AI MEMBRI DEL SENATO DEGLI STATI UNITI D’AMERICA: PIANO IN CINQUE PUNTI PER IL TIBET DI SUA SANTITA’ IL DALAI LAMA. WASHINGTON, D.C. 21 SETTEMBRE 1987
Il mondo è sempre più interdipendente, così che una pace duratura – nazionale, regionale e globale – può essere ottenuta solo se pensiamo in termini di interessi generali piuttosto che di bisogni privati. In questi tempi è cruciale che tutti noi, forti e deboli, contribuiamo ognuno a proprio modo. Vi parlo oggi come il leader del popolo tibetano e come un monaco buddista votato ai principi di una religione basata sull’amore e sulla compassione. Soprattutto, sono quì come un essere umano che è destinato a condividere questo pianeta con voi e tutti gli altri come fratelli e sorelle. Poiché il mondo diventa più piccolo, abbiamo bisogno l’uno dell’altro più che in passato. Questo è vero in tutte le parti del mondo, compreso il continente da cui provengo.
Oggi in Asia, come altrove, le tensioni sono alte. Ci sono conflitti aperti nel Medio Oriente, nel Sud-Est asiatico, e nel mio Paese, il Tibet. In gran parte questi problemi sono sintomo delle tensioni latenti che esistono tra i grandi poteri di quella data area. Per risolvere i conflitti di una regione è necessario un approccio che tenga conto degli interessi di tutti i Paesi e popolazioni in questione, grandi e piccoli. A meno che non vengano formulate soluzioni di vasta portata, che prendano in considerazione le aspirazioni delle popolazioni direttamente interessate, delle misure frammentarie o dei semplici espedienti creeranno solo nuovi problemi.
Il popolo tibetano è desideroso di contribuire alla pace della regione e del mondo, ed io credo che sia in una posizione unica per farlo. Per tradizione, i tibetani sono un popolo amante della pace e non violento. Sin da quando il buddismo fu introdotto in Tibet più di mille anni fa, i Tibetani hanno praticato la non violenza con rispetto di tutte le forme di vita. Questo modo di fare è Stato esteso anche alle relazioni internazionali del nostro Paese. La posizione altamente strategica del Tibet nel cuore dell’Asia, poiché separa le grandi potenze del continente – India, Cina ed URSS – lo ha dotato, nel corso della storia, di un ruolo essenziale nel mantenimento di pace e stabilità. Questo è precisamente il motivo per cui, nel passato, gli imperi dell’Asia fecero di tutto per tenersi l’un l’altro, per tanto tempo, fuori dal Tibet. Il valore del Tibet come Stato cuscinetto indipendente è stato essenziale per la stabilità della regione.
Quando l’appena formata Repubblica Popolare Cinese invase il Tibet nel 1949/50, essa creò una nuova causa di conflitto. Ciò fu reso evidente quando, a seguito dell’insurrezione nazionale tibetana contro i cinesi e del mio volo in India nel 1959, le tensioni tra Cina ed India portarono alla guerra di confine del 1962. Oggi un gran numero di truppe sono di nuovo ammassate da entrambe le parti del confine Himalaiano e la tensione è ancora una volta pericolosamente alta.
Il vero problema, ovviamente, non è la demarcazione del confine indo-tibetano. (Bensì, -NdT-) È l’occupazione illegale del Tibet da parte della Cina, cosa che le ha dato diretto accesso al sub-continente indiano. Le autorità cinesi hanno tentato di confondere la questione affermando che il Tibet è sempre stato parte della Cina. Questo non è vero. Il Tibet era uno Stato completamente indipendente quando l’Esercito di Liberazione Popolare invase il Paese nel 1949/50.
Sin da quando gli imperatori tibetani unificarono il Tibet più di mille anni fa, il nostro paese è stato capace di mantenere la propria indipendenza fino alla metà di questo secolo. Nel tempo il Tibet ha esteso la sua influenza sui popoli ed i Paesi vicini e, in altri periodi, fu esso stesso sotto il potere di dominatori stranieri – i Khan mongoli, i Gorkhas del Nepal, gli imperatori Manciù e gli inglesi in India.
Non è, comunque, insolito per gli Stati essere soggetti ad influenze od interferenze straniere. Sebbene le cosiddette relazioni satellite siano probabilmente l’esempio più palese di ciò, la maggior parte delle maggiori potenze esercitano un’influenza su alleati o confinanti meno potenti. Come la maggior parte di autorevoli studi legali hanno mostrato, nel caso del Tibet, l’occasionale soggezione del Paese ad influenza straniera non ha mai comportato una perdita d’indipendenza. E non ci può essere dubbio che, quando le armate comuniste di Pechino entrarono nel Tibet, il Tibet era sotto tutti i punti di vista uno Stato indipendente.
