Gansu: monaci tibetani interrompono una visita di giornalisti guidata dal governo
È la seconda volta in 15 giorni, da quando Pechino ha isolato le aree delle rivolte. I monaci chiedono il ritorno del Dalai Lama nel Tibet e precisano che essi non vogliono l’indipendenza, ma solo il rispetto dei diritti umani.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Un gruppo di 15 monaci tibetani hanno osato oggi fermare la visita di un gruppo di giornalisti guidata dalle autorità cinesi, gridando loro che essi difendono i diritti umani e che vogliono il ritorno del Dalai Lama in Tibet. L’incidente – il secondo del genere in poche settimane – è avvenuto a Xiahe (Gansu), all’esterno del monastero di Labrang. I monaci, sventolando una bandiera tibetana, hanno cercato di parlare ai 20 giornalisti cinesi e stranieri, gridando: “Il Dalai Lama deve ritornare in Tibet. Noi non chiediamo l’indipendenza del Tibet, ma solo [il rispetto de]i diritti umani; adesso non vi sono diritti umani”.
Alcuni dei monaci avevano il volto coperto. Essi hanno anche detto che un gran numero di loro colleghi sono stati arrestati e che molti poliziotti armati e in borghese vigilano tutta l’area. Il mese scorso proprio il monastero di Labrang è stato uno al centro di manifestazioni a sostegno dei tibetani di Lhasa. Dal 14 marzo, inizio delle rivolte a Lhasa, il governo di Pechino ha isolato il Tibet e le aree abitate dai tibetani (Sichuan, Gansu, Qinghai) vietandole a visitatori e giornalisti. Per contrastare notizie sulla repressione contro i monaci e la popolazione – che riescono ad arrivare all’esterno – Pechino ha organizzato viaggi guidati di giornalisti e diplomatici. Due settimane fa una visita guidata di giornalisti stranieri e cinesi è stata interrotta a Lhasa da un gruppo di monaci che piangendo hanno accusato il governo cinese di mentire e hanno gridato che in Tibet non vi è libertà religiosa.
Stamane in una conferenza stampa nella capitale cinese, il capo del governo della Regione tibetana autonoma, Qiangba Puncong, ha dichiarato che la polizia cinese ha arrestato 953 persone sospettate di aver partecipato alle rivolte di Lhasa. Di questi 403 hanno ricevuto il mandato di arresto.
La Cina continua a sostenere che le rivolte hanno provocato la morte di 19 persone, tutte cinesi. Il governo tibetano in esilio denuncia invece la morte di circa 140 tibetani. Da più parti si chiede un’inchiesta neutrale e la libertà di movimento per i giornalisti, ma Pechino si difende continuando a tenere chiuse le aree e accusando il Dalai Lama di separatismo e di aver organizzato le manifestazioni per boicottare le Olimpiadi.