Non cessa in Tibet l’ondata delle auto immolazioni. Questa mattina un monaco del monastero di Bongthak Ewam Tare Shedrup Dhargey Ling, in Amdo, si è dato fuoco in segno di protesta contro la politica del governo cinese. Il religioso, Dhamchoe Sangpo, di trentotto anni, è deceduto subito dopo il suo gesto. Era il più giovane di dieci fratelli. Il monastero di appartenenza di Dhamchoe era strettamente sorvegliato dalle forze di sicurezza cinesi da quando un altro monaco, Kalsang, aveva protestato contro l’attuazione di una miniera per l’estrazione di argento pianificata nella zona dalle autorità cinesi. “Da allora, le autorità cinesi avevano circondato il monastero con veicoli militari impedendo lo svolgimento delle cerimonie religiose e minacciando i monaci di chiudere il monastero se non avessero obbedito alle disposizioni”, si legge in un comunicato stampa rilasciato dal parlamento tibetano in esilio. Non si conoscono al momento altri particolari circa l’immolazione di Dhamchoe Sangpo. Le autorità cinesi e l’esercito presidiano il monastero e setacciano, con ricerche porta a porta, le abitazioni all’interno dell’istituto monastico. In un’intervista pubblicata il 13 febbraio sul Corriere della Sera, il Primo Ministro del Governo in Esilio, Lobsang Sangay, definisce le immolazioni “lo zenit della resistenza nonviolenta, perché darsi fuoco distrugge il proprio corpo ma non tocca l’avversario, cioè i cinesi. Noi, governo in esilio, non abbiamo mai incoraggiato questi sacrifici e abbiamo chiesto di astenersi da misure estreme. “Resta il fatto” – prosegue – che i tibetani non accetteranno mai l’occupazione militare del Tibet e lo status di cittadini di seconda classe. E dunque è una reazione naturale: dove c’ è oppressione, c’ è resistenza”. La morsa della repressione non accenna a diminuire. Il Capo del Partito comunista della cosiddetta Regione Autonoma, Chen Quanguo, ha chiesto oggi maggiori controlli sulla rete internet e sui telefoni cellulari per “garantire la totale sicurezza dell’ideologia e della cultura del Tibet”. Secondo Chen, queste misure faranno sì “che la linea e la politica del partito possano effettivamente raggiungere i cuori di milioni di persone appartenenti a diversi gruppi etnici, compresi devoti e patriottici monaci e monache”.
Nelle scorse settimane Chen era intervenuto duramente contro l’inefficienza dei funzionari governativi preposti alla sicurezza, minacciandone l’allontanamento dal posto di lavoro se non avessero scrupolosamente esercitato la più stretta sorveglianza. Meno di un mese fa aveva fatto distribuire nei monasteri e pubblici uffici più di un milione tra bandiere rosse e poster raffiguranti le ultime quattro generazioni di leader cinesi, chiedendo a tutti i dirigenti e funzionari del partito di studiarne le vite e le opere per trarne ispirazione e motivazione. Fonti: Phayul – Italia Tibet