L’aggressione della Cina, condannata teoricamente da tutte le nazioni del mondo libero, è stata una palese violazione delle leggi internazionali. Poiché l’occupazione militare del Tibet da parte della Cina continua, il mondo dovrebbe ricordare che, benché i tibetani abbiano perso la propria libertà, per le leggi internazionali oggi il Tibet continua ad essere uno Stato indipendente sotto illegale occupazione.
Non è mia intenzione avviare qui una discussione politico-legale sulla condizione del Tibet. Vorrei solo evidenziare il fatto ovvio ed indiscusso che noi tibetani siamo un popolo distinto con nostre proprie cultura, lingua, religione e storia. Se non fosse per l’occupazione cinese, il Tibet continuerebbe, oggi, ad adempiere al suo ruolo naturale di Stato cuscinetto mantenendo e promuovendo la pace in Asia.
È mio sincero desiderio, come pure quello di tutto il popolo Tibetano, di restituire al Tibet il suo inestimabile ruolo, convertendo l’intero Paese – comprese le tre provincie di U-Tsang, Kham ed Amdo – ancora una volta in un luogo di stabilità, pace ed armonia. Nella migliore tradizione buddista, il Tibet estenderebbe i suoi servizi e la sua ospitalità a tutti coloro che favoriscono la causa di un mondo di pace e benessere del genere umano e l’ambiente naturale che condividiamo.
Nonostante l’olocausto inflitto al nostro popolo nelle passate decadi di occupazione, mi sono sempre impegnato a trovare una soluzione tramite discussioni dirette ed oneste con i cinesi. Nel 1982, a seguito del cambio di comando in Cina e dell’instaurazione di contatti diretti con il governo a Pechino, inviai miei delegati a Pechino per avviare dialoghi sul futuro del mio Paese e della mia gente.
Iniziammo il dialogo con un atteggiamento sincero e positivo e con la propensione di tener conto dei bisogni legittimi della popolazione della Repubblica Popolare Cinese. Sperai che questo atteggiamento sarebbe stato ricambiato e che si sarebbe potuto eventualmente trovare una soluzione che avrebbe soddisfatto e salvaguardato le aspirazioni e gli interessi di entrambe le parti. Sfortunatamente, la Cina ha costantemente risposto ai nostri sforzi in maniera difensiva, come se la nostra minuziosa esposizione delle reali grandi difficoltà del Tibet fosse una critica finalizzata ai propri interessi.
Con nostra grande costernazione il governo cinese usò male l’opportunità di un dialogo sincero. Anziché concentrarsi sui veri temi riguardanti la popolazione dei sei milioni di tibetani, la Cina ha tentato di ridurre la questione del Tibet ad una discussione sulla mia condizione personale.
È contro questa situazione ed in risposta allo straordinario sostegno ed incoraggiamento che ho ricevuto da voi e da altre persone che ho incontrato durante questo viaggio, che vorrei oggi chiarire i principali argomenti e proporre, in uno spirito di apertura e conciliazione, un primo passo verso una soluzione duratura. Spero che questo possa contribuire ad un futuro di amicizia e di cooperazione con tutti i nostri vicini, incluso il popolo cinese.
Questo piano di pace contiene cinque componenti di base.
- Trasformazione di tutto il Tibet in una zona di pace.
- Abbandono della politica di trasferimento della popolazione cinese, che minaccia la reale esistenza dei tibetani come popolo.
- Rispetto per i fondamentali diritti umani e per le libertà democratiche del popolo tibetano.
- Ripristino e protezione dell’ambiente naturale del Tibet ed abbandono da parte della Cina dell’utilizzo del Tibet per la produzione di armi nucleari ed lo scarico di rifiuti nucleari.
- Avvio dei primi negoziati sullo stato futuro del Tibet e di relazioni tra i popoli tibetano e cinese.
Lasciatemi spiegare questi cinque componenti. 1
Propongo che l’intero Tibet, incluse le provincie orientali di Kham e Amdo, vengano trasformate in una zona di “AHIMSA“, un termine Hindi usato per indicare una condizione di pace e non-violenza.
La creazione di qualcosa di simile ad una zona di pace sarebbe in linea con il ruolo storico del Tibet di nazione buddista pacifica e neutrale e di Stato cuscinetto di separazione tra le grandi potenze del continente. Ciò sarebbe in linea anche con la proposta del Nepal di proclamare il Nepal una zona di pace ed in linea anche con il dichiarato sostegno della Cina per una tale proclamazione. La zona di pace proposta dal Nepal avrebbe un impatto molto maggiore se vi venissero inclusi il Tibet e le aree circostanti.
