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Il Dalai Lama rinuncia al suo ruolo politico
Marzo 10th, 2011 by admin

Sua Santità il Dalai Lama mentre, in occasione del 52 ° anniversario della rivolta nazionale del popolo tibetano, pronuncia lo storico discorso di rinuncia al suo ruolo politico a Dharamsala, in India, il 10 marzo, 2011.
Sua Santità il Dalai Lama mentre, in occasione del 52 ° anniversario della rivolta nazionale del popolo tibetano, pronuncia lo storico discorso di rinuncia al suo ruolo politico a Dharamsala, in India, il 10 marzo, 2011.

Rimarrà nel suo ruolo spirituale. Il leader politico del governo tibetano sarà eletto democraticamente. I leader cinesi devono avere più trasparenza e per questo c’è bisogno di libertà di stampa e di espressione.

Nel suo discorso odierno (disponibile in video a http://www.dalailama.com/webcasts/post/172-10th-march-statement-2011, integralmente sotto riportato in italiano ed in inglese col comunicato del Kashag il Governo Tibetano in esilio) in occasione del 52° anniversario del sollevamento popolare del 1959 contro l’occupazione cinese del Tibet, egli ha elogiato la Cina come “potenza mondiale emergente” e dall’enorme “sviluppo economico”. Essa – ha detto “ ha un alto potenziale per contribuire al progresso umano e alla pace mondiale. Ma per fare questo la Cina deve guadagnarsi il rispetto e la fiducia della comunità internazionale. Per avere tale rispetto, i leader cinesi devono maturare una maggiore trasparenza, i loro atti devono corrispondere alle loro parole. Perché ciò avvenga, sono necessari la libertà di espressione e la libertà di stampa”.

Il Dalai Lama ha annunciato oggi che nei prossimi giorni si dimetterà dalla sua carica politica di capo del governo tibetano in esilio. La decisione era nell’aria da tempo, ma in questi giorni egli proporrà emendamenti perché i tibetani siano governati da un leader “eletto liberamente”. Non è sicuro però che il governo – che si raduna il prossimo 14 marzo – accetterà la decisione dell’Oceano di saggezza.

La decisione di trasferire le responsabilità politiche non arriva del tutto inaspettata. Il 21 novembre, in una intervista alla tv indiana Cnn-Ibn il Dalai Lama aveva ammesso: “Credo, sì credo che mi ritirerò entro sei mesi. Non posso essere più preciso perché ne devo parlare con il Parlamento in esilio”, anche se “brevemente ho già accennato ai dirigenti del movimento le mie intenzioni”.
Da tempo il Dalai Lama vuole ritirarsi dalla politica e rivestire un ruolo unicamente spirituale come capo del buddismo tibetano. Egli spera anche di poter ritornare in Cina, da dove è fuggito nel 1959, dopo che una rivolta contro l’occupante cinese è stata repressa nel sangue. Pechino ha spesso accusato il Dalai Lama di essere solo un astuto politico che cerca di dividere il Paese usando anche il terrorismo per conquistare l’indipendenza del Tibet. In realtà il Dalai Lama è giunto ormai a proporre solo una “autonomia culturale” del Tibet, per salvare cultura e religione dal “genocidio”. La decisione del Dalai Lama arriva proprio mentre i tibetani si preparano a eleggere il nuovo primo ministro attraverso elezioni: un fatto sconosciuto in Cina. L’annuncio del Dalai Lama, secondo la portavoce del ministero degli esteri cinese Jiang Yu, e’ un ‘trucco per ingannare la comunità internazionale’.

