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Solidarietà mondiale al Karmapa
Febbraio 8th, 2011 by admin

17th Karmapa, Ogyen Trinley Dorje

17th Karmapa, Ogyen Trinley Dorje

La solidarietà della Comunità e del Governo Tibetano in esilio, da moltissimi Centri di Dharma e da singole  persone e del nostro On. Matteo Mecacci, presidente dell’Intergruppo Parlamentare sul Tibet. Il Dalai Lama interviene a favore del Karrmapa dichiarando che “si è trattato d’una negligenza, ma niente di serio, solo di scarsa tenuta dei libri contabili delle offerte”. Non è vero che nella residenza del Karmapa siano state trovate delle sim card cinesi e men che meno che sia una spia cinese. Leggete qui di seguito l’interessante articolo di Dibyesh Anand, sull’Hindustan Times che chiarisce la situazione.

L’Ufficio di Amministrazione del Karmapa ringrazia per il massiccio sostegno a Sua Santità il Karmapa da parte dei benintenzionati da tutta l’India e da tutto il mondo. Oggi, l’Onorevole Matteo Mecacci, membro della Commissione Esteri della Camera dei Deputati del Parlamento italiano, ha effettuato una visita personale a Sua Santità il Karmapa nella sua residenza di Dharamsala, in cui, pur esprimendo fiducia e rispetto per il processo giudiziario indiano, ha comunicato la sua solidarietà a Sua Santità il Karmapa. L’accusa di spionaggio è una questione con gravi conseguenze.

Sua Santità il Karmapa è un leader molto venerato con milioni di devoti in tutto il mondo. Ha un incrollabile fiducia ed il sostegno di Sua Santità il Dalai Lama, così come dell’intero governo tibetano in esilio. Ripetendo tali infondate affermazioni, senza nemmeno preoccuparsi di verificare i fatti, la stampa cade in palese calunnia. L’Ufficio di Amministrazione del Karmapa ha chiesto un’immediata rettifica e le scuse dei giornali che hanno pubblicato falsità ed illazioni.
L’Ufficio di Amministrazione del Karmapa è lieto della fiducia espressa del Governo Centrale di Delhi a Sua Santità il Karmapa. Il Ministro dell’Unione Virbhadra Singh, che è stato per cinque volte ministro del Governo Indiano e Capo del Governo dello stato dell’Himachal Pradesh, sì è venuto apposta qui a Dharamsala da Delhi ed ha fatto diverse dichiarazioni di chiaro sostegno a Sua Santità il Karmapa ed alla comunità tibetana nel suo complesso. Intervenendo a una conferenza stampa, il Ministro dell’Unione Singh ha accusato il governo dello stato dell’Himachal Pradesh di calunniare Sua Santità il Karmapa. Egli ha inoltre esortato a regolarizzare le norme di acquisto di terreni per concedere tibetani il diritto di possedere terreni in Himachal Pradesh, in cui si trova Dharamsala.

Siamo stati anche lieti di vedere qualche espressione equa ed equilibrata nei media. Tuttavia, smentiamo ancora e completamente la notizie di stampa diffamatoria sostenente che sono state trovate presso la nostra sede delle SIM card cinesi. Ciò definitivamente costituisce un atto di diffamazione e calunnia. Nessuna carta SIM cinese è stata qui rinvenuta come elencato sul promemoria di sequestro emesso dalle stesse forze di polizia. L’ispettore Ramesh Rama della polizia di Kangra, uno dei funzionari di polizia che ha investigato il caso, l’ha confermato.

