui veniva infilato il bambù nelle unghie oppure venivano legate e percosse le dita”.