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Dichiarazione di S.S. Dalai Lama sulla sua Reincarnazione
Ottobre 14th, 2011 by admin

Sua Santità il Dalai Lama: “Quando avrò circa novant’anni, mi consulterò con gli alti Lama delle tradizioni Buddiste Tibetane, con i cittadini tibetani ed altre persone interessate, seguaci del Buddhismo tibetano, per rivalutare se dovrà continuare, oppure no, l’istituzione del Dalai Lama”.

Sua Santità il Dalai Lama: “Quando avrò circa novant’anni, mi consulterò con gli alti Lama delle tradizioni Buddiste Tibetane, con i cittadini tibetani ed altre persone interessate, seguaci del Buddhismo tibetano, per rivalutare se dovrà continuare, oppure no, l’istituzione del Dalai Lama”.

Dichiarazione di Sua Santità il quattordicesimo Dalai Lama, Tenzin Gyatso, sulla questione della sua Reincarnazione

24 settembre 2011

Traduzione provvisoria in lingua italiana dalla versione in lingua inglese pubblicata sul sito web dell’Ufficio di Sua Santità il Dalai Lama, a cura del Dott. Thomas Dana Lloyd con la revisione del Dott. Luciano Villa nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.

Introduzione

Compatrioti tibetani, dentro e fuori del Tibet, tutti coloro che seguono la tradizione buddista tibetana Mahayana, e tutti coloro che hanno un legame con il Tibet e i tibetani: grazie alla preveggenza dei nostri antichi re, ministri e studiosi-iniziati, il completo insegnamento del Buddha, ivi compresi gli insegnamenti delle scritture e delle esperienze dei Tre Veicoli e dei Quattro Rami del Tantra, insieme con gli argomenti e le discipline correlate, hanno avuto una larga fioritura nel Paese delle Nevi. Il Tibet è stato fonte per il mondo rispetto alle tradizioni buddhiste ed alle tradizioni culturali collegate. In particolare, ha contribuito in maniera significativa alla felicità di innumerevoli esseri in Asia, tra cui quelli in Cina, nel Tibet e in Mongolia.
Nel corso del sostegno alla tradizione buddista nel Tibet, abbiamo sviluppato una tradizione tibetana unica nel mondo per il riconoscimento delle reincarnazioni di studiosi-iniziati; tale tradizione è stata di enorme aiuto, sia al Dharma, sia agli esseri senzienti, in particolare alla comunità monastica.
Nel quindicesimo secolo, l’onnisciente Gedun Gyatso fu riconosciuto come reincarnazione di Gedun Drub, e fu istituito il Gaden Phodrang Labrang (l’istituzione del Dalai Lama); da quell’epoca, sono state riconosciute successive reincarnazioni. A Sonam Gyatso, il terzo nella linea di successione, venne conferito il titolo di Dalai Lama. Nel 1642, il quinto Dalai Lama, Ngawang Lobsang Gyatso, istituì il governo del Gaden Phodrang, e divenne il capo spirituale e politico del Tibet. Per oltre 600 anni dal tempo di Gedun Drub, si è riconosciuta una serie inequivocabile di reincarnazioni nel lignaggio del Dalai Lama.

Da 369 anni, sin dal 1642, i Dalai Lama hanno svolto la funzione di capo politico e spirituale del Tibet. Adesso, ho messo fine a tutto questo, spontaneamente, con uno spirito di orgoglio e convinto che possiamo proseguire il sistema di governo democratico che prospera altrove nel mondo. Infatti, sin dal 1969, avevo chiarito che le persone interessate avrebbero dovuto decidere sulla continuazione o meno delle future reincarnazioni del Dalai Lama. Tuttavia, in assenza di linee guida chiare, se il pubblico interessato dovesse esprimere una forte volontà a favore della continuazione dei Dalai Lama, esiste l’evidente rischio dell’abuso del sistema delle reincarnazioni, da parte di forze politiche interessate, per raggiungere i propri scopi politici. Quindi, nel momento in cui io sia sano di corpo e di mente, mi sembra importante la redazione di linee guida per il riconoscimento del prossimo Dalai Lama, in modo da non lasciare spazio a dubbi o ad inganni. Per poter rendere completamente comprensibili tali linee guida, è indispensabile capire il sistema del riconoscimento dei Tulku, e i concetti fondamentali sottostanti. Quindi, segue questa mia breve descrizione.

Vite passate e future
Per accettare la reincarnazione o la realtà dei Tulku, dobbiamo accettare l’esistenza delle vite passate e future. Gli esseri senzienti pervengono in questa vita attuale dalle vite precedenti e rinascono nuovamente dopo la morte. Questo genere di rinascita continua è accettato da tutte le tradizioni spirituali e scuole filosofiche dell’antica India, tranne, i Charvaka, un movimento materialista. Alcuni pensatori moderni negano le vite passate e future, argomentando che non siamo in grado di vederle. Altri non traggono conclusioni così lapidarie in base a tale argomentazione.

Nonostante l’accettazione della rinascita da parte di molte tradizioni religiose, esistono punti di vista diversi su che cos’è che rinasce, come rinasce, e come passa attraverso il periodo transitorio tra due vite. Alcune tradizioni religiose accettano la prospettiva della vita futura, ma respingono l’idea delle vite passate.

In genere, i buddhisti credono che la nascita non abbia inizio, e che, una volta raggiunta la liberazione dal ciclo dell’esistenza tramite il superamento del karma e le emozioni distruttive, non rinasceremo sotto l’impeto di tali condizioni. I buddhisti credono quindi che vi sia una fine al ciclo della rinascita prodotta dal karma e dalle emozioni distruttive; tuttavia, secondo la maggior parte delle scuole filosofiche buddhiste, il continuum mentale non si estingue. Respingere la rinascita passata e futura significherebbe respingere il concetto buddhista della base, del sentiero e del risultato, da spiegare in base alla mente disciplinata o non disciplinata. Se noi accettiamo questa argomentazione, dovremmo logicamente accettare che il mondo e i suoi abitanti siano sorti senza cause e condizioni. Quindi, se siete buddhisti, è necessario accettare il concetto della rinascita passata e futura.

Per coloro i quali ricordano le vite passate, la rinascita è un’esperienza chiara. Tuttavia, la maggior parte degli esseri ordinari, man a mano che attraversano il processo della morte, lo stato intermedio e la rinascita, dimenticano le vite passate. Poiché le rinascite passate e future risultano per loro un pò oscure, dobbiamo utilizzare la logica, sostenuta dall’evidenza, per dimostrare loro la validità del concetto delle rinascita passate e future.