DISCORSO DI SUA SANTITÀ IL DALAI LAMA IN OCCASIONE DEL 52° ANNIVERSARIO DELL’INSURREZIONE NAZIONALE TIBETANA

Oggi celebriamo il 52° anniversario della pacifica rivolta del popolo tibetano contro la repressione della Cina comunista, scoppiata a Lhasa, la capitale del Tibet, nel 1959 e il terzo anniversario delle dimostrazioni non violente che ebbero luogo in tutto il paese nel 2008. Vorrei cogliere questa occasione per rendere omaggio e pregare per quegli uomini e quelle donne coraggiose che hanno sacrificato le loro vite per la giusta causa del Tibet. Esprimo la mia solidarietà a coloro che continuano a subire la repressione e prego per il bene di tutti gli esseri senzienti.

Per oltre sessant’anni i tibetani, nonostante privi della libertà e in condizioni di vita segnate dalla paura e dall’insicurezza, sono stati in grado di salvaguardare la loro peculiare identità e i loro valori culturali. Ciò ha consentito alle nuove generazioni, che non hanno mai vissuto in un Tibet libero, di assumere coraggiosamente la responsabilità di portare avanti la causa del Tibet. Sono degne di ammirazione perché ci mostrano la forza della resistenza tibetana.

La Terra appartiene all’umanità e la Repubblica Popolare Cinese (PRC) appartiene al miliardo e trecento milioni dei suoi cittadini che hanno il diritto di conoscere la verità su quanto avviene nel loro paese e, più in generale, nel mondo. Se il popolo è esaurientemente informato, è in grado di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. La censura e la limitazione dell’informazione violano la dignità dei diritti umani. Per fare un esempio, i leader cinesi ritengono che l’ideologia comunista e le sue politiche siano corrette: se lo fossero, tali politiche dovrebbero essere rese pubbliche in tutta tranquillità e aperte al giudizio del popolo.

La Cina, il paese più popolato della terra, è una potenza mondiale emergente e guardo con ammirazione al suo sviluppo economico. In potenza, potrebbe grandemente contribuire al progresso umano e alla pace nel mondo. Ma per poterlo fare, la Cina deve anzitutto guadagnarsi il rispetto e la fiducia della comunità internazionale. E per ottenere questo rispetto i leader cinesi devono adottare linee politiche più trasparenti, fare in modo che le loro azioni corrispondano alle loro parole. In quest’ottica, è essenziale che siano garantite libertà di espressione e libertà di stampa. Un governo trasparente sarebbe anche in grado di tenere a bada la corruzione. Una società stabile e armoniosa richiede un reciproco rispetto fondato sulla fiducia. Negli ultimi anni, in Cina, un numero sempre crescente di intellettuali ha chiesto riforme politiche e una maggiore apertura. Lo stesso premier Wen Jiabao ha dichiarato di appoggiare tali richieste. È un segnale significativo e ne siamo contenti.

La Repubblica Popolare Cinese è un paese con molte etnie, ricco di diverse lingue e culture. La sua costituzione afferma chiaramente la protezione della lingua e della cultura di ogni etnia. La lingua tibetana è la sola custode dell’intera gamma degli insegnamenti del Buddha, inclusi i testi sulla logica e sulle teorie della conoscenza (epistemologia) che abbiamo ereditato dall’Università indiana di Nalanda.  È un metodo di conoscenza basato sulla ragione e sulla logica, in grado di contribuire alla pace e alla felicità di tutti gli esseri umani. Mettere a repentaglio questa cultura anziché proteggerla e svilupparla può significare, a lungo termine, la distruzione di un patrimonio comune dell’umanità.

Il governo cinese afferma spesso che la stabilità e lo sviluppo del Tibet sono il presupposto del suo benessere nel tempo.  Tuttavia, le autorità dispiegano un gran numero di militari in tutto il paese imponendo ai tibetani crescenti limitazioni. La popolazione vive nella paura e nell’ansia. Recentemente, molti intellettuali tibetani, uomini pubblici e ambientalisti sono stati puniti per aver espresso le aspirazioni fondamentali del popolo. Sono stati incarcerati sotto l’accusa di “sovvertire il potere dello stato” mentre invece cercavano di dare voce all’identità e all’eredità culturale tibetana. Queste misure repressive mettono a rischio la stabilità e l’armonia. Allo stesso modo, in Cina, sono stati arrestati avvocati impegnati nella difesa dei diritti del popolo, scrittori indipendenti e attivisti impegnati nella difesa dei diritti umani. Chiedo fermamente ai leader cinesi di riconsiderare queste politiche e di rilasciare immediatamente i prigionieri di coscienza.

