Hong Kong. Lhadon Tethong, direttore esecutivo di Students for a Free Tibet, in una drammatica corrispondenza da Hong Kong conferma la notizia, trapelata in mattinata, che la polizia cinese ha sparato a un monaco tibetano che si era dato fuoco autoimmolandosi in segno di protesta. Testimoni oculari hanno riferito che Tape, un giovane monaco di età compresa tra i venti e i trent’anni, appartenente al monastero di Kirti, nella città di Ngaba (Tibet orientale), si è cosparso di benzina e, portando una bandiera fatta in casa e un ritratto del Dalai Lama, si è diretto lungo via che conduce al mercato centrale gridando slogan. Giunto all’incrocio principale, si è dato fuoco. La polizia ha sparato tre colpi dei quali almeno uno è andato a segno. Il suo corpo è stato immediatamente portato via e al momento non è possibile sapere se Tape è vivo oppure morto.
Il gesto di Tape è avvenuto dopo che la polizia ha impedito a mille monaci del monastero di Kirti, incluso il giovane religioso, di entrare nella principale sala di preghiera per adempiere i riti del terzo giorno del Losar. I monaci si sono seduti all’esterno della sala e si accingevano a recitare le loro preghiere quando un monaco anziano li ha implorati di andarsene. I religiosi sono tornati alle loro stanze. Poco dopo, Tape è uscito dal monastero e, portando con sé la bandiera tibetana, si è diretto verso il mercato, a pochi a pochi minuti di cammino.
“Il fatto che un giovane monaco si senta costretto ad auto immolarsi in segno di protesta mostra che la repressione cinese in Tibet sta portando i tibetani alla disperazione”, scrive Ladhon Tethong. “Questo gesto è un segnale della grande frustrazione e del dolore che i tibetani provano dopo essere stati per un anno oggetto dell’oppressione delle autorità cinesi e dopo aver subito per cinquant’anni il giogo del governo di Pechino”.
Marcia di preghiera dei monaci, la polizia, dopo la sorpresa, circonda il monastero
La polizia vuole arrestare “i responsabili”. I tibetani in esilio celebrano il nuovo anno con preghiere, proteste e scioperi della fame. Le autorità comuniste fanno sontuosi fuochi d’artificio sopra piazze deserte.
Dharamsala (AsiaNews/Agenzie) – Oltre 100 monaci nel Qinghai hanno salutato il Nuovo anno (Losar) tibetano con una marcia di protesta contro Pechino. A Dharamsala (India) i tibetani in esilio hanno celebrato il Losar con scioperi della fame e proteste contro il governo cinese. Ma le autorità cinesi parlano di grandi feste di folle tibetane serene e riconoscenti.
La mattina presto del 25 febbraio i monaci del monastero Lutsang, nella contea di Mangra (in cinese: Guinan), hanno marciato in fila con una candela in mano (nella foto) per oltre 1,5 chilometri fino al centro città, dove hanno presentato ai funzionari locali una lista di “domande e desideri”, come “la preghiera che siano esauditi i desideri dei tibetani”. Tra l’altro, hanno chiesto alle autorità cinesi di capire che il boicottaggio del Losar potrà essere più ampio delle proteste di piazza del 2008.
Secondo Radio Free Asia, oggi la polizia, superata la sorpesa, ha circondato il monastero e ha intimato ai leader della marcia di consegnarsi alle autorità, minacciando altrimenti di trattarli “con severità”.
I tibetani hanno deciso di non celebrare la loro maggior festa, il Losar, caduto il 25 febbraio, in protesta contro la sanguinosa repressione attuata dalla Cina nel 2008. In risposta, le autorità comuniste hanno deciso di organizzare celebrazioni grandiose. A Lhasa la notte del 24 ci sono stati spettacolari fuochi d’artificio, che hanno illuminato strade deserte per il rifiuto della popolazione di far festa. Il giorno dopo le strade sono state pattugliate da un ampio schieramento di polizia in tenuta antisommossa, con auto e fucili a gas lacrimogeno. Hanno chiuso il Palazzo Potala, residenza storica del Dalai Lama. Hanno proibito a negozi e uffici di aprire, per dimostrare che era un giorno di festa.
Il gruppo Tibetan Youth Congress, che raccoglie esiliati residenti a Dharamsala, ha chiesto ai tibetani di tutto il mondo di non fare festa e di dichiarare un “anno nero”, un periodo di solidarietà e di protesta. Circa 50 attivisti hanno dichiarato uno sciopero della fame per i primi 3 giorni del Nuovo Anno. I gruppi di esuli hanno organizzato numerose manifestazioni di proteste pacifiche: la Regional Tibet Women’s Association ha organizzato una veglia di preghiera per vittime tibetane. Il 26 febbraio centinaia di esuli tibetani hanno dimostrato a Dharamsala contro la persecuzione cinese, con la fronte coperta con fasce nere. http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=14604&size=A#