Messaggio di Sua Santità il Dalai Lama per il primo anniversario dell’11 settembre 2001
Gli attacchi terroristici sferrati l’11 settembre 2001 al World Trade Center ed al Pentagono ci hanno profondamente scosso e rattristato. Personalmente considero simili tremende azioni distruttive come atti di odio, dal momento che la violenza è il risultato di emozioni distruttive. Eventi di questo genere mostrano chiaramente che se noi permettiamo che la nostra intelligenza umana sia controllata e guidata da emozioni negative come l’odio, le conseguenze saranno disastrose. E’ molto difficile stabilire come rispondere ad un attacco come questo. Naturalmente chi sta affrontando il problema sarà più competente, ma io sento che è necessario usare grande cura e riflessione, e che appropriato reagire ad un atto di violenza utilizzando i principi della non violenza. Questo è di grande importanza. Gli attacchi sferrati agli Stati Uniti ci hanno scosso, ma nel lungo termine rappresaglie che comportano l’uso di ulteriore violenza potrebbero non costituire la soluzione migliore. Dobbiamo continuare a sviluppare una prospettiva più ampia, ad usare la ragione e ad adoperarci per evitare ulteriori disastri in una maniera non violenta. Questi temi coinvolgono l’intera umanità, non un solo Paese. Dovremmo considerare l’uso della non violenza come misura di lungo termine per controllare ogni sorta di terrorismo. Abbiamo bisogno di una strategia di lungo termine accuratamente predisposta e coordinata. Credo che fino a che esisteranno gli esseri umani avremo sempre conflitti e contrasti di idee; è naturale. Ecco perché per superare queste contraddizioni ci occorre un metodo o un approccio attivo. Nella realtà odierna l’unico modo di risolvere i contrasti passa attraverso il dialogo ed il compromesso, passa per la comprensione umana e l’umiltà. Dobbiamo convincerci che la pace genuina nasce dalla comprensione, rispetto e fiducia reciproci. I problemi ce sorgono entro la società umana dovrebbero trovare soluzioni umanitarie, per le quali a non violenza fornisce l’approccio più adeguato. Non è possibile sconfiggere il terrorismo con l’uso della forza perché in questo modo non si affrontano i complessi problemi che ne stanno alla base; in effetti l’uso della forza non solo non risolve i problemi ma addirittura può peggiorarli, e lascia dietro di sé una scia di distruzione e sofferenza. Analogamente azioni terroristiche, specialmente se violente, non fanno che peggiorare la situazione. Dobbiamo condannare il terrorismo non solo per l’uso che fa della violenza ma anche perché persone innocenti cadono vittime di azioni terroristiche insensate come quelle di cui il mondo è stato testimone l’11 settembre. I conflitti fra gli uomini non sorgono dal nulla; si verificano come risultato di cause e condizioni, molte delle quali sono sotto il controllo dei protagonisti. Qui è importante il ruolo dei leader, a cui spetta la responsabilità di decidere quando agire e quando trattenersi dall’azione. In caso di conflitto è importante adottare le necessarie misure preventive prima che la situazione sfugga al controllo. Una volta che le cause e condizioni che portano a scontri violenti siano pienamente maturate e venute alla luce, è molto difficile controllarle e ristabilire la pace. Senza dubbio la violenza genera ulteriore violenza. Se istintivamente, ogni volta che ci vien fatta violenza, ci vendichiamo, possiamo solo aspettarci che il nostro oppositore si senta giustificato nel vendicarsi a sua volta; ecco come la violenza cresce sempre di più. Le misure preventive e l’astensione devono essere messe in atto fin dai primi momenti; evidentemente i leaders dovranno essere attenti, lungimiranti ed autorevoli. Nel mondo attuale le aspettative riguardo alla guerra sono mutate. Non è più realistico attendersi che il nostro nemico venga completamente distrutto, o di riportare una vittoria totale. Se è per questo, nessun nemico può essere considerato un nemico assoluto. Molte volte abbiamo visto che il nemico di oggi diventa l’alleato di domani, e questo ci mostra chiaramente come le cose sono relative e molto interrelate ed interdipendenti. La nostra sopravvivenza, il successo, il progresso sono molto strettamente legati al benessere degli altri; per conseguenza noi e i nostri nemici siamo ancora molto interdipendenti, sia che li consideriamo nemici dal punto di vista economico, ideologico o politico. La loro distruzione avrebbe un effetto negativo anche su di noi. Così, il concetto stesso di guerra, che non è solo una esperienza di dolore ma contiene anche i semi dell’autodistruzione, non è più appropriato. Analogamente, man mano che l’economia globale si sviluppa, ciascuna nazione diventa in grado maggiore o minore dipendente da ciascun’altra. L’economia moderna, proprio come l’ambiente, non conosce confini. Anche i paesi che sono apertamente ostili l’uno all’altro sono costretti a cooperare nell’utilizzo delle risorse mondiali; per esempio potranno dipendere dagli stessi fiumi o dalle stesse risorse naturali. Maggiore è l’interdipendenza nei rapporti economici, più devono diventare interdipendenti anche le relazioni politiche. Ciò di cui oggi abbiamo bisogno è di educare gli individui e le nazioni, dai bambini fino ai leader politici, per inculcare l’idea che la violenza è controproduttiva, che non è una maniera realistica di risolvere i problemi, e che il dialogo e la comprensione costituiscono gli unici metodi realistici per risolvere le nostre difficoltà. L’anniversario dei tragici avvenimenti dell’11 settembre 2001 ci offre una magnifica opportunità. C’è nel mondo la volontà di contrastare il terrorismo; possiamo usare questo consenso per porre in essere azioni di prevenzione a lungo termine. In definitiva, questo sarà molto più efficace che azioni drammatiche e violente decise in base all’ira o ad altre emozioni distruttive. La tentazione di una risposta violenta è comprensibile, ma un approccio più prudente porterà maggiori frutti.