Esistono numerose e diverse argomentazioni logiche presentate nelle parole del Buddha e nei commentari successivi, atte a dimostrare l’esistenza delle vite passate e future. In breve, si riassumono in quattro punti: la logica secondo cui le cose sono precedute da cose di tipo simile; la logica secondo cui le cose sono precedute da una causa sostanziale; la logica secondo cui la mente ha acquisito una dimestichezza con le cose del passato; e la logica di aver sperimentato cose nel passato.

In ultima analisi, tutte queste argomentazioni sono basate sull’idea che la natura della mente, la sua chiarezza e consapevolezza, debbano avere come causa sostanziale la chiarezza e la consapevolezza. La mente non può avere come causa sostanziale un’altra entità come, ad esempio, un oggetto inanimato. Ciò si dimostra da solo. Attraverso l’analisi logica, possiamo dedurre che un nuovo continuum di chiarezza e di consapevolezza non può nascere senza cause, oppure da cause non correlate. Mentre osserviamo che la mente non può essere prodotta in laboratorio, possiamo anche arguire che non ci sia niente in grado di eliminare la continuità della sottile chiarezza e consapevolezza.

Per quanto sappia io, nessuno tra gli attuali psicologi, fisici o neuroscienziati è stato in grado di osservare o di prevedere il sorgere della mente, sia dalla materia, sia senza alcun causa.

Esistono persone capaci di ricordare la loro più recente vita passata, o persino molte vite passate, e sono anche in grado di riconoscere luoghi e parenti risalenti a quelle vite. Non si tratta solo di qualcosa che sia successo nel passato. Anche oggi ci sono molte persone in Oriente e Occidente in grado di ricordare avvenimenti ed esperienze delle proprie vite passate. Negare tali fatti non sarebbe un metodo onesto ed imparziale di svolgere ricerche, perché vorrebbe dire negare queste evidenze. Il sistema tibetano del riconoscimento delle reincarnazioni costituisce un modo autentico d’indagine, basato sui ricordi delle persone rispetto alle proprie vite passate.

Come avviene la rinascita

Ci sono due modi in cui una persona può entrare nella rinascita dopo la morte: la rinascita sotto la spinta del karma e delle emozioni distruttive, e la rinascita attraverso il potere della compassione e della preghiera. Riguardo al primo, dovuto all’ignoranza, viene creato il karma negativo e quello positivo, e restano le impronte sulla coscienza. Tali impronte karmiche vengono riattivate attraverso il desiderio e l’attaccamento, che ci sospingono verso la vita successiva. Allora possiamo rinascere involontariamente nei regni superiori o inferiori. Si tratta del modo in cui gli esseri ordinari girano incessantemente nell’esistenza come se girassero in una ruota. Anche in tali circostanze, gli esseri ordinari possono dedicarsi, con diligenza ed aspirazione positiva, alle pratiche virtuose della vita quotidiana. Si familiarizzano con la virtù, la quale, al momento della morte, potrà essere riattivata, fornendo in tal modo i mezzi che consentono loro la rinascita in un regno superiore dell’esistenza. D’altronde, i Bodhisattva superiori, che hanno raggiunto il sentiero della veggenza, non rinascono attraverso la forza del proprio karma e le emozioni distruttive, ma per il potere della loro compassione per gli esseri senzienti, e in base alle loro preghiere di potere essere di beneficio agli altri. Sono in grado di scegliere il luogo e il momento della nascita oltre ai futuri genitori. Questo genere di rinascita, per il solo beneficio degli altri, è la rinascita attraverso la forza della compassione e della preghiera.

Il significato di Tulku

Pare che la consuetudine tibetana, di attribuire il titolo di ‘Tulku’ (Corpo di Emanazione del Buddha) alle reincarnazioni riconosciute, risalga all’epoca in cui i devoti lo utilizzavano come titolo onorario, ma da allora è diventato un termine comune. In genere, il termine Tulku si riferisce ad un aspetto particolare del Buddha, uno dei tre o quattro aspetti descritti nel Veicolo dei Sutra. Secondo questa spiegazione degli aspetti del Buddha, una persona totalmente imprigionata dalle emozioni distruttive e dal karma possiede la potenzialità di raggiungere il Corpo di Verità (Dharmakaya), che comprende il Corpo della Verità di Saggezza ed il Corpo di Natura della Verità. Il primo si riferisce alla mente illuminata di un Buddha, che in un istante vede direttamente e nitidamente ogni cosa, così com’è. E’ stato ripulito da tutte le emozioni distruttive, nonché le relative impronte, attraverso l’accumularsi in un lungo periodo di tempo di meriti e saggezza. Il secondo, il Corpo di Natura della Verità, si riferisce alla natura vuota di quella mente illuminata ed onnisciente. Presi insieme, si tratta di due aspetti dei Buddha per loro stessi. Tuttavia, non essendo direttamente accessibili agli altri, ma solo ai Buddha stessi, è indispensabile che i Buddha si manifestino in forme fisiche che siano accessibili agli esseri senzienti, in modo da poterli aiutare. Quindi, il supremo aspetto fisico di un Buddha è il Corpo di Completo Godimento (Sambhogakaya), il quale è accessibile ai Bodhisattva superiori, e possiede cinque qualifiche precise, come quella di risiedere nel Paradiso di Akanishta. Dal Corpo di Completo Godimento si manifesta una miriade di Corpi di Emanazione, ovvero i Tulku (Nirmanakaya), dei Buddha; essi appaiono come divinità o come umani e sono accessibili anche agli esseri ordinari. Questi due aspetti fisici del Buddha vengono definiti Corpi delle Forma, formatisi per gli altri.

Il Corpo di Emanazione è di triplice natura: a) il Supremo Corpo di Emanazione, il Buddha Shakyamuni, il Buddha storico, che manifestò le dodici azioni di un Buddha come la nascita in un luogo da lui prescelto e così via; b) il Corpo Artistico di Emanazione al servizio degli altri, manifestandosi come artigiani, artisti e così via; e c) il Corpo Incarnato di Emanazione, secondo cui i Buddha si manifestano in varie forme, come esseri umani, divinità, fiumi, ponti, piante medicinali ed alberi per poter aiutare gli esseri senzienti. Di questi tre tipi di Corpo di Emanazione, le reincarnazioni dei maestri spirituali riconosciuti e denominati in Tibet col termine di ‘Tulku’, appartengono alla terza categoria. Tra questi Tulku possono essercene molti che sono incarnazioni, veramente qualificate, dei Corpi di Emanazione dei Buddha, ma ciò non si applica necessariamente a tutti. Tra i Tulku del Tibet ci possono essere coloro che siano reincarnazioni di Bodhisattva superiori, di Bodhisattva sui sentieri dell’accumulo e della preparazione, oltre a maestri i quali devono evidentemente ancora entrare in questi sentieri del Bodhisattva. Quindi, il titolo di Tulku viene conferito a lama reincarnati o in base alla loro assomiglianza agli esseri illuminati, o attraverso il loro collegamento a certe qualità degli esseri illuminati.

