- Samdhong Rinpoche, premier del governo tibetano in esilio
Samdhong Rinpoche, premier del governo tibetano in esilio, invita i tibetani a non a cadere nella provocazione per le recenti calunnie cinesi contro il Dalai Lama e a proseguire ad affermare la propria identità in modo non violento. Sulla Rivolta del Gelsomino: la Cina è pronta a stroncare ogni protesta con la violenza. “Non c’è nulla di nuovo, la posizione della Cina contro il Dalai Lama è sempre la stessa”. Il professor Samdhong Rinpoche, Kalon Tripa (primo ministro) del governo tibetano in esilio, commenta in esclusiva ad AsiaNews le dichiarazioni di Jia Qinglin, eminente membro del Politburo comunista cinese, che il 25 febbraio ha incitato la Cina a “rinnovati sforzi contro l’influenza del Dalai Lama” in Tibet. Jia ritiene il Dalai Lama diretto responsabile e fomentatore delle proteste in Tibet contro la dominazione cinese e ha dichiarato che “la cricca del Dalai Lama deve essere fermata prima che possa fare altri danni”. “È necessario per migliorare la vita dei tibetani e rendere più sicura la regione” (vedi AsiaNews del 26.2.2011, Pechino: “Per il bene del Tibet, schiacciamo il Dalai Lama”). Per Rinpoche, “si tratta appena di una ripetizione delle dichiarazioni dei leader cinesi contro il Dalai Lama”, leader spirituale tibetano in esilio dal 1959, Premio Nobel per la Pace ma che Pechino continua a considerare un pericoloso terrorista istigatore di disordini. “Questa dichiarazione – prosegue Rinpoche – riflette l’insicurezza della leadership cinese nei confronti del crescente status del Dalai Lama nella società globale e tra i tibetani. La sua leadership spirituale è sempre più forte nel cuore di ogni tibetano, nonostante una campagna ultradecennale di Pechino per denigrarlo e sminuirne l’influenza”.
“I leader cinesi hanno paura dei movimenti pacifici del Dalai Lama in tutto il mondo. Per di più, le proteste nei Paesi arabi causano ansia tra i leader del Partito comunista cinese (Pcc), per questo fanno simili commenti ridicoli, privi di valore e di importanza”.
“Sono sicuro che questa dichiarazione volesse provocare [i tibetani], perché non c’erano regioni per un simile commento. Così il fine potrebbe essere stato di provocare e anche un modo per distrarre dalle crescente proteste in Cina contro il regime repressivo”.
“Comunque le generazioni tibetane più giovani sono mature e prudenti, non penso che reagiranno alla provocazione. La generazione più giovane che vive in Tibet è la più convinta dell’approccio non violento e di compromesso del Dalai Lama, rispetto ad altri tibetani. Ho piena fiducia nella giovane generazione. Sono maturi e impegnati e non faranno nulla che possa danneggiare la causa”.
Su internet ci sono inviti anonimi a scendere in strada il 6 marzo e protestare contro il governo, come nella Rivoluzione del Gelsomino.
“Le dimostrazioni di piazza –dice Rinpoche – sono parte della storia del Pcc. Come nel 1989 per la protesta di piazza Tiananmen: decine di migliaia di cittadini qualsiasi, tra cui intere famiglie, hanno occupato edifici pubblici vuoti e terreni e hanno creato un sit-in improvvisato, ai piedi del potere e all’ombra di importanti monumenti”.
“Nel 2008 ci sono state forti proteste in tutte le aree tibetane. Nel 2009 nello Xinjiang hanno protestato gli uighuri”.
“In ogni parte della Cina ci sono piccolo proteste, ma ci vorrà tempo per avere grandi dimostrazioni, perché le forze della repressione stroncheranno ogni protesta forte e non permetteranno ai cittadini di riunirsi. Il Pcc non rispetta la vita umana e non esiterà a fare uso della forza, del potere e della brutalità per prevenire proteste e per stroncare qualsiasi dimostrazione e sollevazione”.
Fonte: di Nirmala Carvalho – AsiaNews, che si ringrazia.