La solidarietà della Comunità e del Governo Tibetano in esilio e del nostro On. Matteo Mecacci, presidente dell’Intergruppo Parlamentare sul Tibet. Il Dalai Lama interviene a favore del Karrmapa dichiarando che “si è trattato d’un errore, ma niente di serio, solo di scarsa tenuta dei libri contabili delle offerte”. Non è vero che nella residenza del Karmapa siano state trovate delle sim card cinesi e men che meno che sia una spia cinese. Leggete qui di seguito l’interessante articolo di Dibyesh Anand, sull’Hindustan Times che chiarisce la situazione. http://www.kagyuoffice.org/

IL BUDDHA NON SORRIDE”. UN ARTICOLO DELL’HINDUSTAN TIMES di Dibyesh Anand

febbraio 2011. Nei giorni scorsi la stampa indiana ha dato ampio risalto a quello che ormai è definito “l’affaire Karmapa” e alle sue implicazioni sia politiche sia strettamente giuridico-finanziarie (nella foto, l’eloquente copertina di India Today). Si è detto di tutto e non sempre in modo approfondito e obbiettivo. In attesa di un chiarimento dell’intera vicenda, pubblichiamo l’articolo apparso il 1° febbraio sull’Hindustan Times, a firma del giornalista Dibyesh Anand, che analizza la vicenda senza emettere giudizi affrettati e tiene conto del contesto religioso e culturale del mondo tibetano.

IL BUDDHA NON SORRIDE

“Il Karmapa è una spia cinese?”, “Il possibile successore del Dalai Lama è una talpa cinese?”, “Ci troviamo di fronte all’ennesima scaltra macchinazione della Cina per assicurarsi il controllo delle zone di confine?”. I media sono letteralmente impazziti nel rilanciare i dubbi sulla figura del Karmapa. Purtroppo quanto è stato scritto e detto è rimasto molto in superficie e nessuno ha cercato di approfondire il discorso. Questo episodio non solo ci mostra come funzionino i media indiani ma dà anche un duro colpo alla fiducia dei tibetani nei confronti della democrazia indiana e danneggia gli interessi indiani di lungo termine in Tibet.

La polizia, nei suoi raid, ha trovato poche decine di milioni di rupie in valuta. Tutt’al più ci troviamo di fronte a un caso di irregolarità finanziarie o di affari poco trasparenti da parte degli amministratori del monastero del Karmapa. I colpevoli ne dovranno rispondere. Ma accusare una persona di essere una spia per conto di un paese straniero è una cosa molto seria. Ne distrugge la sua reputazione. Le notizie di questi giorni ci mostrano che è in atto una caccia alle streghe e tradiscono una totale mancanza di comprensione della vita dei tibetani in India.

Ogyen Trinley Dorje è il XVII Karmapa, il lignaggio più antico del buddhismo tibetano, ed è il capo della scuola Karma Kagyu. E’ uno dei rari lama riconosciuto sia dal Dalai Lama sia dal governo cinese. Non c’è nulla di cospiratorio in tutto questo. Durante tutti gli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, la Cina era più accomodante nei confronti delle figure religiose tibetane e, nella scelta delle reincarnazioni, si consultava e coordinava con il Dalai Lama e gli altri lama in esilio. Questa disponibilità venne meno con la crisi del 1995 a proposito della reincarnazione del Panchen Lama.

La scelta del nuovo Karmapa, dopo la morte del XVI, non fu priva di controversie. Esiste infatti un candidato rivale, Trinley Thaye Dorje, che ha l’appoggio dello Shamarpa, un rilevante personaggio della scuola Karma Kagyu. Lo Shamarpa è noto per avere stretti rapporti con i servizi di sicurezza e la burocrazia indiana. Ma molti tibetani hanno accettato la scelta del Dalai Lama. Infatti, nel Tibet controllato dai cinesi, la venerazione per il Karmapa è seconda solo a quella per lo stesso Dalai Lama. Anche nei monasteri Gelug (la scuola cui appartengono il Dalai Lama e il Panchen Lama) è possibile vedere l’immagine del Karmapa ed è evidente che per i tibetani la vicinanza al Dalai Lama del Karmapa aggiunge sacralità alla figura di quest’ultimo.