Come disse Jamyang Khyentse Wangpo:

La reincarnazione è quello che avviene quando qualcuno rinasce dopo il trapasso del predecessore; l’emanazione è costituita dalle manifestazioni senza il trapasso della fonte”.

Il riconoscimento delle Reincarnazioni

La pratica del riconoscimento del singolo attraverso l’individuazione della sua vita precedente esisteva persino quando era in vita Buddha Shakyamuni. Si trovano molti racconti nelle quattro sezioni Agama del Vinaya Pitaka, i racconti di Jataka, il Sutra dei Saggi e degli Sciocchi, il Sutra dei Cento Karma e così via, in cui il Tathagata rivelava le modalità di funzionamento del karma, raccontando innumerevoli storie su come gli effetti di certi tipi di karma creati in una vita passata si sperimentano nella vita attuale della persona. Inoltre, nelle biografie dei maestri indiani vissuti dopo il Buddha, molti svelano i precedenti luoghi di nascita. Ci sono molti racconti del genere, ma era assente in India il sistema del riconoscimento e della numerazione delle loro reincarnazioni.

Il sistema del riconoscimento reincarnazioni nel Tibet

Ancora prima dell’arrivo del Buddhismo, le tradizione tibetana Bon affermava l’esistenza delle vite passate e future. In Tibet, dalla diffusione del Buddhismo in poi, praticamente tutti i tibetani credono alle vite passate e future. Fioriva ovunque in Tibet la ricerca di numerosi maestri spirituali sostenitori del Dharma, come pure la consuetudine d’indirizzare loro preghiere con devozione. In molte scritture autentiche, libri tibetani autoctoni come il Mani Kabum ed i Quintuplici Insegnamenti del Kathang ed altri ancora, come i Libri dei Discepoli di Kadam e la Ghirlanda del Gioiello, che nell’undicesimo secolo furono tramandati dal glorioso ed incomparabile maestro indiano Dipankara Atisha in Tibet, si racconta delle reincarnazioni di Arya Avalokiteshvara, il Bodhisattva della compassione. Tuttavia, l’attuale tradizione del riconoscimento formale delle reincarnazioni dei maestri risale ai primi anni del 13° secolo, col riconoscimento, da parte dei suoi discepoli, di Karmapa Pagshi come reincarnazione di Karmapa Dusum Khyenpa, in conformità con la predizione del maestro. Da allora, in oltre novecento anni, ci sono state diciassette incarnazioni del Karmapa. Parimenti, nel quindicesimo secolo, sin dal riconoscimento di Kunga Sangmo come reincarnazione di Khandro Choekyi Dronme, ci sono state oltre dieci reincarnazioni di Samding Dorje Phagmo. Tra i Tulku riconosciuti nel Tibet, ci sono monaci e praticanti tantrici laici, maschi e femmine. Questo sistema di riconoscimento delle reincarnazioni si è diffuso progressivamente nel Tibet tra le altre tradizioni buddhiste tibetane e tra i Bon. Oggi, ci sono Tulku riconosciuti in tutte le Tradizioni buddhiste tibetane, tra i Sakya, i Geluk,i Kagyu e i Nyingma, oltre ai Jonang e Bodong, che servono il Dharma. Inoltre, è evidente che tra questi Tulku alcuni sono un obbrobrio.

L’onnisciente Gedun Drub, un discepolo diretto di Je Tsongkhapa, fondò il Monastero di Tashi Lhunpo nello Tsang e si prese cura dei suoi allievi. Lasciò il corpo nel 1474 all’età di 84 anni. Sebbene non si facesse, all’inizio, alcuno sforzo per individuare la sua reincarnazione, la gente fu costretta a riconoscere un bambino di nome Sangye Chophel, nato a Tanak, nello Tsang (1476) a causa di quello che diceva sui propri ricordi sorprendenti e senza errori della vita passata. Da allora si affermò la tradizione di cercare e di riconoscere le successive reincarnazioni del Dalai Lama da parte del Gaden Phodrang Labrang e, successivamente, da parte del governo del Gaden Phodrang.
I modi per riconoscere le reincarnazioni
Una volta sorto il sistema del riconoscimento dei Tulku, si sono sviluppate e cresciute le varie procedure da seguire. Tra queste, alcune delle procedure più importanti si basano sulle lettere predittive ed altre istruzioni emesse dal predecessore, ed altre indicazioni che potrebbero presentarsi; sull’affidabilità del racconto del reincarnato sulla proprio vita precedente ed il fatto di parlarne; l’individuazione dei beni appartenuti al predecessore ed il riconoscimento di persone che gli erano state vicine. A parte questi metodi, ve ne sono altri ancora come: rivolgersi a maestri spirituali affidabili per chiederne la divinazione; ricercare le previsioni degli oracoli mondani, che si presentano ai medium in stato di trance; osservare le visioni dei protettori che si manifestano nei laghi sacri, come il Lhamoi Latso, un lago sacro a sud di Lhasa.

Quando capita che ci siano diversi candidati per il riconoscimento come Tulku, e diventa difficile decidere, esiste la pratica di giungere alla decisione finale mediante la divinazione: attraverso il metodo della palla di farina (zen tak) davanti ad un’immagine sacra, mentre si invoca il potere della verità.

L’emanazione prima del trapasso del predecessore (ma-dhey tulku)
Di solito, una reincarnazione avviene quando qualcuno rinasce come essere umano dopo il trapasso. In genere gli esseri senzienti ordinari non sono in grado di manifestare un’emanazione prima del decesso (ma-dhey tulku), ma i Bodhisattva superiori possono manifestare l’emanazione prima della dipartita, e sono in grado di manifestarsi contemporaneamente in centinaia od in migliaia di corpi. All’interno del sistema tibetano del riconoscimento dei Tulku, vi sono emanazioni che appartengono allo stesso continuum mentale del predecessore, emanazioni che sono collegate ad altre attraverso il potere del karma e delle preghiere e vi sono emanazioni che vengono in conseguenza di benedizioni e su designazione.