Il governo cinese afferma che in Tibet non vi è altro problema se non quello riguardante i privilegi e lo status personale del Dalai Lama. La realtà è diversa: l’oppressione in atto ha provocato un diffuso risentimento nei confronti delle misure politiche in corso. Gente di ogni ordine sociale esprime sempre più frequentemente il proprio malessere. Che in Tibet un problema esista è dimostrato dal fatto che le autorità cinesi non hanno saputo conquistare la fiducia dei tibetani e guadagnarsi la loro lealtà. Al contrario, il popolo tibetano vive in un clima di continuo sospetto e sotto stretta sorveglianza. Chiunque visita il Tibet, cinesi o stranieri, conferma questa terribile realtà.

Il senso di realismo che caratterizzò gli anni ’50 del secolo scorso, sotto la leadership di Mao, portò la Cina a sottoscrivere con il Tibet il Trattato in 17 Punti. Un realismo del tutto simile caratterizzò anche i primi anni ’80, all’epoca di Hu Yaobang. Se questo realismo fosse continuato, la questione tibetana e alcuni altri problemi si sarebbero potuti facilmente risolvere. Sfortunatamente, posizioni conservatrici hanno fatto sì che queste politiche di apertura fossero messe da parte con il risultato che, dopo oltre sei decenni, il problema è diventato di più difficile soluzione.

Per questo motivo, come accadde alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, quando riuscimmo ad inviare in Tibet alcune delegazioni in grado di accertare la situazione esistente nel paese, proponiamo, ancora una volta, che ci sia data la possibilità di effettuare nuove visite, simili a quelle di allora. Allo stesso tempo, incoraggiamo i rappresentanti di istituzioni internazionali indipendenti, incluse rappresentanze parlamentari, a recarsi in Tibet. Se dovessero constatare che in Tibet i tibetani sono felici, accetteremmo senza difficoltà il loro giudizio.

L’altopiano tibetano è il luogo d’origine dei più importanti fiumi dell’Asia. Poiché, a parte i due Poli, possiede la maggiore concentrazione di ghiacciai, è considerato “Il Terzo Polo”. Il degrado ambientale del Tibet avrà un effetto devastante in grandi aree dell’Asia, soprattutto in Cina e nel subcontinente indiano. Il governo centrale, quello locale e la stessa popolazione cinese dovrebbero riconoscere lo stato di degrado dell’ambiente tibetano e adottare misure efficaci alla sua salvaguardia. Chiedo alla Cina di tenere presente il problema della sopravvivenza delle popolazioni che subiranno le conseguenze di ciò che, a livello ambientale, sta accadendo sull’altopiano tibetano.

Nel nostro instancabile adoperarci per risolvere la questione tibetana ci siamo costantemente attenuti alla politica della Via di Mezzo, di beneficio per entrambe le parti, che chiede una genuina autonomia per il popolo tibetano all’interno della Repubblica Popolare Cinese. Nei nostri colloqui con le autorità del Dipartimento del Fronte Unito per il Lavoro abbiamo esplicitato in modo chiaro ed esaustivo le speranze e le aspirazioni del popolo tibetano. In considerazione dell’assenza di una qualsivoglia risposta positiva alle nostre ragionevoli proposte, ci domandiamo se esse siano state riferite in modo completo e accurato alle autorità di più alto livello.