La realizzazione di una zona di pace in Tibet richiederebbe il ritiro delle truppe e delle installazioni militari cinesi dal Paese, il che permetterebbe anche all’India di ritirare le truppe e le installazioni militari dalle regioni Himalaiane confinanti con il Tibet. Ciò dovrebbe essere ottenuto con un accordo internazionale che soddisfacesse i bisogni di sicurezza legittimi della Cina e costruirebbe fiducia tra i tibetani, gli indiani, i cinesi e gli altri popoli della regione. Questo è nel miglior interesse di tutti, in particolare quelli di Cina ed India, in quanto aumenterebbe la loro sicurezza, riducendo il peso economico del mantenere alte concentrazioni di truppe sui confini Himalaiani contesi.
Storicamente, le relazioni tra Cina ed India non sono mai state tese. Fu solo quando gli eserciti cinesi marciarono sin dentro al Tibet che, creando per la prima volta un confine comune, sorsero tensioni tra queste due potenze, che, alla fine, portarono alla guerra del 1962. Da allora numerosi e pericolosi incidenti continuano ad avvenire. Il ripristino di buone relazioni tra i due Paesi più popolosi del mondo sarebbe di gran lunga facilitata se fossero separati – come lo sono stati durante tutta la storia – da una larga ed amichevole regione cuscinetto.
Per migliorare le relazioni tra il popolo tibetano ed i cinesi, il primo requisito è al creazione di fiducia. Dopo l’olocausto degli ultimi decenni, in cui più di un milione di tibetani – un sesto della popolazione – hanno perso le proprie vite ed almeno altrettanti sono trattenuti in campi di prigionia a causa del loro credo religioso e del loro amore per la libertà, solo un ritiro delle truppe cinesi può dare il via ad un sincero processo di riconciliazione. L’enorme forza di occupazione in Tibet è qualcosa che ricorda ogni giorno ai tibetani l’oppressione e le sofferenze di cui tutti loro hanno esperienza. Un ritiro delle truppe sarebbe un segnale essenziale che in futuro una relazione significativa potrebbe essere stabilita con i cinesi, basata su amicizia e fiducia.
2
Il trasferimento di popolazione cinese all’interno del Tibet, che il governo di Pechino persegue nell’ottica di forzare un a”soluzione finale” al problema tibetano riducendo la popolazione tibetana ad una minoranza insignificante e senza diritti nel Tibet stesso, va fermata.
Il trasferimento in massa di civili cinesi all’interno del Tibet, in violazione della Quarta Convenzione di Ginevra (1949), minaccia la reale esistenza dei tibetani come popolo distinto. Nelle parti orientali del nostro Paese i cinesi ora superano di gran lunga i tibetani per numero. Nella provincia di Amdo, per esempio, dove sono nato io, ci sono, secondo le statistiche cinesi 2.5 milioni di cinesi e solo 750000 tibetani. Perfino nella cosiddetta Regione Autonoma del Tibet (ossia il Tibet centro-occidentale), fonti del governo cinese confermano che a tutt’oggi i cinesi superano i tibetani per quantità.
La politica di trasferimento di popolazione cinese non è nuova. È stata applicata sistematicamente ad altre aree, in precedenza. Precedentemente, in questo secolo, i Manciù erano una razza distinta con una propria cultura e proprie tradizioni. Oggi sono rimasti solo due o tre milioni di Manciù in Manciuria e vi sono stati introdotti 75 milioni di cinesi. Nel Turkestan orientale, chiamato oggi dai cinesi Sinkiang la popolazione cinese è aumentata da 200000 nel 1947 a 7 milioni, ossia più di metà della popolazione totale che è di 13 milioni. Come conseguenza della colonizzazione cinese nella Mongolia Interna, i cinesi sono diventati 8.5 milioni, mentre i mongoli 2.5 milioni.
Oggi in tutto il Tibet sono già stati introdotti 7.5 milioni di coloni, superando così in numero la popolazione tibetana che è di 6 milioni. In quello che era il Tibet centro-orientale, e che oggi le autorità cinesi chiamano “Regione Autonoma del Tibet”, fonti cinesi ammettono che gli 1.9 milioni di tibetani costituiscono già una minoranza nella popolazione della regione. Questi numeri non tengono conto dei circa 300000 – 500000 soldati delle truppe schierate in Tibet, 250000 dei quali nella cosiddetta Regione Autonoma del Tibet.