E’ vero che il Karmapa ha evitato di fare dichiarazioni anti-cinesi e Pechino, di conseguenza, non l’ha mai denunciato. Ma ancora una volta in tutto questo non c’è niente di sospettoso. I cinesi si sono perfino rifiutati di criticare apertamente il Dalai Lama nel 1959, fino a quando non fece una pubblica dichiarazione dall’esilio. Pechino non vuole denunciare apertamente il Karmapa perché, se lo facesse, contribuirebbe a creare un’altra figura di prestigio attorno alla quale sicuramente si mobiliterebbe l’intero movimento internazionale che si batte per un Tibet libero. Inoltre c’è da aggiungere che, nella storia recente, i Karmapa hanno sempre evitato di assumere posizioni troppo politicizzate dal momento che, nello Stato tradizionale tibetano, la scuola Gelug era dominante. Nel concentrarsi unicamente sulle questioni religiose, l’attuale XVII Karmapa segue le orme della sua precedente reincarnazione. E’ triste che, senza saper interpretare le sottigliezze sia della politica delle varie scuole del buddhismo tibetano sia dei rapporti sino-tibetani, i media indiani abbiano ritenuto sospettosa la posizione apolitica del Karmapa. Le continue congetture sulla fuga del Karmapa dal Tibet nel 1999 mi ricordano un film giapponese che sosteneva la tesi della cospirazione: il Karmapa era stato mandato in Sikkim per riprendersi il “Cappello Nero” custodito nel monastero di Rumtek. E’ interessante notare che questo film mi venne dato proprio a Pechino.

Una decina di anni di repressione durante la Rivoluzione Culturale non hanno scalfito la fede che i tibetani hanno nei loro lama. Il furibondo attacco (onslaught, nel testo originale, N.d.T.) al Karmapa da parte dei media indiani non farà che rafforzare il rispetto dei tibetani per lo stesso Karmapa. Ma, certamente, provocherà anche danni all’India, dal momento che i fedeli del buddhismo tibetano in esilio, nelle regioni di confine, in Tibet e nel resto del mondo proveranno risentimento per questa umiliazione inferta a un loro leader religioso. Se si fosse trattato dello Shahi Imam (l’imam della grande moschea di Delhi, la Jama Masjid, di fatto il capo dei musulmani indiani, N.d.T.) o di Baba Ramdev (un santo hindu del XIV secolo, N.d.T.) i media indiani si sarebbero presi la libertà di pubblicizzare una simile notizia non provata?

I funzionari cinesi più radicali sicuramente si staranno facendo ampie risate nell’assistere a questo circo mediatico indiano. Sanno bene che esso non solo provocherà confusione nella comunità tibetana in esilio in India ma creerà anche scetticismo tra i tibetani all’interno della Cina. L’India ha deluso i tibetani in molte occasioni a partire dalla fine degli anni ’40 quando i tibetani chiesero l’aiuto internazionale per rivendicare la loro indipendenza e, nel 1954, quando con l’Accordo del Panchsheel (i “Cinque principi di coesistenza pacifica” tra India e Repubblica popolare cinese, N.d.T.) siglato con la Cina venne sacrificato il vecchio Stato tibetano. L’India ha offerto asilo a più di 100.000 tibetani. Ma va ricordato che i lama in esilio garantiscono stabilità e mantengono pacifiche le popolazioni che abitano le regioni di confine in maniera molto più efficace di quanto non faccia lo stesso esercito indiano. I tibetani eccedono in generosità nell’essere grati al loro ospite indiano ed evitano di ricordare all’India una piccola scomoda verità: fino al 1951, le zone di confine oggi oggetto della disputa tra India e Repubblica popolare cinese, non erano né indiane né cinesi ma tibetane. In cambio di tutto questo, il minimo che gli indiani possano fare sarebbe quello di non denigrare i leader religiosi tibetani prima ancora che le loro eventuali colpe vengano provate. E’ chiedere troppo? Di Dibyesh Anand, Hindustan Times – 1 febbraio 2011, Traduzione dall’inglese di Carlo Buldrini fonte: http://www.italiatibet.org/index.php?option=com_content&view=article&id=563:il-buddha-non-sorride-un-articolo-dellhindustan-times&catid=33:notizie&Itemid=50


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