Fin dai tempi più antichi, tibetani e cinesi hanno vissuto come popoli vicini. Sarebbe un errore se le nostre non risolte diversità dovessero minare questa amicizia vecchia di anni. Ci siamo adoperati in ogni modo per favorire i buoni rapporti tra i tibetani e i cinesi residenti all’estero e siamo contenti che il nostro impegno abbia contribuito a migliorare comprensione e amicizia. Anche i tibetani all’interno del Tibet dovrebbero coltivare buoni rapporti con i nostri fratelli e sorelle cinesi.

Nelle ultime settimane, in diversi territori dell’Africa del nord e altrove, abbiamo assistito, a manifestazioni non–violente per la libertà e la democrazia. Credo fermamente nella non-violenza e nella sovranità del popolo e questi eventi hanno mostrato, ancora una volta, che un’azione determinata e non-violenta può davvero portare a un cambiamento positivo. Dobbiamo tutti sperare che questi cambiamenti, fonte di grande ispirazione, rechino alla gente di quei paesi una vera libertà, felicità e prosperità.

Una delle aspirazioni che ho coltivato fin dalla mia fanciullezza è stata la riforma della struttura politica e sociale del Tibet e, nei pochi anni in cui ho potuto esercitare un effettivo potere all’interno del mio paese, mi sono adoperato per introdurre alcune basilari innovazioni. Nonostante non abbia potuto portare avanti questo mio impegno in Tibet, ho compiuto ogni possibile sforzo per darne attuazione in esilio. Oggi, in conformità a quanto sancito nella Carta dei Tibetani in Esilio, il Kalon Tripa e i parlamentari sono direttamente eletti attraverso il voto popolare. Nell’esilio, siamo riuscito a realizzare la democrazia, secondo gli standard di una società aperta.

Fin dai primi anni ’60, ho incessantemente sostenuto che ai tibetani serve un leader, direttamente eletto, al quale devolvere il mio potere. È arrivato il momento di rendere effettivo questo passaggio. Nel corso dell’imminente undicesima sessione del quattordicesimo Parlamento Tibetano in Esilio, che inizierà il 14 marzo, proporrò formalmente che siano apportati alla Carta dei Tibetani in Esilio gli emendamenti in sintonia con la mia decisione di affidare a un leader eletto dal popolo la mia autorità formale.

Dal momento in cui ho reso pubblica la mia decisione, sia i tibetani in esilio sia quelli in Tibet mi hanno chiesto ripetutamente e con calore di continuare a esercitare la leadership politica. Desidero devolvere la mia autorità non per sottrarmi alle responsabilità né perché mi sento scoraggiato ma perché ritengo che, a lungo termine, la mia decisione sarà di beneficio ai tibetani. La mia gente ha riposto in me una tale fede e fiducia che intendo fare la mia parte per la giusta causa del Tibet semplicemente come uno tra loro. Confido che, gradualmente, la gente comprenderà la mia intenzione, sosterrà la mia decisione e, di conseguenza, lascerà che diventi effettiva.

Desidero cogliere questa occasione per ricordare la gentilezza dei leader delle numerose nazioni amanti della giustizia, dei membri del parlamento, degli intellettuali e dei Gruppi di Sostegno al Tibet che incessantemente hanno sostenuto il popolo tibetano. In particolare, ricorderemo sempre la cortesia e il continuo supporto del popolo e del governo dell’India e dei governi dei suoi stati che, generosamente, hanno aiutato i tibetani a preservare e promuovere la loro religione e cultura e a garantirne il benessere. A tutti esprimo la mia più profonda gratitudine.

Con le mie preghiere per il bene e la felicità di tutti gli esseri senzienti.