Lo scopo principale della manifestazione di una reincarnazione è di continuare il lavoro incompiuto del predecessore al servizio del Dharma e degli esseri. Nel caso di un Lama, che è un essere ordinario, anziché sperimentare una reincarnazione all’interno dello stesso continuum mentale, potrebbe essere riconosciuto qualcun altro che abbia legami con quel Lama attraverso il karma puro e le preghiere, come l’emanazione di quel Lama. In alternativa, il Lama potrebbe nominare un successore: un suo discepolo, oppure una persona giovane da riconoscere come la sua emanazione. Poiché sono possibili queste soluzioni nel caso di un essere ordinario, è fattibile un’emanazione prima della morte che non appartenga allo stesso continuum mentale. In alcuni casi, un alto Lama potrebbe avere contemporaneamente diverse reincarnazioni, come ad esempio: incarnazioni del corpo, della parola, della mente e così via. In tempi recenti, ci sono stati noti casi di emanazioni prima della morte, come Dudjom Jigdral Yeshe Dorje e Chogye Trichen Ngawang Khyenrab.

L’impiego dell’Urna d’Oro

Con il progressivo peggioramento di quest’epoca degenerata, e mentre sono sempre più numerosi i riconoscimenti di alti Lama, alcuni di essi per motivi politici, sono sempre più numerosi i riconoscimenti attraverso modalità inappropriate e dubbiose, fenomeno che ha arrecato enormi danni al Dharma.

Durante il conflitto tra il Tibet e i Gurkha (1791-93) il Governo tibetano dovette invocare l’appoggio militare dei Manciù. Di conseguenza, fu espulso dal Tibet l’esercito dei Gurkha, ma in seguito i funzionari Manciù fecero una proposta di 29 punti col pretesto di rendere più efficiente l’amministrazione del Governo tibetano. Tale proposta comprendeva il suggerimento di tirare a sorte da un’Urna d’Oro per decidere il riconoscimento delle reincarnazioni dei Dalai Lama, dei Panchen Lama e degli Hutuktu, un titolo mongolo conferito agli alti Lama. Quindi, questa procedura fu utilizzata nel caso del riconoscimento di alcune reincarnazioni del Dalai Lama, del Panchen Lama di altri alti Lama. Il rito da seguire fu scritto dall’Ottavo Dalai Lama, Jampel Gyatso. Anche dopo l’introduzione di questo sistema, la procedura non fu utilizzata per il Nono e il Tredicesimo Dalai Lama, né per me, il Quattordicesimo Dalai Lama.

Anche nel caso del Decimo Dalai Lama, la reincarnazione autentica era già stato individuato e, in realtà, questa procedura non fu eseguita, ma per compiacere i Manciù si limitarono ad annunciare che la procedura era stata seguita.

Il sistema dell’Urna d’Oro fu effettivamente utilizzato solo nei casi dell’Undicesimo e del Dodicesimo Dalai Lama. Tuttavia, il Dodicesimo Dalai Lama era già stato riconosciuto prima dell’utilizzo della procedura. Quindi, in una sola occasione, un Dalai Lama fu riconosciuto tramite questo metodo. Parimenti, questo metodo non è mai stato utilizzato per le reincarnazioni del Panchen Lama, a parte l’Ottavo ed il Nono. Il sistema fu imposto dai Manciù, ma i tibetani non nutrivano alcuna fiducia perché mancava di ogni qualità spirituale. Tuttavia, se dovesse essere impiegato in maniera onesta, pare che si potesse considerare simile al metodo di divinazione in cui si utilizza la palla di farina (zen tak).

Nel 1880, durante il riconoscimento del Tredicesimo Dalai Lama come la reincarnazione del Dodicesimo, persistevano ancora tracce di un tipo di rapporto sacerdote-sovrano tra il Tibet e i Manciù. Egli fu riconosciuto come l’inequivocabile reincarnazione sia dall’Ottavo Panchen Lama, sia dalle divinazioni degli oracoli di Nechung e Samye, che attraverso l’osservazione delle visioni apparse nel lago Lhamoi Latso: quindi non si eseguì la procedura dell’Urna d’Oro. Ciò emerge chiaramente dell’ultimo testamento del Tredicesimo Dalai Lama, dell’anno della Scimmia d’Acqua (1933), in cui affermava:

Come tutti voi sapete, non sono stato selezionato secondo il modo consuetudinario di tirare a sorte nell’urna d’oro, ma la mia selezione fu prevista ed individuata attraverso la divinazione. In base a queste divinazioni e profezie, fui riconosciuto come la reincarnazione del Dalai Lama e intronizzato”.

Nel momento del mio riconoscimento nel 1939 come la Quattordicesima incarnazione del Dalai Lama, si era già concluso il rapporto sacerdote-sovrano tra il Tibet e la Cina. Quindi, non vi fu alcun bisogno di confermare la reincarnazione con l’utilizzo dell’Urna d’Oro. E’ noto che l’allora Reggente del Tibet e l’Assemblea nazionale tibetana avevano seguito la procedura del riconoscimento della reincarnazione del Dalai Lama, tenendo conto delle previsioni degli alti Lama e degli oracoli ed anche delle visioni apparse nel lago Lhamoi Latso; non vi fu alcun coinvolgimento cinese. Ciò nonostante, in un secondo momento, alcuni preoccupati funzionari del Guomintang diffusero in modo furbesco delle menzogne sui giornali, sostenendo di aver consentito alla rinuncia all’Urna d’Oro e che Wu Chung-tsin aveva presieduto alla mia intronizzazione, e così via. Questa menzogna fu svelato da Ngabo Ngawang Jigme, Vice presidente del Comitato in carica del Congresso Nazionale del Popolo, persona considerata come molto progressista dalla Repubblica Popolare Cinese, nel corso della Seconda Sessione del Quinto Congresso Popolare della Regione Autonoma del Tibet (31 luglio 1989). Ciò è chiaro nel momento in cui, alla fine del discorso, esponendo una dettagliata spiegazione dell’accaduto e presentando testimonianze documentari, chiese: “Pertanto, quale bisogno c’è che il Partito Comunista debba inseguire e continuare le menzogne del Guomintang?”

