“Spingere i confini un po’ più in là”. Parla Zhang Ping, giornalista che sfida il potere
Qual è lo stato della censura in Cina? Per capirlo, vale la pena leggere chi la conosce bene.
Zhang Ping (nome di penna, “Chang Ping”) è un giornalista piuttosto noto in Cina. Definito “voce liberal” (nell’accezione anglosassone), è stato redattore del Nánfāng Rìbào, un giornale di Guangzhou (Canton) noto per la sua indipendenza e per le sue inchieste su temi politicamente sensibili.
“Come scoprire la verità su Lhasa?”, un articolo sui disordini in Tibet di due anni fa, firmato da Zhang, chiedeva per esempio maggiori libertà per i media che si occupano della questione tibetana.
Un mese fa, la polizia gli ha fatto visita in redazione. Da allora, gli è stato proibito di scrivere editoriali per il giornale e per le riviste collegate.
Il cartoonist Kuang Biao gli ha dedicato una vignetta significativa [cliccarci sopra per ingrandire].
In un’intervista al quotidiano taiwanese Wang Bao, Zhang spiega come cambia il sitema dei media – e quindi il controllo – nel suo Paese.
Ne riprendiamo i punti salienti.
Complicità e autocensura
I media in Cina – sostiene – hanno grande potere. Per questo motivo, è molto facile che i professionisti dell’informazione diventino “gruppo d’interesse”.
Molti giornalisti “si ribellano” quindi alle autorità per il semplice desiderio di essere cooptati nel sistema di potere: “Sarebbero molti felici di essere invitati dai funzionari a cena”. …
Noi li chiameremmo nella migliore delle ipotesi “giornalisti compiacenti”. Ma in Cina la commistione tra potere e informazione è nel solco di una tradizione millenaria in base alla quale l’intellettuale e il funzionario sono la stessa persona. Anche oggi – osserva Zheng – molti direttori e redattori hanno cariche ufficiali. Ma “nel caso di un funzionario, il segreto per avere successo è il silenzio“. L’esatto contrario di quanto dovrebbe fare un buon giornalista.
Nazionalismo
Dopo Tiananmen ’89 questa tendenza si è acuita. Nella società cinese si sono infatti imposti gli “studi nazionali” in contrapposizione alla precedente “liberalizzazione borghese”. Un famoso storico, Li Zehou, ha così descritto la situazione: “I pensatori sono spariti e sono emersi i letterati“, facendo riferimento agli eruditi della Cina imperiale, i mandarini (letterati e funzionari), riproduttori di cultura (i classici confuciani) più che creatori.
Gli studi nazionali hanno nutrito un’intera generazione di giovani cinesi nel segno della fedeltà alla tradizione ripulita da ogni pensiero critico. Ma la situazione è più complessa di quanto appaia, perché l’evoluzione della tecnologia ha messo a disposizione strumenti – come Twitter – difficilmente controllabili. E così il senso critico, uscito dalla porta, rientra dalla finestra. La generazione dei “letterati” e dei “nazionalisti” comincia a porsi qualche problema.
Evoluzione dei controlli
Così la censura si sposta su internet e si evolve tecnologicamente. Dieci anni fa, gli staff redazionali ricevevano direttive dal ministero della Propaganda che imponevano di trascurare determinati contenuti comparsi sul web. Oggi le autorità dispongono di tecnologie per censurarli alla radice, direttamente online. Il graduale trasferimento del controllo su Internet, paradossalmente, consente più libertà alla carta stampata. Sono così i giornali tradizionali che spesso diventano “scomodi”.
Gli effetti del mercato
Perfino il giornale del Partito, il Quotidiano del popolo, ha creato una testata satellite, il Beijing Times, gestita secondo criteri di mercato. Un suo giornalista è stato di recente malmenato dal governatore dello Hubei, Li Hongzhong (che ha cercato di strappargli di mano il registratore digitale), perché gli faceva domande scomode su una vicenda torbida che riguardava un funzionario locale. Per Zhang questo è solo uno dei molti casi in cui i giornali (e quindi i reporter) rivelano una sempre maggiore autonomia dal potere politico, che reagisce in maniera scomposta. Il punto è che se devi “vendere” un giornale, devi anche trovare notizie che interessino alla gente. E quindi editori e direttori devono “spingere i giornalisti a rompere gli indugi e fare domande di ogni tipo”.
D’altra parte, se la ragione economica sostituisce quella politica – osserva Zhang – molti media puntano sempre più a privilegiare il profitto rispetto all’informazione, cercando la compiacenza dei lettori più della verità.
E’ comunque in corso un cambio generazionale nelle redazioni: oggi i ragazzi di Tiananmen sono nella maturità e tengono maggiormente a professionalità e indipendenza.
L’unione fa la forza
A marzo, tredici autorevoli testate hanno pubblicato un editoriale congiunto che chiedeva la fine dell’Hukou, la residenza obbligatoria che penalizza i migranti rurali. Il dibattito è acceso in Cina e c’è un consenso esteso sulla sua abolizione, o quanto meno riforma. Per le autorità non è questo il problema – sostiene il giornalista – bensì il fatto che i quotidiani abbiano esercitato una sorta di contropotere semplicemente coalizzandosi. Il nuovo trend del ministero della Propaganda è quindi quello di spingere i giornali a unirsi, sì, ma per sostenere posizioni dettate dall’alto
Scrivere per i cinesi
Zhang non vuole “scrivere solo per gli americani”, vuole continuare a farlo per i cinesi. “Io e il gruppo del Nánfāng Rìbào non ci consideriamo forza d’opposizione contro il governo, ma testiamo costantemente i confini. Un sistema autoritario è diverso da una società fondata sul diritto, e i confini non sono sempre chiari. Questo richiede una comprensione del pensiero di chi comanda. Quanto spazio abbiamo? Nessuno lo sa, nessuno può saperlo se non si fa un tentativo. Quello che cerco di fare è spingere i confini un po’ più in là“.
Gabriele Battaglia http://it.peacereporter.net/articolo/24552/Come+cambia+la+censura+in+Cina