Il Dalai Lama

Dharamsala 10 Marzo 2011 (testo tradotto dalla versione in lingua inglese, fonte: http://www.italiatibet.org/ che si ringrazia)

Statement of His Holiness the Dalai Lama on the 52nd Anniversary of the Tibetan National Uprising Day 10 March 2011

Today marks the 52nd anniversary of the Tibetan people’s peaceful uprising of 1959 against Communist China’s repression in the Tibetan capital Lhasa, and the third anniversary of the non-violent demonstrations that took place across Tibet in 2008. On this occasion, I would like to pay tribute to and pray for those brave men and women who sacrificed their lives for the just cause of Tibet. I express my solidarity with those who continue to suffer repression and pray for the well-being of all sentient beings.

For more than sixty years, Tibetans, despite being deprived of freedom and living in fear and insecurity, have been able to maintain their unique Tibetan identity and cultural values. More consequentially, successive new generations, who have no experience of free Tibet, have courageously taken responsibility in advancing the cause of Tibet. This is admirable, for they exemplify the strength of Tibetan resilience.

This Earth belongs to humanity and the People’s Republic of China (PRC) belongs to its 1.3 billion citizens, who have the right to know the truth about the state of affairs in their country and the world at large. If citizens are fully informed, they have the ability to distinguish right from wrong. Censorship and the restriction of information violate basic human decency. For instance, China’s leaders consider the communist ideology and its policies to be correct. If this were so, these policies should be made public with confidence and open to scrutiny.

China, with the world’s largest population, is an emerging world power and I admire the economic development it has made. It also has huge potential to contribute to human progress and world peace. But to do that, China must earn the international community’s respect and trust. In order to earn such respect China’s leaders must develop greater transparency, their actions corresponding to their words. To ensure this, freedom of expression and freedom of the press are essential. Similarly, transparency in governance can help check corruption. In recent years, China has seen an increasing number of intellectuals calling for political reform and greater openness. Premier Wen Jiabao has also expressed support for these concerns. These are significant indications and I welcome them.

The PRC is a country comprising many nationalities, enriched by a diversity of languages and cultures. Protection of the language and culture of each nationality is a policy of the PRC, which is clearly spelt out in its constitution. Tibetan is the only language to preserve the entire range of the Buddha’s teachings, including the texts on logic and theories of knowledge (epistemology), which we inherited from India’s Nalanda University. This is a system of knowledge governed by reason and logic that has the potential to contribute to the peace and happiness of all beings. Therefore, the policy of undermining such a culture, instead of protecting and developing it, will in the long run amount to the destruction of humanity’s common heritage.

The Chinese government frequently states that stability and development in Tibet is the foundation for its long-term well-being. However, the authorities still station large numbers of troops all across Tibet, increasing restrictions on the Tibetan people. Tibetans live in constant fear and anxiety. More recently, many Tibetan intellectuals, public figures and environmentalists have been punished for articulating the Tibetan people’s basic aspirations. They have been imprisoned allegedly for “subverting state power” when actually they have been giving voice to the Tibetan identity and cultural heritage. Such repressive measures undermine unity and stability. Likewise, in China, lawyers defending people’s rights, independent writers and human rights activists have been arrested. I strongly urge the Chinese leaders to review these developments and release these prisoners of conscience forthwith.

The Chinese government claims there is no problem in Tibet other than the personal privileges and status of the Dalai Lama. The reality is that the ongoing oppression of the Tibetan people has provoked widespread, deep resentment against current official policies. People from all walks of life frequently express their discontentment. That there is a problem in Tibet is reflected in the Chinese authorities’ failure to trust Tibetans or win their loyalty. Instead, the Tibetan people live under constant suspicion and surveillance. Chinese and foreign visitors to Tibet corroborate this grim reality.

Therefore, just as we were able to send fact-finding delegations to Tibet in the late 1970s and early 1980s from among Tibetans in exile, we propose similar visits again. At the same time we would encourage the sending of representatives of independent international bodies, including parliamentarians. If they were to find that Tibetans in Tibet are happy, we would readily accept it.