Strategie ingannevoli e false speranze

Nel recente passato, ci sono stati casi di gestori irresponsabili di ricchi patrimoni di Lama che hanno fatto ricorso a metodi impropri per il riconoscimento delle reincarnazioni; tali pratiche hanno minato il Dharma, la comunità monastica ed la nostra società. Inoltre, sin dall’epoca Manciù, le autorità politiche cinesi, mentre si occupavano delle vicende tibetane e mongole, hanno utilizzato ripetutamente dei mezzi ingannevoli, servendosi del Buddhismo, dei maestri buddhisti e dei Tulku come strumenti per raggiungere i loro scopi politici. Oggi, i capi autoritari della Repubblica Popolare Cinese – i quali, in quanto comunisti, negano la religione, ma ciò nonostante si occupano di affari religiosi – hanno imposto la cosiddetta campagna di rieducazione, con l’emanazione della cosiddetta ordinanza n. 5 in merito al controllo ed al riconoscimento delle reincarnazioni, in vigore dal 1 settembre 2007. Si tratta di un atto oltraggioso e vergognoso. L’imposizione di vari metodo non appropriati per il riconoscimento delle reincarnazioni, allo scopo di eliminare le nostre tradizioni culturali tibetane, uniche al mondo, sta provocando danni ai quali sarà difficile rimediare.

Inoltre, dicono che stanno aspettando la mia morte e che riconosceranno un Quindicesimo Dalai Lama di loro scelta. Dalle recenti regole e norme e dalle dichiarazioni successive risulta chiara l’esistenza di una loro strategia articolata per ingannare i tibetani, i seguaci della tradizione buddista tibetana e la comunità internazionale. Quindi, vista la mia responsabilità di proteggere il Dharma e gli esseri senzienti, e di contrastare questi piani dannosi, rendo la seguente dichiarazione.

La prossima incarnazione del Dalai Lama

Come accennavo prima, la reincarnazione è un fenomeno che si dovrebbe manifestare o per la libera scelta della persona in questione, o quantomeno in base alla forza del suo karma, dei meriti e delle preghiere. Quindi, la persona che si reincarna possiede la sola autorità legittima su dove e come lui o lei debbano rinascere e su come andrà riconosciuta quella reincarnazione. Si tratta di una realtà rispetto a cui nessun altro è in grado di costringere la persona in questione o di manipolare quella persona. In modo particolare, è inappropriato che i comunisti cinesi, che respingono esplicitamente persino l’idea delle vite passate e future, per non parlare del concetto dei Tulku reincarnati, possano fare delle ingerenze nel sistema delle reincarnazioni ed in modo particolare nelle reincarnazioni dei Dalai Lama e dei Panchen Lama. Tale sfacciata ingerenza è in contrasto con la loro stessa ideologia politica, e svela il ricorso a doppi pesi e misure. Se tale situazione dovesse permanere in futuro, per i tibetani e per i seguaci della tradizione buddista tibetana risulterà impossibile riconoscerla od accettarla.

Quando avrò circa novant’anni, mi consulterò con gli alti Lama delle tradizioni Buddiste Tibetane, con i cittadini tibetani ed altre persone interessate, seguaci del Buddhismo tibetano, per rivalutare se dovrà continuare, oppure no, l’istituzione del Dalai Lama. Prenderemo la nostra decisione su tale base. Se si dovesse decidere che la reincarnazione del Dalai Lama debba continuare, e ci sarà bisogno del riconoscimento di un Quindicesimo Dalai Lama, la responsabilità di tale atto spetterà in primo luogo ai funzionari del Gaden Phodrang Trust del Dalai Lama. Essi dovrebbero consultarsi con i vari capi delle tradizioni buddhiste tibetane e gli affidabili Protettori del Dharma, costretti al giuramento e legati inscindibilmente al lignaggio dei Dalai Lama. Essi dovrebbero cercare consigli ed istruzioni da questi esseri interessati, e dovrebbero svolgere le procedure per le ricerca e il riconoscimento in conformità alla tradizione del passato. Lascerò istruzioni chiare per iscritto riguardo a questo. Si tenga presente che, a parte la reincarnazione riconosciuta attraverso tali metodi legittime, non si dovrà accordare alcun riconoscimento o accettazione ad un candidato scelto per scopi politici da chicchessia, ivi comprese persone nella Repubblica Popolare Cinese.

Il Dalai Lama

Dharamsala, 24 settembre 2011

Colophon

Questa prima bozza di traduzione, a cura del Dott. Thomas Dana Lloyd con la revisione del Dott. Luciano Villa nell’ambito del Progetto “Free Dalai Lama’s Teachings”, per il beneficio di tutti gli esseri senzienti, è da ritenersi provvisoria, con possibili errori nonché imperfezioni, anche rilevanti, e non rappresenta affatto una traduzione letterale o professionale del testo di Sua Santità il Dalai Lama espresso in inglese (tradotto dal tibetano) nel sito web di http://www.dalailama.com/news/post/746-statement-of-his-holiness-the-fourteenth-dalai-lama-tenzin-gyatso-on-the-issue-of-his-reincarnation, ma semplicemente un limitato spunto di riflessione.

Statement of His Holiness the Fourteenth Dalai Lama, Tenzin Gyatso, on the Issue of His Reincarnation

September 24th 2011

(Translated from the Tibetan)

Introduction

My fellow Tibetans, both in and outside Tibet, all those who follow the Tibetan Buddhist tradition, and everyone who has a connection to Tibet and Tibetans: due to the foresight of our ancient kings, ministers and scholar-adepts, the complete teaching of the Buddha, comprising the scriptural and experiential teachings of the Three Vehicles and the Four Sets of Tantra and their related subjects and disciplines flourished widely in the Land of Snow. Tibet has served as a source of Buddhist and related cultural traditions for the world. In particular, it has contributed significantly to the happiness of countless beings in Asia, including those in China, Tibet and Mongolia.
In the course of upholding the Buddhist tradition in Tibet, we evolved a unique Tibetan tradition of recognizing the reincarnations of scholar-adepts that has been of immense help to both the Dharma and sentient beings, particularly to the monastic community.
Since the omniscient Gedun Gyatso was recognized and confirmed as the reincarnation of Gedun Drub in the fifteenth century and the Gaden Phodrang Labrang (the Dalai Lama’s institution) was established, successive reincarnations have been recognized. The third in the line, Sonam Gyatso, was given the title of the Dalai Lama. The Fifth Dalai Lama, Ngawang Lobsang Gyatso, established the Gaden Phodrang Government in 1642, becoming the spiritual and political head of Tibet. For more than 600 years since Gedun Drub, a series of unmistaken reincarnations has been recognised in the lineage of the Dalai Lama.

