Un ragazzo di nome Dorjee, poco più che maggiorenne, si è dato fuoco nella prefettura di Aba, per protesta contro la repressione di Pechino in Tibet. Il gesto nei pressi di un ufficio governativo cinese. Ieri la notizia della morte di due donne. Intanto la Cina rafforza la sicurezza alla vigilia dell’anniversario della rivolta del 2008. Dharamsala (AsiaNews/Agenzie) – Un giovane poco più che maggiorenne è il terzo tibetano a darsi fuoco questa settimana in Cina, per protesta contro il dominio di Pechino nel Tibet. Lo affermano fonti di un gruppo attivista in esilio, mentre il governo di Pechino ha rafforzato ulteriormente le misure di sicurezza in vista dell’imminente anniversario della rivolta del 2008. Solo lo scorso anno oltre 20 tibetani – in grande maggioranza monaci – si sono auto-immolati nella loro battaglia a difesa dei diritti umani, una maggiore autonomia e piena libertà religiosa. Le ultime vittime ufficiali sono emerse ieri: una madre, vedova e con quattro figli e una ragazza tra i 16 e i 19 anni nel Gansu. In un comunicato diffuso da Free Tibet and International Campaign for Tibet, un ragazzo di 18 anni – conosciuto con il nome di Dorjee – nel pomeriggio di ieri avrebbe intonato slogan anti-cinesi davanti a un ufficio governativo della prefettura di Aba, nella provincia del Sichuan. Egli sarebbe morto sul posto e solo in un secondo momento sono intervenuti gli addetti alla sicurezza, per rimuovere il cadavere.
La polizia di Aba, che ospita una grande comunità tibetana ed è divenuto uno dei luoghi simbolo della protesta, non ha voluto rilasciare commenti o fornire conferme sulla vicenda.
Attivisti per i diritti umani affermano che l’escalation nelle auto-immolazioni – un fenomeno recente nella protesta tibetana anti-cinese – è sintomo della crescente disperazione fra gli esponenti della minoranza etnica, che ha cercato di contendere (invano) il primato di Pechino nella regione Himalayana.
Dal marzo 2008, all’indomani della rivolta di Lhasa repressa nel sangue dalla polizia, il governo cinese ha rafforzato le misure di sicurezza nell’area e il controllo delle attività di monasteri e monaci, per evitare che la protesta si espandesse ad altre zone del Paese. La Cina nega di attuare una repressione e aggiunge che, ora, i tibetani vivono una vita migliore grazie ai corposi investimenti e alle infrastrutture realizzate da Pechino. Tuttavia, negli ultimi mesi la tensione è cresciuta sempre più, tanto che la parte occidentale della provincia del Sichuan, confinante con la regione tibetana, ha registrato un continuo aumento di rivolte e immolazioni.