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Pechino si aspetta nuove rivolte tibetane
Febbraio 12th, 2009 by admin

Dopo un anno di regime di polizia, l’economia è in grande difficoltà e la popolazione è esasperata. I cinesi di etnia Han, attirati col miraggio di grandi guadagni, parlano di lasciare questa terra dove si sentono sempre più rifiutati. Il Dalai Lama ammonisce i tibetani a stare calmi, per evitare nuove repressioni.        

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – A un anno dalla sanguinosa repressione del marzo 2008, l’economia e la stessa convivenza sociale nel Tibet stentano a riprendersi. Ma il vicesindaco di Lhasa, Cao Bianjiang, e il vicepresidente della Regione autonoma del Tibet Nyima Tsering insistono che la priorità è la vigilanza contro “il sabotaggio del Dalai Lama e del suo gruppo” e si attendono proteste e rivolte. La situazione è esacerbata proprio dallo stretto controllo di polizia, specie nella capitale Lhasa, in vista dell’anniversario della fuga in esilio del Dalai Lama nel 1959 e di quello delle proteste del 14 marzo 2008.

La sanguinosa repressione del marzo 2008 e il successivo rigido controllo di polizia hanno distrutto il turismo, tra le principali ricchezze della regione. Per mesi è stato proibito anche soltanto visitare la zona, per timore che fossero raccontati i soprusi in atto contro monaci e tibetani.

Come risultato, è venuto meno il turismo cinese ed è molto diminuito quello da altri Paesi. Con grande perdita economica sia per i tibetani che per i molti etnici Han o Hui di cui Pechino ha favorito l’immigrazione.

Le proteste di marzo si sono anche scagliate contro gli etnici Han, visti come simbolo del genocidio contro la popolazione locale, anche a causa della politica di privilegi di cui beneficiano. Si è così molto approfondito il solco tra le due etnie: commercianti Han osservano che ora i tibetani comprano merci nei loro negozi, ma quasi nemmeno parlano loro. Altri ricordano come, durante le proteste di marzo, sono dovuti stare nascosti per giorni, e progettano di andar via.

Da alcune settimane la polizia ha ripreso controlli a tappeto e arresti contro i tibetani, cacciando da Lhasa chiunque non abbia regolare permesso di soggiorno. Come risultato, i tibetani hanno deciso di non festeggiare il Nuovo Anno Lunare, che quest’anno cade intorno al 25 febbraio. I negozi sono vuoti.

Solo il governo locale dice che l’economia va bene ed è cresciuta del 10,1% nel 2008, grazie a robusti aiuti statali. Lekchok, n. 2 del Partito comunista locale, dice che il peggio è passato. Ma il treno per Lhasa, salutato due anni fa come un collegamento essenziale, porta sempre meno passeggeri. Mentre le ditte offrono salari più che doppi per attirare personale specializzato: a Lhasa un intermediario offre 2.400 yuan al mese ai laureati, mentre nel non lontano Chengdu gli stipendi sono di 1.000 yuan.

La situazione è tesa e lo stesso Dalai Lama, in visita a Baden-Baden in Germania, avverte che “c’è davvero molta frustrazione” nei tibetani. “In ogni momento, può scoppiare una protesta”. Ammonisce alla calma, perché “con più proteste, ci sarà solo maggiore repressione”. http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=14466


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