Per i tibetani, per sopravvivere come popolo, è imperativo che il trasferimento di popolazione venga interrotto e che i coloni cinesi ritornino in Cina. Altrimenti, presto i tibetani non saranno nulla di più che un’attrazione turistica ed il resto di un nobile passato.
3
In Tibet vanno rispettati i diritti umani fondamentali e le libertà della democrazia. La gente tibetana deve, ancora una volta, essere libera di svilupparsi culturalmente, intellettualmente economicamente e spiritualmente e di esercitare le libertà democratiche di base.
Le violazioni dei diritti umani in Tibet sono tra le più serie al mondo. In Tibet viene praticata la discriminazione, sotto una politica di “apartheid”, chiamata dai cinesi “segregazione ed assimilazione. I tibetani sono, nella migliore delle ipotesi, cittadini di seconda categoria nel loro stesso Paese. Privati di tutti i diritti democratici e le libertà di base, essi esistono sotto un’amministrazione coloniale nella quale tutti i veri poteri sono controllati da ufficiali cinesi del Partito Comunista o dell’Esercito.
Sebbene il governo cinese permetta ai tibetani di ricostruire qualche monastero buddista e di praticarvi il culto, esso continua a vietare studi seri e l’insegnamento della religione. Solo ad un ristretto numero di persone, approvate dal Partito Comunista, è concesso di raggiungere i monasteri.
Sebbene i tibetani in esilio esercitino i loro diritti democratici sotto una costituzione da me promulgata nel 1963, migliaia di nostri compatrioti soffrono nelle prigioni e nei campi di lavoro a causa delle loro convinzioni religiose o politiche.
4
Devono essere fatti sforzi seri per il ripristino dell’ambiente naturale in Tibet. Il Tibet non dovrebbe essere usato per la produzione di armi nucleari e come discarica per i rifiuti nucleari.
I tibetani nutrono grande rispetto per tutte le forme di vita. Questo sentimento intrinseco è reso ancor più intenso dalla fede buddista la quale proibisce di fare del male a qualsiasi essere senziente, sia esso umano o animale. Prima dell’invasione cinese, il Tibet era un “santuario” deserto ed incontaminato in un ambiente naturale unico. Tristemente, nei decenni scorsi la fauna selvatica e le foreste del Tibet sono state quasi completamente distrutte dai cinesi. Gli effetti sul delicato ambiente del Tibet sono stati devastanti. Quel poco che è rimasto in Tibet va protetto e degli sforzi devono essere fatti per riportare l’ambiente al suo stato naturale.
La Cina usa il Tibet per la produzione di armi nucleari e potrebbe aver iniziato a scaricare rifiuti nucleari in Tibet. Non solo la Cina pianifica di disporne per lo scarico dei propri rifiuti nucleari, ma anche per quelli di altri Paesi, i quali hanno già accettato di pagare Pechino per disfarsi dei loro materiali tossici.
I pericoli che ciò presenta sono ovvi. Non solo le generazioni viventi, ma anche le generazioni future sono minacciate dalla mancanza di interesse della Cina nei confronti dell’ambiente unico e delicato del Tibet.
5
Negoziati sul futuro stato del Tibet e le relazioni tra i popoli tibetano e cinese devono essere avviati con serietà.
Ci piacerebbe affrontare quest’argomento in maniera ragionevole e realistica, in uno spirito di franchezza e conciliazione e con l’ottica di trovare una soluzione che a lungo termine coinvolga tutti: i tibetani, i cinesi e tutti gli altri popoli interessati. Tibetani e cinesi sono popoli distinti, ognuno dei quali con un proprio Paese, storia, cultura, lingua e modi di vivere. Le differenze tra i popoli vanno riconosciute ed rispettate. Comunque, non devono necessariamente creare ostacoli ad una vera cooperazione dove questo sia di vantaggio reciproco per entrambi i popoli. Credo sinceramente che , se le parti coinvolte, si incontrassero e discutessero del loro futuro con mentalità aperta ed un sincero desiderio di trovare una soluzione soddisfacente ed onesta, si possa raggiungere una soluzione. Dobbiamo tutti far uso di noi stessi per essere ragionevoli e saggi, e venirci incontro in uno spirito di franchezza e comprensione.
Lasciatemi concludere con una nota personale. Vorrei ringraziarvi per l’interesse ed il sostegno che voi e così tanti vostri colleghi concittadini hanno espresso per la condizione di un popolo oppresso, ovunque esso sia. Il fatto che voi abbiate mostrato pubblicamente la vostra simpatia per noi tibetani, ha già avuto un impatto positivo sulle vite del nostro popolo all’interno del Tibet. Richiedo il vostro sostegno continuativo in questo momento critico nella storia del nostro Paese.
Grazie.
IL DALAI LAMA