Fuori dal monastero la polizia cinese attacca i fedeli e lancia contro di loro cani addestrati. Si teme una nuova rivolta di massa, come quella del 16 marzo 2008.
Il monastero di Kirti (Ngaba) è ancora sotto assedio della polizia cinese. Parlando ad AsiaNews, Samdhong Rinpoche, primo ministro del governo tibetano in esilio, si dice “preoccupato e spaventato” per le vite degli oltre duemila monaci chiusi dentro. A nessuno è permesso entrare né uscire. Ieri la polizia ha attaccato i fedeli tibetani e lanciato sulla folla cani addestrati. Diverse persone sono state morse. I monaci hanno cercato di uscire per aiutare i loro difensori, ma sono stati bloccati da recinzioni di filo spinato e guardie armate. “Stiamo cercando in ogni modo di far arrivare un messaggio all’interno del monastero – spiega – per dire loro di non opporre resistenza, perché la vita umana è preziosa e le misure repressive della Repubblica popolare cinese sono brutali. Ma finora purtroppo non ci siamo riusciti”. “Il governo cinese – aggiunge Rimpoche – considera la religione un nemico e una minaccia al proprio potere. Così vogliono reprimere le istituzioni religiose, per frenare i loro insegnamenti. E si accaniscono con brutalità anche contro i monaci, che invece sono non-violenti e non assecondano alcuna politica”.Non c’è modo di portare cibo ai monaci, che ora rischiano di morire di fame. Il monastero di Kirti è quello da cui è partito il monaco Phuntsok che si è auto-immolato il 16 marzo 2011 in coincidenza con il terzo anniversario della rivolta del 2008, repressa nel sangue dall’esercito cinese. All’epoca, Pechino sparò su una folla disarmata, provocando 13 morti nella zona e oltre 200 in tutto il Tibet. Secondo alcuni, se la situazione non dovesse cambiare c’è il rischio di una nuova rivolta di massa.
(di Nirmala Carvalho, AsiaNews)