The Dalai Lamas have functioned as both the political and spiritual leaders of Tibet for 369 years since 1642. I have now voluntarily brought this to an end, proud and satisfied that we can pursue the kind of democratic system of government flourishing elsewhere in the world. In fact, as far back as 1969, I made clear that concerned people should decide whether the Dalai Lama’s reincarnations should continue in the future. However, in the absence of clear guidelines, should the concerned public express a strong wish for the Dalai Lamas to continue, there is an obvious risk of vested political interests misusing the reincarnation system to fulfil their own political agenda. Therefore, while I remain physically and mentally fit, it seems important to me that we draw up clear guidelines to recognise the next Dalai Lama, so that there is no room for doubt or deception. For these guidelines to be fully comprehensible, it is essential to understand the system of Tulku recognition and the basic concepts behind it. Therefore, I shall briefly explain them below.

Past and future lives

In order to accept reincarnation or the reality of Tulkus, we need to accept the existence of past and future lives. Sentient beings come to this present life from their previous lives and take rebirth again after death. This kind of continuous rebirth is accepted by all the ancient Indian spiritual traditions and schools of philosophy, except the Charvakas, who were a materialist movement. Some modern thinkers deny past and future lives on the premise that we cannot see them. Others do not draw such clear cut conclusions on this basis.

Although many religious traditions accept rebirth, they differ in their views of what it is that is reborn, how it is reborn, and how it passes through the transitional period between two lives. Some religious traditions accept the prospect of future life, but reject the idea of past lives.

Generally, Buddhists believe that there is no beginning to birth and that once we achieve liberation from the cycle of existence by overcoming our karma and destructive emotions, we will not be reborn under the sway of these conditions. Therefore, Buddhists believe that there is an end to being reborn as a result of karma and destructive emotions, but most Buddhist philosophical schools do not accept that the mind-stream comes to an end. To reject past and future rebirth would contradict the Buddhist concept of the ground, path and result, which must be explained on the basis of the disciplined or undisciplined mind. If we accept this argument, logically, we would also have to accept that the world and its inhabitants come about without causes and conditions. Therefore, as long as you are a Buddhist, it is necessary to accept past and future rebirth.

For those who remember their past lives, rebirth is a clear experience. However, most ordinary beings forget their past lives as they go through the process of death, intermediate state and rebirth. As past and future rebirths are slightly obscure to them, we need to use evidence-based logic to prove past and future rebirths to them.

There are many different logical arguments given in the words of the Buddha and subsequent commentaries to prove the existence of past and future lives. In brief, they come down to four points: the logic that things are preceded by things of a similar type, the logic that things are preceded by a substantial cause, the logic that the mind has gained familiarity with things in the past, and the logic of having gained experience of things in the past.

Ultimately all these arguments are based on the idea that the nature of the mind, its clarity and awareness, must have clarity and awareness as its substantial cause. It cannot have any other entity such as an inanimate object as its substantial cause. This is self-evident. Through logical analysis we infer that a new stream of clarity and awareness cannot come about without causes or from unrelated causes. While we observe that mind cannot be produced in a laboratory, we also infer that nothing can eliminate the continuity of subtle clarity and awareness.

As far as I know, no modern psychologist, physicist, or neuroscientist has been able to observe or predict the production of mind either from matter or without cause.

There are people who can remember their immediate past life or even many past lives, as well as being able to recognise places and relatives from those lives. This is not just something that happened in the past. Even today there are many people in the East and West, who can recall incidents and experiences from their past lives. Denying this is not an honest and impartial way of doing research, because it runs counter to this evidence. The Tibetan system of recognising reincarnations is an authentic mode of investigation based on people’s recollection of their past lives.

How rebirth takes place

There are two ways in which someone can take rebirth after death: rebirth under the sway of karma and destructive emotions and rebirth through the power of compassion and prayer. Regarding the first, due to ignorance negative and positive karma are created and their imprints remain on the consciousness. These are reactivated through craving and grasping, propelling us into the next life. We then take rebirth involuntarily in higher or lower realms. This is the way ordinary beings circle incessantly through existence like the turning of a wheel. Even under such circumstances ordinary beings can engage diligently with a positive aspiration in virtuous practices in their day-to-day lives. They familiarise themselves with virtue that at the time of death can be reactivated providing the means for them to take rebirth in a higher realm of existence. On the other hand, superior Bodhisattvas, who have attained the path of seeing, are not reborn through the force of their karma and destructive emotions, but due to the power of their compassion for sentient beings and based on their prayers to benefit others. They are able to choose their place and time of birth as well as their future parents. Such a rebirth, which is solely for the benefit of others, is rebirth through the force of compassion and prayer.

The meaning of Tulku

It seems the Tibetan custom of applying the epithet ‘Tulku’ (Buddha’s Emanation Body) to recognized reincarnations began when devotees used it as an honorary title, but it has since become a common expression. In general, the term Tulku refers to a particular aspect of the Buddha, one of the three or four described in the Sutra Vehicle. According to this explanation of these aspects of the Buddha, a person who is totally bound by destructive emotions and karma has the potential to achieve the Truth Body (Dharmakaya), comprising the Wisdom Truth Body and Nature Truth Body. The former refers to the enlightened mind of a Buddha, which sees everything directly and precisely, as it is, in an instant. It has been cleared of all destructive emotions, as well as their imprints, through the accumulation of merit and wisdom over a long period of time. The latter, the Nature Truth Body, refers to the empty nature of that all-knowing enlightened mind. These two together are aspects of the Buddhas for themselves. However, as they are not directly accessible to others, but only amongst the Buddhas themselves, it is imperative that the Buddhas manifest in physical forms that are accessible to sentient beings in order to help them. Hence, the ultimate physical aspect of a Buddha is the Body of Complete Enjoyment (Sambhogakaya), which is accessible to superior Bodhisattvas, and has five definite qualifications such as residing in the Akanishta Heaven. And from the Body of Complete Enjoyment are manifested the myriad Emanation Bodies or Tulkus (Nirmanakaya), of the Buddhas, which appear as gods or humans and are accessible even to ordinary beings. These two physical aspects of the Buddha are termed Form Bodies, which are meant for others.

