Monasteri tibetani sotto il controllo del regime: i monaci preferiscono abbandonarli
di Nirmala Carvalho
Un “gruppo di lavoro” inviato da Pechino paralizza la vita nei templi buddisti, che vengono requisiti con la forza. In risposta, i monaci abbandonano i luoghi di culto e se ne vanno. La popolazione teme la situazione, che non permette più neanche una degna sepoltura per i defunti, ma Pechino la ignora.
Dharamsala (AsiaNews) – Il governo cinese ha prima requisito e poi costretto alla chiusura una serie di monasteri buddisti nella Prefettura di Nagchu, nella Provincia autonoma tibetana. Per cercare di fermare le proteste anti-cinesi, infatti, le autorità hanno inviato nella zona un “gruppo di lavoro” che ha trasferito con la forza tutte le proprietà dei monasteri al governo centrale. Nonostante i luoghi di culto siano privati, i dirigenti comunisti hanno imposto ai monaci un controllo talmente serrato che questi – pur di evitarlo – hanno scelto di abbandonare i monasteri. Il “gruppo di lavoro” si è recato alla fine di febbraio nei monasteri di Taklung e Choelung. La Cina sta cercando di evitare con ogni mezzo che altri monaci buddisti si auto-immolino con il fuoco, come hanno fatto già 28 persone nella zona. Arrivati nei templi, i dirigenti statali hanno stilato un documento con tutti i beni mobili presenti e hanno intimato ai monaci di non condurre alcuna operazione economica senza il loro permesso; anche le pratiche religiose, secondo il nuovo ordine, dovevano essere approvate.
Infine, hanno radunato i monaci dei due monasteri e li hanno informati che avrebbero dovuto partecipare alla ri-educazione patriottica, una forma di lavaggio del cervello con cui Pechino cerca di convincere i dissidenti a rinunciare alla propria lotta. Uno dei monaci ha chiesto se questa pratica non fosse contraddittoria con la libertà religiosa espressa nella Costituzione cinese, ma è stato ignorato. Per evitare tutto questo, i monaci hanno preferito abbandonare i luoghi di culto.
Stessa storia anche nei monasteri Bekar, Drong-na, Rabten e Roggyen: dopo la rieducazione, sono stati chiusi per mancanza di monaci. Il governo ha deciso allora di riportare i religiosi nei templi e ha emanato un ordine urgente che intima alla popolazione di non dare loro rifugio: il capo villaggio di Layok, Soegyam, è stato licenziato per non aver obbedito agli ordini. Ai comunisti, Soegyam ha detto di capire i monaci “che non vogliono vivere nel dolore, sotto sorveglianza costante”.
Lo svuotamento dei monasteri ha terrorizzato la popolazione locale, che teme di non aver più assistenza religiosa e spirituale. Centinaia di persone si sono riunite a Layok e hanno chiesto al governo di rivedere la propria decisione: neanche i morti, secondo i manifestanti, potranno avere degna sepoltura senza i monaci che eseguono i rituali. I comunisti hanno risposto di portare “un morto e il denaro rituale”, aggiungendo che “saranno loro” a celebrare i riti funebri.