Tawu Jamphel Yeshi che si è immolato ieri colfuoco a Delhi per protestare contro la visita in India del premier cinese Hu Jin Tao.
Appello alla dirigenza RAI per una massima attenzione ai drammatici eventi in corso in Tibet e a New York
Il 19 marzo 2012 alle ore 12:00 una delegazione composta da 11 Associazioni pro Tibet (Comunità Tibetana in Italia, Associazione Donne Tibetane, Associazione Italia Tibet, Associazione AREF International Onlus, Istituto Samantabhadra, Laogai Research Foundation Italia Onlus, Associazione Culturale casa del Tibet, Associazione Tso Pema Non Profit, Associazione Nitobe, Associazione Rimè Onlus, Associazione Culturale Progetto Asia) ha consegnato alla RAI di v.le Mazzini, Roma, nella persona del Direttore Pubbliche Relazioni, dottor Fabrizio Maffei, un dossier sui gravi fatti accaduti in Tibet. E un conseguente appello, firmato altresì da: Intergruppo Parlamentare sul Tibet, Intergruppo sul Tibet al Consiglio Regionale del Lazio, Partito Radicale Nonviolento transnazionale e traspartito. Nella documentazione prodotta si è sottolineata la gravissima situazione di un Paese dove sono ormai 30 i Tibetani – uomini e donne, monaci e laici – che, nel corso dell’ultimo anno, si sono autoimmolati con il fuoco, per protesta contro l’occupazione da parte del Governo di Pechino. A tali gravissimi fatti fa riscontro lo sciopero della fame ad oltranza che tre Tibetani stanno portando avanti, da 27 giorni, a New York, di fronte al palazzo dell’ONU. Nell’apprezzare, innanzitutto, la disponibilità della Rai ad accogliere il nostro appello, si chiede – e si auspica – una puntuale massima attenzione per questi drammatici eventi e un’ampia copertura mediatica per gli stessi da parte di tutte le testate giornalistiche di competenza.
Appello ai vertici della RAI:
“Scriviamo questa lettera a nome di tutti i Tibetani in Italia e di tutti i gruppi di supporto, Associazioni e Centri che sostengono e aiutano i Tibetani nel nostro paese. Riteniamo inoltre che ci sia una cospicua parte della società civile che sottoscriverebbe il nostro appello. La mattina del 18 marzo a poche ore di distanza ancora due Tibetani (un monaco di 18 anni e un agricoltore di 43) si sono dati fuoco e sono morti per protestare contro l’occupazione del loro paese, iniziata nel 1959. Nello stesso tempo a New York davanti alla sede dell’ONU è in corso uno sciopero della fame a oltranza da parte di tre Tibetani. La situazione si sta facendo critica. Le notizie tragiche che vengono dal Tibet rendono la determinazione di questi tre Tibetani, che hanno iniziato oggi il loro 26° giorno di digiuno, ancora più forte. I digiunatori sanno di avere sulle loro spalle una responsabilità pesante. Sono lì a testimoniare, davanti agli occhi di tutti coloro che – vigliaccamente – continuano a guardare da un’altra parte, l’irriducibilità della Questione Tibetana: una delle tante ingiustizie del mondo, è vero, ma unica nelle sue rivendicazioni basate sempre sulla nonviolenza, pur avendo come controparte uno dei più duri e repressivi regimi del mondo. Quella Cina alla quale tutto è permesso e scusato. Quella Cina, che massacra le sue cosiddette “minoranze” interne (ridotte già da 450 a 50!) nel modo che sappiamo. Che tortura gli appartenenti al movimento religioso della Falun Dafa nel modo che sappiamo. Che imprigiona i dissidenti nel modo che sappiamo. A questa Cina tutto è permesso e scusato. E, simmetricamente, tutto è invece negato a chi osa opporsi al suo osceno sistema di governo e di oppressione. Come ai tre Tibetani che si ostinano a digiunare di fronte al simulacro imbiancato delle Nazioni Unite, il cui pavido Segretario Generale non trova un minuto per attraversare la strada e dire una parola di conforto. E come ai giovani monaci e laici che ormai con scadenza giornaliera – siamo a trenta – si bruciano e muoiono per protestare contro l’occupazione del loro paese. Siamo grati alla RAI che, in passato, ha sempre dedicato spazio e approfondimenti al Paese delle Nevi. Ed è per questa ragione che siamo qui e non altrove. Ora, però, quello che sta accadendo laggiù è la replica di che cosa accadde in Vietnam negli anni ’60 quando 33 monaci si bruciarono vivi, cambiando il corso della storia. E anche oggi i Tibetani stanno gridando nello stesso modo tutta la loro esasperazione contro un regime che non ascolta nulla delle loro istanze, da oltre 50 anni. Siamo qui a chiedere una vostra attenzione su tutto questo nei termini e nei modi che potrete decidere sicuramente meglio di tutti noi. Con tutta la nostra gratitudine”.
(Seguono le firme delle associazioni organizzatrici). Il presente appello ha ottenuto i desiderati effetti il giorno seguente. Nel TG serale di RAI 2 si è parlato per 3 minuti del Tibet ed una torcia umana vivente, ormai a terra, è comparsa sul video. Su RETE 4, sempre nel TG, Fede ha ripreso l’argomento mostrando sul suo tavolo la bandiera del Tibet. Persino l’ONU avrebbe fatto un passo verso i digiunatori di New York. Iniziative, manifestazioni e appelli, periodicamente ripetuti, dimostrano dunque che il piccolo david tibetano, anche dopo 50 anni, non si è prostrato all’enorme golia cinese. Merita davvero una ampia e articolata serie di trasmissioni e inchieste sulla Questione Tibetana, sempre trascurata per il timore reverenziale che la decrepita Europa, ghiotta di briciole, presta al più ricco carnefice del mondo. I Tibetani vogliono solo tornare a casa, nella propria casa che è stata loro rubata. Anche gli Italiani vorrebbero sapere come lo storico e sanguinoso “scippo” avvenne e che cosa ha fatto la Cina di questo paese da sogno.
M. Nostalgia
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