The Emanation Body is three-fold: a) the Supreme Emanation Body like Shakyamuni Buddha, the historical Buddha, who manifested the twelve deeds of a Buddha such as being born in the place he chose and so forth; b) the Artistic Emanation Body which serves others by appearing as craftsmen, artists and so on; and c) the Incarnate Emanation Body, according to which Buddhas appear in various forms such as human beings, deities, rivers, bridges, medicinal plants, and trees to help sentient beings. Of these three types of Emanation Body, the reincarnations of spiritual masters recognized and known as ‘Tulkus’ in Tibet come under the third category. Among these Tulkus there may be many who are truly qualified Incarnate Emanation Bodies of the Buddhas, but this does not necessarily apply to all of them. Amongst the Tulkus of Tibet there may be those who are reincarnations of superior Bodhisattvas, Bodhisattvas on the paths of accumulation and preparation, as well as masters who are evidently yet to enter these Bodhisattva paths. Therefore, the title of Tulku is given to reincarnate Lamas either on the grounds of their resembling enlightened beings or through their connection to certain qualities of enlightened beings.

As Jamyang Khyentse Wangpo said:

Reincarnation is what happens when someone takes rebirth after the predecessor’s passing away; emanation is when manifestations take place without the source’s passing away.”

Recognition of Reincarnations

The practice of recognizing who is who by identifying someone’s previous life occurred even when Shakyamuni Buddha himself was alive. Many accounts are found in the four Agama Sections of the Vinaya Pitaka, the Jataka Stories, the Sutra of the Wise and Foolish, the Sutra of One Hundred Karmas and so on, in which the Tathagata revealed the workings of karma, recounting innumerable stories about how the effects of certain karmas created in a past life are experienced by a person in his or her present life. Also, in the life stories of Indian masters, who lived after the Buddha, many reveal their previous places of birth. There are many such stories, but the system of recognizing and numbering their reincarnations did not occur in India.

The system of recognizing reincarnations in Tibet

Past and future lives were asserted in the indigenous Tibetan Bon tradition before the arrival of Buddhism. And since the spread of Buddhism in Tibet, virtually all Tibetans have believed in past and future lives. Investigating the reincarnations of many spiritual masters who upheld the Dharma, as well as the custom of praying devotedly to them, flourished everywhere in Tibet. Many authentic scriptures, indigenous Tibetan books such as the Mani Kabum and the Fivefold Kathang Teachings and others like the The Books of Kadam Disciples and the Jewel Garland: Responses to Queries, which were recounted by the glorious, incomparable Indian master Dipankara Atisha in the 11th century in Tibet, tell stories of the reincarnations of Arya Avalokiteshvara, the Bodhisattva of compassion. However, the present tradition of formally recognizing the reincarnations of masters first began in the early 13th century with the recognition of Karmapa Pagshi as the reincarnation of Karmapa Dusum Khyenpa by his disciples in accordance with his prediction. Since then, there have been seventeen Karmapa incarnations over more than nine hundred years. Similarly, since the recognition of Kunga Sangmo as the reincarnation of Khandro Choekyi Dronme in the 15th century there have been more than ten incarnations of Samding Dorje Phagmo. So, among the Tulkus recognized in Tibet there are monastics and lay tantric practitioners, male and female. This system of recognizing the reincarnations gradually spread to other Tibetan Buddhist traditions, and Bon, in Tibet. Today, there are recognized Tulkus in all the Tibetan Buddhist traditions, the Sakya, Geluk, Kagyu and Nyingma, as well as Jonang and Bodong, who serve the Dharma. It is also evident that amongst these Tulkus some are a disgrace.

The omniscient Gedun Drub, who was a direct disciple of Je Tsongkhapa, founded Tashi Lhunpo Monastery in Tsang and took care of his students. He passed away in 1474 at the age of 84. Although initially no efforts were made to identify his reincarnation, people were obliged to recognize a child named Sangye Chophel, who had been born in Tanak, Tsang (1476), because of what he had to say about his amazing and flawless recollections of his past life. Since then, a tradition began of searching for and recognizing the successive reincarnations of the Dalai Lamas by the Gaden Phodrang Labrang and later the Gaden Phodrang Government.

The ways of recognizing reincarnations

After the system of recognizing Tulkus came into being, various procedures for going about it began to develop and grow. Among these some of the most important involve the predecessor’s predictive letter and other instructions and indications that might occur; the reincarnation’s reliably recounting his previous life and speaking about it; identifying possessions belonging to the predecessor and recognizing people who had been close to him. Apart from these, additional methods include asking reliable spiritual masters for their divination as well as seeking the predictions of mundane oracles, who appear through mediums in trance, and observing the visions that manifest in sacred lakes of protectors like Lhamoi Latso, a sacred lake south of Lhasa.

When there happens to be more than one prospective candidate for recognition as a Tulku, and it becomes difficult to decide, there is a practice of making the final decision by divination employing the dough-ball method (zen tak) before a sacred image while calling upon the power of truth.

Emanation before the passing away of the predecessor (ma-dhey tulku)

Usually a reincarnation has to be someone’s taking rebirth as a human being after previously passing away. Ordinary sentient beings generally cannot manifest an emanation before death (ma-dhey tulku), but superior Bodhisattvas, who can manifest themselves in hundreds or thousands of bodies simultaneously, can manifest an emanation before death. Within the Tibetan system of recognizing Tulkus there are emanations who belong to the same mind-stream as the predecessor, emanations who are connected to others through the power of karma and prayers, and emanations who come as a result of blessings and appointment.

The main purpose of the appearance of a reincarnation is to continue the predecessor’s unfinished work to serve Dharma and beings. In the case of a Lama who is an ordinary being, instead of having a reincarnation belonging to the same mind-stream, someone else with connections to that Lama through pure karma and prayers may be recognized as his or her emanation. Alternatively it is possible for the Lama to appoint a successor who is either his disciple or someone young who is to be recognized as his emanation. Since these options are possible in the case of an ordinary being, an emanation before death that is not of the same mind-stream is feasible. In some cases one high Lama may have several reincarnations simultaneously, such as incarnations of body, speech and mind and so on. In recent times, there have been well-known emanations before death such as Dudjom Jigdral Yeshe Dorje and Chogye Trichen Ngawang Khyenrab.

Using the Golden Urn

As the degenerate age gets worse, and as more reincarnations of high Lamas are being recognized, some of them for political motives, increasing numbers have been recognized through inappropriate and questionable means, as a result of which huge damage has been done to the Dharma.

