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L’importante è censurare
Dicembre 17th, 2008 by admin

L’IMPORTANTE È CENSURARE – …

 

Passate le Olimpiadi, Pechino torna a oscurare Internet come prima. Ed è preoccupata per le agitazioni delle ultime settimane.

Scritto da Alessandro Ursic

Dopo una letterale “tregua olimpica” a cavallo dei Giochi di Pechino, in cui la censura su alcuni siti di informazione era stata leggermente allentata, la Cina è tornata a oscurare Internet come ai vecchi tempi. Il buio totale su qualsiasi menzione del Dalai Lama, di Falun Gong o delle rivolte di piazza Tiananmen era rimasto immutato, parte del “Great Firewall” cinese. Ma la versione cinese di siti internazionali, come quelli della Bbc e di Voice of America, erano visibili negli ultimi mesi con una certa continuità: non più. E forse non è un caso che la nuova stretta sull’informazione coincida con recenti segnali di crescente malcontento tra la classe operaia e gli intellettuali, una combinazione che il Partito comunista teme più di ogni altra cosa. Alle lamentele della Bbc, Pechino ha risposto senza negare il fatto ma giustificandolo: la censura si sarebbe resa necessaria perché tali siti parlano di “due Cine”, quella di Pechino e l’isola di Taiwan: un tabù per il Partito, che considera l’ex Formosa una provincia ribelle non indipendente, contro cui tiene dispiegate centinaia di missili. Ma mentre i rapporti tra Taiwan e la “Cina di terraferma” (come viene chiamata nel politically correct locale) si stanno progressivamente rasserenando – con l’istituzione di voli diretti e la donazione di due panda a uno zoo dell’isola come gesto distensivo – nelle ultime settimane Pechino ha avuto altro di cui preoccuparsi.     Nel 2009 ricorrono tre anniversari delicati per la Cina: il sessantesimo dell’istituzione della Repubblica popolare, il cinquantesimo di rivolte in Tibet che portarono all’espulsione del Dalai Lama, e il ventesimo delle rivolte di piazza Tiananmen. Se il primo anniversario sarà l’occasione per rinfrescare la propaganda di Stato ricordando i giganteschi passi avanti compiuti, gli altri due sono a forte rischio di proteste organizzate.            

 

La crisi economica sta avendo un impatto duro anche qui. Oltre un terzo del Prodotto interno lordo della Cina si basa sulle esportazioni, in particolare verso gli Stati Uniti, e si è già registrato un netto calo. Il prossimo anno, alcune previsioni stimano una crescita del Pil del 6 percento, la più bassa dal 1990: si calcola che il Paese sia “costretto” a crescere almeno del 7-8 percento l’anno, per mantenere la coesione sociale tanto cara al Partito. Migliaia di fabbriche che producono per l’export sono state costrette a licenziare, si calcola che 9 milioni di operai abbiano perso il posto; contemporaneamente, l’inflazione ha eroso il potere d’acquisto della classe medio-bassa. E le conseguenze si sono viste nelle ultime settimane: se negli ultimi anni le rivolte e le proteste popolari nelle campagne erano diventate quotidiane, ora il malcontento si è esteso anche a città della Cina benestante.

A Chongqing, 9.000 tassisti hanno scioperato contro i concorrenti abusivi e l’aumento del prezzo del carburante. Nell’Hunan, un centinaio di poliziotti hanno preso possesso dell’ufficio locale del Partito, chiedendo la reintroduzione di un bonus salariale tolto dopo le Olimpiadi. Nella stessa provincia, oltre un migliaio di insegnanti hanno incrociato le braccia sempre per motivi salariali. Si sono verificate rivolte anche a Guangzhou e Shenzen, dove una stazione di polizia è stata data alle fiamme. Zhou Tianyong, un consulente della leadership del Partito, ha previsto “tumulti sociali su larga scala” il prossimo anno.

 

Il timore di Pechino è che le agitazioni dei lavoratori si saldino con le richieste di maggiori diritti umani da parte degli intellettuali, e la scorsa settimana – il 10 dicembre, anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo – è stata avanzata una clamorosa richiesta in tale direzione: 303 persone tra ex funzionari e direttori di giornale, avvocati, professori universitari e artisti hanno firmato lo “Statuto 08”, un documento per chiedere la libertà di pensiero e di associazione politica, un sistema giudiziario indipendente e libere elezioni. Il nome si ispira allo “Statuto 77”, con cui gli intellettuali cecoslovacchi misero per iscritto richieste simili trentuno anni fa. Se a lungo termine avrà lo stesso effetto, tenere 250 milioni di internauti cinesi sotto censura potrebbe non essere sufficiente.

http://it.peacereporter.net/articolo/13264/L%27importante+%E8+censurare


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