The spirit of realism that prevailed under Mao’s leadership in the early 1950s led China to sign the 17-point agreement with Tibet. A similar spirit of realism prevailed once more during Hu Yaobang’s time in the early 1980s. If there had been a continuation of such realism the Tibetan issue, as well as several other problems, could easily have been solved. Unfortunately, conservative views derailed these policies. The result is that after more than six decades, the problem has become more intractable.

The Tibetan Plateau is the source of the major rivers of Asia. Because it has the largest concentration of glaciers apart from the two Poles, it is considered to be the Third Pole. Environmental degradation in Tibet will have a detrimental impact on large parts of Asia, particularly on China and the Indian subcontinent. Both the central and local governments, as well as the Chinese public, should realise the degradation of the Tibetan environment and develop sustainable measures to safeguard it. I appeal to China to take into account the survival of people affected by what happens environmentally on the Tibetan Plateau.

In our efforts to solve the issue of Tibet, we have consistently pursued the mutually beneficial Middle-Way Approach, which seeks genuine autonomy for the Tibetan people within the PRC. In our talks with officials of the Chinese government’s United Front Work Department we have clearly explained in detail the Tibetan people’s hopes and aspirations. The lack of any positive response to our reasonable proposals makes us wonder whether these were fully and accurately conveyed to the higher authorities.

Since ancient times, Tibetan and Chinese peoples have lived as neighbours. It would be a mistake if our unresolved differences were to affect this age-old friendship. Special efforts are being made to promote good relations between Tibetans and Chinese living abroad and I am happy that this has contributed to better understanding and friendship between us. Tibetans inside Tibet should also cultivate good relations with our Chinese brothers and sisters.

In recent weeks we have witnessed remarkable non-violent struggles for freedom and democracy in various parts of North Africa and elsewhere. I am a firm believer in non-violence and people-power and these events have shown once again that determined non-violent action can indeed bring about positive change. We must all hope that these inspiring changes lead to genuine freedom, happiness and prosperity for the peoples in these countries.

One of the aspirations I have cherished since childhood is the reform of Tibet’s political and social structure, and in the few years when I held effective power in Tibet, I managed to make some fundamental changes. Although I was unable to take this further in Tibet, I have made every effort to do so since we came into exile. Today, within the framework of the Charter for Tibetans in Exile, the Kalon Tripa, the political leadership, and the people’s representatives are directly elected by the people. We have been able to implement democracy in exile that is in keeping with the standards of an open society.

As early as the 1960s, I have repeatedly stressed that Tibetans need a leader, elected freely by the Tibetan people, to whom I can devolve power. Now, we have clearly reached the time to put this into effect. During the forthcoming eleventh session of the fourteenth Tibetan Parliament in Exile, which begins on 14th March, I will formally propose that the necessary amendments be made to the Charter for Tibetans in Exile, reflecting my decision to devolve my formal authority to the elected leader.

Since I made my intention clear I have received repeated and earnest requests both from within Tibet and outside, to continue to provide political leadership. My desire to devolve authority has nothing to do with a wish to shirk responsibility. It is to benefit Tibetans in the long run. It is not because I feel disheartened. Tibetans have placed such faith and trust in me that as one among them

I am committed to playing my part in the just cause of Tibet. I trust that gradually people will come to understand my intention, will support my decision and accordingly let it take effect.

I would like to take this opportunity to remember the kindness of the leaders of various nations that cherish justice, members of parliaments, intellectuals and Tibet Support Groups, who have been steadfast in their support for the Tibetan people. In particular, we will always remember the kindness and consistent support of the people and Government of India and State Governments for generously helping Tibetans preserve and promote their religion and culture and ensuring the welfare of Tibetans in exile. To all of them I offer my heartfelt gratitude.

With my prayers for the welfare and happiness of all sentient beings.