During the conflict between Tibet and the Gurkhas (1791-93) the Tibetan Government had to call on Manchu military support. Consequently the Gurkha military was expelled from Tibet, but afterwards Manchu officials made a 29-point proposal on the pretext of making the Tibetan Government’s administration more efficient. This proposal included the suggestion of picking lots from a Golden Urn to decide on the recognition of the reincarnations of the Dalai Lamas, Panchen Lamas and Hutuktus, a Mongolian title given to high Lamas. Therefore, this procedure was followed in the case of recognizing some reincarnations of the Dalai Lama, Panchen Lama and other high Lamas. The ritual to be followed was written by the Eighth Dalai Lama Jampel Gyatso.  Even after such a system had been introduced, this procedure was dispensed with for the Ninth, Thirteenth and myself, the Fourteenth Dalai Lama.

Even in the case of the Tenth Dalai Lama, the authentic reincarnation had already been found and in reality this procedure was not followed, but in order to humour the Manchus it was merely announced that this procedure had been observed.

The Golden Urn system was actually used only in the cases of the Eleventh and Twelfth Dalai Lamas. However, the Twelfth Dalai Lama had already been recognized before the procedure was employed. Therefore, there has only been one occasion when a Dalai Lama was recognized by using this method. Likewise, among the reincarnations of the Panchen Lama, apart from the Eighth and the Ninth, there have been no instances of this method being employed. This system was imposed by the Manchus, but Tibetans had no faith in it because it lacked any spiritual quality. However, if it were to be used honestly, it seems that we could consider it as similar to the manner of divination employing the dough-ball method (zen tak).

In 1880, during the recognition of the Thirteenth Dalai Lama as the reincarnation of the Twelfth, traces of the Priest-Patron relationship between Tibet and the Manchus still existed. He was recognized as the unmistaken reincarnation by the Eighth Panchen Lama, the predictions of the Nechung and Samye oracles and by observing visions that appeared in Lhamoi Latso, therefore the Golden Urn procedure was not followed. This can be clearly understood from the Thirteenth Dalai Lama’s final testament of the Water-Monkey Year (1933) in which he states:

“As you all know, I was selected not in the customary way of picking lots from the golden urn, but my selection was foretold and divined. In accordance with these divinations and prophecies I was recognized as the reincarnation of the Dalai Lama and enthroned.”

When I was recognized as the Fourteenth incarnation of the Dalai Lama in 1939, the Priest-Patron relationship between Tibet and China had already come to an end. Therefore, there was no question of any need to confirm the reincarnation by employing the Golden Urn. It is well-known that the then Regent of Tibet and the Tibetan National Assembly had followed the procedure for recognizing the Dalai Lama’s reincarnation taking account of the predictions of high Lamas, oracles and the visions seen in Lhamoi Latso; the Chinese had no involvement in it whatever. Nevertheless, some concerned officials of the Guomintang later cunningly spread lies in the newspapers claiming that they had agreed to forego the use of the Golden Urn and that Wu Chung-tsin presided over my enthronement, and so on. This lie was exposed by Ngabo Ngawang Jigme, the Vice-Chairman of the Standing Committee of the National People’s Congress, who the People’s Republic of China considered to be a most progressive person, at the Second Session of the Fifth People’s Congress of the Tibet Autonomous Region (31st July 1989). This is clear, when, at the end of his speech, in which he gave a detailed explanation of events and presented documentary evidence, he demanded:
“What need is there for the Communist Party to follow suit and continue the lies of the Guomintang?”

Deceptive strategy and false hopes

In the recent past, there have been cases of irresponsible managers of wealthy Lama-estates who indulged in improper methods to recognize reincarnations, which have undermined the Dharma, the monastic community and our society. Moreover, since the Manchu era Chinese political authorities repeatedly engaged in various deceitful means using Buddhism, Buddhist masters and Tulkus as tools to fulfil their political ends as they involved themselves in Tibetan and Mongolian affairs. Today, the authoritarian rulers of the People’s Republic of China, who as communists reject religion, but still involve themselves in religious affairs, have imposed a so-called re-education campaign and declared the so-called Order No. Five, concerning the control and recognition of reincarnations, which came into force on 1st September 2007. This is outrageous and disgraceful. The enforcement of various inappropriate methods for recognizing reincarnations to eradicate our unique Tibetan cultural traditions is doing damage that will be difficult to repair.

Moreover, they say they are waiting for my death and will recognize a Fifteenth Dalai Lama of their choice. It is clear from their recent rules and regulations and subsequent declarations that they have a detailed strategy to deceive Tibetans, followers of the Tibetan Buddhist tradition and the world community. Therefore, as I have a responsibility to protect the Dharma and sentient beings and counter such detrimental schemes, I make the following declaration.

The next incarnation of the Dalai Lama

As I mentioned earlier, reincarnation is a phenomenon which should take place either through the voluntary choice of the concerned person or at least on the strength of his or her karma, merit and prayers. Therefore, the person who reincarnates has sole legitimate authority over where and how he or she takes rebirth and how that reincarnation is to be recognized. It is a reality that no one else can force the person concerned, or manipulate him or her. It is particularly inappropriate for Chinese communists, who explicitly reject even the idea of past and future lives, let alone the concept of reincarnate Tulkus, to meddle in the system of reincarnation and especially the reincarnations of the Dalai Lamas and Panchen Lamas. Such brazen meddling contradicts their own political ideology and reveals their double standards. Should this situation continue in the future, it will be impossible for Tibetans and those who follow the Tibetan Buddhist tradition to acknowledge or accept it.

When I am about ninety I will consult the high Lamas of the Tibetan Buddhist traditions, the Tibetan public, and other concerned people who follow Tibetan Buddhism, and re-evaluate whether the institution of the Dalai Lama should continue or not. On that basis we will take a decision. If it is decided that the reincarnation of the Dalai Lama should continue and there is a need for the Fifteenth Dalai Lama to be recognized, responsibility for doing so will primarily rest on the concerned officers of the Dalai Lama’s Gaden Phodrang Trust. They should consult the various heads of the Tibetan Buddhist traditions and the reliable oath-bound Dharma Protectors who are linked inseparably to the lineage of the Dalai Lamas. They should seek advice and direction from these concerned beings and carry out the procedures of search and recognition in accordance with past tradition. I shall leave clear written instructions about this. Bear in mind that, apart from the reincarnation recognized through such legitimate methods, no recognition or acceptance should be given to a candidate chosen for political ends by anyone, including those in the People’s Republic of China.

The Dalai Lama

Dharamsala

September 24, 2011

http://www.dalailama.com/news/post/746-statement-of-his-holiness-the-fourteenth-dalai-lama-tenzin-gyatso-on-the-issue-of-his-reincarnation


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