Pechino ha categoricamente escluso ogni possibilità di dialogo con il nuovo Primo Ministro del Governo in Esilio dichiarando la propria eventuale disponibilità a incontrare solamente i rappresentati personali del Dalai Lama per discutere del futuro del leader spirituale tibetano.
Questa netta presa di posizione è stata resa nota il 13 maggio attraverso il sito web China’s Tibet che ha pubblicato l’intervista rilasciata da Zhu Weiqun, un vice ministro del Dipartimento del Fronte Unito per il Lavoro, all’indomani della dichiarazione di Lobsang Sangay che, in un incontro con la stampa, si era dichiarato pronto a incontrare le autorità cinesi “in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo”.
“In materia di contatti e negoziati” – ha affermato Zhu – abbiamo alcuni punti fermi. Anzitutto, solo i rappresentanti personali del Dalai Lama possono costituire la nostra controparte. Non ha alcuna importanza chi sia il nuovo Kalon Tripa, chi sia a capo del cosiddetto governo in esilio del Dalai Lama”. “Si tratta solo di separatisti che hanno tradito la madrepatria, non hanno alcun fondamento di legalità né alcuna qualifica per intrattenere colloqui con i rappresentanti del governo centrale”.
Zhu ha proseguito affermando che l’unica azione sensata da parte del governo tibetano in esilio potrebbe consistere nel dichiarare la propria dissoluzione. “Tutti conoscono la posizione del nostro governo: vogliamo che il Dalai Lama abbandoni la sua lotta per l’indipendenza del Tibet,…potremmo allora discutere del futuro della sua persona o, al massimo, di quello di un ristretto numero di suoi assistenti personali”. Si è detto inoltre “dispiaciuto “ del fatto che il Dalai Lama “non si prodighi più per il bene del suo paese, come invece avveniva nel passato”. “È ancora a capo di una cricca politica che vuole l’indipendenza del Tibet”, – ha aggiunto Zhu – “è un fedele strumento di quelle forze internazionali anti cinesi che sono la causa principale delle turbolenze sociali in Tibet”.
Continua nel frattempo lo stato d’assedio a Ngaba e al monastero di Kirti. Fonti tibetane hanno riferito che il 6 maggio le autorità cinesi hanno arrestato un altro monaco, il trentanovenne Lobsang Khedup. E, a distanza di due mesi, è giunta la notizia dell’arresto, avvenuto il 19 marzo, di Gerik, un tibetano sessantenne sospettato di aver fatto trapelare dal 2008 notizie sulla situazione a Ngaba e sul suicidio di Phuntsok. Con lui sono state arrestate, il 20 marzo, la moglie Donkho e la figlia ventitreenne Metok, liberate il 2 aprile dopo essere state brutalmente torturate all’interno del carcere.
Proseguono all’interno del monastero le sedute di ri-educazione patriottica nel corso delle quali i monaci sono costretti ad abiurare e denunciare il Dalai Lama e giurare fedeltà al regime comunista. Le autorità cinesi hanno resa pubblica la lista dei monaci non presenti all’interno del monastero (oltre 300 sono stati deportati in località ignota nella notte tra il 21 e 22 aprile) e hanno fatto sapere che non sarà più consentito loro di ritornare. Le porte dei dormitori non occupati sono state sigillate e sono stati affissi cartelli con la scritta “Vietato aprire”.
Fonti: Reuters – Phayul