The Dalai Lama

10 March 2011

http://www.dalailama.com/news/post/655-statement-of-his-holiness-the-dalai-lama-on-the-52nd-anniversary-of-the-tibetan-national-uprising-day

The Statement of Kashag on the 52nd Anniversary of the Tibetan People’s National Uprising Day

Today is the 52nd anniversary of the Tibetan people’s uprising against the Chinese authorities in 1959 and the third anniversary of the peaceful protests throughout Tibet in 2008. On this special occasion, the Kashag would like to pay homage to all the martyrs, who sacrificed their lives for the cause of Tibet, those who are still suffering and particularly we would like to express our solidarity with Tibetan intellectuals such as writers, poets, musicians and environmentalists, who have been arrested and incarcerated in recent years. We praise their courage and conviction.

During the last nine years, from 2002 to 2010, the twelfth and the thirteenth Kashag considered the 10 March anniversary as the most important occasion to inform the Tibetan people, both in and outside Tibet, about issues concerning Tibetan politics and the administration. The Kashag has transparently informed the Tibetans about developments, policies, course of actions, principles and future plans regarding the issue of Tibet and its origins, Tibetan people’s strength and weaknesses, opportunities and risks, achievements and failures, and the status of Sino-Tibetan talks and the international situation. Particularly, in 2009 during the 50th anniversary of our being in exile, the Kashag commemorated and thanked the extraordinary achievements of His Holiness the Dalai Lama, which spans across the globe and the great accomplishments of the Tibetan people, in and outside Tibet.

Since this is the last 10th March statement of the present Kashag, we would like to take this opportunity to express our gratitude to the general public and reiterate some issues as a reminder. As it was mentioned in our 10th March statement of 2009, for more than half a century, Tibet has been subjected to a series of repressive campaigns under various forms and names to annihilate the Tibetan people and its culture. This has pushed Tibet to the brink of extinction. However, at the same time, the strength of Tibetan people’s unity and solidarity has gone undiminished, which has enabled us to sustain our struggle from one generation to the next.

Moreover, with the phenomenal accomplishments of His Holiness the Dalai Lama throughout the world, Tibetan Buddhism, culture, tradition and values have gained renewed recognition and interest. Consequently, the number of Tibet supporters and followers of Tibetan Buddhism and culture, both in the West and East, have grown many fold. Lately efforts to translate Kangyur and Tengyur into various Western languages were initiated, and the speed at which contact and discussions between Tibetan Buddhism and science is taking place today are a matter of great pride and constitute positive changes. Irrespective of the absence of any concrete change in the political situation, the fact that Tibetan religion, culture and tradition are developing paves great prospects for the future. When future generations look back at our times, they may consider our contemporary times as an era of expansion and spread of the Tibetan culture.

Furthermore, the nonviolent struggle of the Tibetan people and the transformation of the nature of Tibetan polity into a democratic system are two achievements that are source of pride and the strength for the Tibetan people. As a result, the issue of Tibet has been able to be sustained around the world and these have become reasons why the People’s Republic of China is unable to ignore the issue of Tibet.

As this miracle the Tibetans have achieved in exile is a result of the profound accomplishments of His Holiness the 14th Dalai Lama. We express our deepest gratitude to him.

Since the PRC occupied Tibet, the Tibetan people have had not even a fleeting moment of peace and joy. Furthermore, policies were implemented that aimed to annihilate not only Tibetan religion and culture and natural resources, but even the trace of Tibetan identity as well. Since repression across Tibet worsened in 2008, the Tibetan people have been languishing in an environment of constant fear and suspicion.  The recent campaign, targeted at Tibetan intellectuals, scholars, writers, artists and environmentalists, has resulted in their arbitrary incarceration on concocted charges. This further validates the existence of a definite objective to wipe out Tibetan identity and heritage. As Tibetan language is the bedrock of Tibetan identity and culture, the recent move to phase out Tibetan as the main medium of instruction in schools also constitute an aspect of the strategy towards the objective of annihilation of Tibetan identity. Under such circumstances, the people in Tibet have been struggling for the preservation and promotion of Tibetan language and culture by disregarding even at the risk of losing their lives. For this, they deserve our heartfelt gratitude.

