Ridurre la sofferenza di un malato ci fa sentire meno stressati. Aumenta la connessione sociale e si attivano le aree striatali
Con l’avvicinarsi del Natale le occasioni per fare del bene agli altri si fanno ancora più frequenti e adesso scopriamo che aiutare il prossimo è salutare anche per il nostro cervello. Secondo uno studio dell’Università della California pubblicato su Psychosomatic Medicine aiutare gli altri induce un significativo aumento di attività nell’area dello striato ventrale e in quella settale, regioni cerebrali correlate al comportamento materno e alla socializzazione, un po’ come se diventassimo mamma e fratello o sorella di chi stiamo aiutando. Contemporaneamente si riduce l’attività dell’amigdala, area cerebrale correlata fra l’altro allo stress e alle emozioni, come se quel gesto ci liberasse dallo stress che ci provoca confrontarci col dolore degli altri. Questa attivazione alimenta anche i nostri circuiti della socializzazione riducendo in generale la nostra tensione emotiva con un effetto finale benefico per chi aiuta e non solo per chi è aiutato. L’ESPERIMENTO – Rifacendosi all’antico proverbio cinese «Oggi faccio un favore al mio cane: lo picchio e poi smetto» gli psicologi di Los Angeles hanno effettuato lo studio con persone che si conoscevano e si volevano bene: il cervello di una donna veniva controllato tramite risonanza magnetica funzionale mentre davanti a lei sedeva, fuori dal macchinario, il fidanzato che riceveva spiacevoli scossette elettriche. La ragazza poteva però interromperle quando voleva, semplicemente premendo un bottone. E quando decideva di “regalargli” la fine del fastidioso stimolo si attivavano le sue due aree cerebrali striatale e settale, mentre contemporaneamente si riduceva bilateralmente l’attività della sua amigdala.
IL RAPPORTO CON I MALATI – Secondo gli autori gli stessi meccanismi si verificherebbero anche nel rapporto fra caregivers e malati quando riescono a farli soffrire di meno: in questo caso i caregivers parlano di trasporto materno/fraterno verso il paziente e di una migliorata capacità di accudimento quando lo stress dell’assistenza si riduce perché il malato sta meglio. Un effetto che può essere traslato agli infermieri, ai medici e a chiunque porti aiuto agli altri: nel cervello di ognuno di noi, quando facciamo un’offerta a Telethon o a un povero che incontriamo per strada, si riduce l’attivazione delle nostre aree cerebrali dello stress perché la sua sofferenza ci fa un po’ meno male e si attivano le aree striatali e settali perché aumenta la nostra connessione sociale con lui. Non importa se si trova davanti a noi o all’altro capo di un sms di beneficenza, basta che noi pensiamo di aiutarlo. A Natale siamo tutti un po’ più vicini e adesso c’è un ragione di più per aiutare chi soffre: potrebbe far bene anche noi.
http://www.corriere.it/salute/11_dicembre_14/cervelli-buoni-natale-peccarisi_1e8f3bf0-1e98-11e1-b26c-4b15387dad1c.shtml