India e Cina: l’equilibrio instabile tra l’Himalaya e il sub-continente, di Romeo Orlandi ISPI
L’ombra lunga della storia si proietta nella politica estera indiana e si avvinghia con l’emersione della cronaca. È un rapporto complesso, chiaroscurale, sicuramente non definito e non definitivo. Il ricordo della rovinosa guerra con la Cina del 1962 si mescola con l’esplosione dei rapporti economici. La Cina è riuscita a divenire il primo partner commerciale dell’India, scalzando una lunga supremazia statunitense. Pechino ha intercettato le aperture, prima timide e poi più convinte, di Delhi. Inoltre le 2 strutture economiche offrono spunti redditizi di complementarietà. La Cina può assicurare un’immensa base produttiva, l’India una valida piattaforma ingegneristica e progettuale. …Si tratta di scenari futuribili, ma certamente praticabili. Su altri terreni prettamente economici i 2 paesi hanno rilevato posizioni comuni nelle trattative multilaterali. Hanno guidato il fronte dei paesi emergenti al vertice di Copenhagen, sostenendo il diritto allo sviluppo rispetto alla severità ambientale delle posizioni occidentali, e sono gli araldi di una ristrutturazione del mercato agricolo planetario che privilegi le esigenze dei paesi in via di sviluppo rispetto ai sussidi all’agricoltura dei paesi avanzati. Soltanto da questo punto di vista, sembra di rivedere la Conferenza di Bandung del 1955, quando India e Cina guidavano i Paesi non Allineati. In realtà, le tensioni politiche ancora prevalgono e bloccano una maggiore integrazione economica. Esistono ancora delle dispute territoriali sul confine settentrionale dell’India. La Cina controlla alcune zone del Kashmir e rivendica il territorio indiano dell’Aruchanal Pradesh, chiamandolo Tibet meridionale. È comunque dal mare aperto, lontanissimo da Pechino e nel cuore dell’Oceano Indiano, che derivano le maggiori paure. L’India teme di perdere il controllo di acque che ritiene siano la sua sfera d’influenza. La Cina ha infatti stretto una serie di alleanze che l’India interpreta come una “collana di perle” che la accalappia. Sono in costruzione, con capitali cinesi, porti per navi cinesi, in Pakistan, Sri Lanka, Bangladesh, Myanmar. L’obiettivo è di razionalizzare i rifornimenti di petrolio per il Dragone, con una costellazione di avamposti logistici, prima di oltrepassare lo strategico stretto di Malacca. L’India ovviamente paventa un uso militare dei porti, possibile attraverso nuove alleanze a suo svantaggio. L’inimicizia con Islamabad è talmente radicata da non lasciare intravedere allentamenti della tensione. Tuttavia gli altri paesi della Saarc–South Asian Association for Regional Cooperation (cioè gli altri paesi dell’ex colonia britannica prima della separazione del 1947) erano considerati satelliti politici da Delhi. La Cina, con le sue merci e con le sue risorse, irrompe invece sulla scena e si afferma sullo scacchiere con una diplomazia economica, ridisegnando le alleanze e gli interessi. In questo quadro complesso le 2 potenze confinanti sono costrette a convivere, esercitando una trattativa continua, dove ogni punto di equilibrio è instabile e la leva del pragmatismo è ormai più potente di quella degli schieramenti.
Romeo Orlandi, economista, sinologo ed esperto di Asia Orientale. È presidente del Comitato scientifico di Osservatorio Asia e professore a contratto al Dipartimento di Discipline economico-aziendali all’Università degli Studi di Bologna.
http://www.ispionline.it/it/documents/Commentary_Orlandi_24.11.2010.pdf