The Tibetan and the Chinese people are neighbours and share close social, economic and commercial relations. However, if enmity between the two people grows and the relationship is strained due to manipulations by the Communist leaders then this is highly undesirable. Tibetans living in exile are trying their best to create a good relationship with the Chinese people. Likewise, the Kashag wish to request the Tibetans inside Tibet to maintain friendly relations with Chinese and other nationalities. Particularly, we would like to urge Tibetans not to engage in any violent act with other nationalities.

A series of recent peaceful people’s protests in the Middle East and North Africa to move towards freedom and democracy is a source of inspiration for us. We offer our solidarity for all those who take part in these protests and extend our support and stand with them in unity as long as their actions remain non-violent. These events prove the fact that suppression by authoritarian regimes anywhere cannot last forever.

Presently, a major cause of concern for Tibetans in and outside Tibet is that His Holiness the Dalai Lama will relinquish his role as the political leader of Tibetan people, and transfer his political and administrative responsibilities to the elected leadership. As a result, a great number of Tibetans in exile from the various settlements, organisations, monastic institutions and individuals and particularly many Tibetans from inside Tibet collectively and individually have been ardently supplicating His Holiness the Dalai Lama not to take such a step. We, the Kashag, would like to make the same request in the strongest terms. Since the institution of the Dalai Lama, as an emanation of Avalokitesvara, and the inhabitants of the Land of Snows, the spiritual domain of Avalokitesvara are intimately connected by a pure karmic bond, the Tibetan people must make all efforts to ensure that this relationship continues to last forever without change. The Tibetan people need to make great efforts to keep this bond between the successive Dalai Lamas and Tibet. In order for this to happen, we request the Tibetan people to make even more efforts to increase their collective merits.

To fulfil His Holiness the Dalai Lama’s wish to relinquish the temporal responsibilities, His Holiness will issue a message to the coming session of the Tibetan Parliament-in-Exile. And all future course of action will depend on how the members of the legislative body intelligently formulate legislation regarding this. The Kashag would like to urge the members of the exile parliament to consider this a matter of utmost importance and accordingly think carefully to take the right path.

Even though there are no major achievements during the tenure of the Twelfth and Thirteenth Kashag for the last nearly 10 years, we have been able to complete our tenure without any major failures and controversy. This has been achieved because of the kind guidance of His Holiness the Dalai Lama, and the sincere hardwork of the officials of the Central Tibetan Administration, the cooperation and support of the general public. I and all my fellow members of the Kashag deeply thank and extend our gratitude to His Holiness the Dalai Lama. At the same time, with deep regret we offer our sincere apology for our inability to work in accordance with your vision during our tenure. We beseech His Holiness to continue to lead us until we attain liberation. Similarly, we wholeheartedly thank the Tibetan people in and outside Tibet for their consistent cooperation and support. Likewise, we profusely thank all the officials of the Central Tibetan Administration who have worked with sincerity and devotion for the exile Tibetan administration only because of their commitment to the cause inspite of inadequate salary and facilities.

Taking this opportunity, we thank and extend our gratitude to all the Tibet Support Groups, heads of the governments and members of parliaments across the world who support the just struggle of the Tibetan people, and especially the general public, the leadership of central and state governments of India, for their unwavering support for the welfare of Tibetans, the preservation and promotion of Tibet’s cultural and spiritual heritage and for the realization of the Tibetan people’s aspiration.

Finally, the Kashag prays for the long life of His Holiness the Dalai Lama and the spontaneous fulfilment of all his wishes. May the truth of the issue of Tibet prevail soon!

The Kashag

10 March 2011

NB: This is the English translation. Should any discrepancy arise, the original Tibetan should be considered the final and authoritative.

http://www.tibet.net/en/index.php?id=2166.&articletype=flash&rmenuid=morenews&amps&tab=1#TabbedPanels1


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