Karma Samdrup, un noto ambientalista e uomo d’affari tibetano recentemente condannato.
Karma Samdrup, un noto ambientalista e uomo d’affari tibetano, in passato pubblicamente lodato dalle autorità cinesi per il suo impegno in campo filantropico e umanitario e riconosciuto nel 2006 come filantropo dell’anno dalla televisione cinese, è comparso il 22 giugno, davanti a un tribunale dello Xinjiang sotto l’accusa di essersi appropriato e aver venduto pezzi d’antiquariato. Il reato gli era stato contestato nel 1998 ma non era mai stato arrestato. Il suo arresto è invece avvenuto il 3 gennaio del corrente anno, a Chengdu, nel Sichuan, dopo l’intervento di Karma Samdrup a difesa di due suoi fratelli, Rinchen Samdrup e Jigme Namgyal, entrambi ambientalisti, arrestati nell’agosto 2009 sotto l’accusa di aver complottato contro la sicurezza dello stato. Namgyal sta scontando la condanna a ventuno anni di lavori forzati. Il processo di Rinchen è stato invece rinviato. Al termine di un processo durato tre giorni, l’ambientalista tibetano Karma Samdrup, è stato condannato a quindici anni di carcere in quanto riconosciuto colpevole di furto e smercio di pezzi d’antiquariato, accusa che gli era stata contestata nel lontano 1999 ma che non aveva mai comportato alcun procedimento penale. Esperti e analisti sono concordi nel ritenere che la vera causa della condanna di Karma sia da ricercare nella sua attività di attento e critico attivista in campo ambientale. Oltre a subire la pena di un lungo periodo di detenzione, Karma Samdrup è stato privato dei diritti politici per cinque anni e condannato a pagare una multa di 10.000 yuan (circa 1500 dollari). La moglie di Karma ha fatto sapere che, appreso il verdetto, il marito ha immediatamente espresso la volontà di ricorrere in appello. “Non lo riconosco più” – ha dichiarato la signora – “solo la sua voce è la stessa, prima era un uomo alto e forte, ora sembra così fragile…”. In aula, Karma Samdrup, quarantatre anni, è apparso dimagrito e molto provato, tanto che la moglie, che non lo vedeva dal 3 gennaio, ha fatto fatica a riconoscerlo. …Ha dichiarato di essere stato torturato, di essere stato brutalmente percosso, drogato e, in una circostanza, di essere stato appeso per i capelli e di essere stato privato del sonno nel tentativo di indurlo a confessare. Per i tre fratelli i problemi sono iniziato nel 2008 quando, nel loro villaggio situato nella prefettura di Chengdu, denunciarono i funzionari locali di abusi in campo ambientale. La popolazione locale si attivò inviando una petizione al governo locale e a quello centrale. Le autorità accusarono i fratelli di essere gli artefici e gli organizzatori, dietro le quinte, dell’invio della petizione. Secondo l’organizzazione Human Right Watch, la Cina “deve immediatamente” avviare un’indagine sulle torture che il tibetano avrebbe subito in prigione e deve anche ritirare le “accuse fabbricate” contro di lui. Noto ambientalista e uomo d’affari, insignito dalla tv di stato cinese del titolo di “filantropo dell’anno” nel 2006, Samdrup, 42 anni, ha dedicato la sua vita al commercio di antichità tibetane, accumulando un patrimonio considerevole grazie al quale ha dato vita a diversi progetti di tutela ambientale sull’altopiano del Tibet. La sentenza del tribunale dello Xinjiang, sulla quale le autorità di Pechino non hanno rilasciato dichiarazioni, è stata interpretata da più parti come una punizione per Samdrup, colpevole di aver pubblicamente difeso i suoi due fratelli durante una disputa con un capo della polizia locale, scoperto a cacciare specie animali in via d’estinzione. L’avvocato di Samdrup, Pu Zhiqiang, ha annunciato che presenterà ricorso, accusando le autorità di aver presentato prove fasulle e di non aver fornito al suo assistito l’ausilio di un traduttore durante il processo. Secondo i gruppi di attivisti per i diritti umani, sarebbero circa 50 i membri di spicco della società tibetana a essere stati arrestati da marzo del 2008, quando una rivolta scoppiata a pochi mesi dall’apertura dei giochi olimpici di Pechino provocò in Tibet 22 morti. Dure reazioni sono arrivate anche dal governo tibetano in esilio a Dharamsala, in India, che ha chiesto a Pechino di rilasciare tutti i “prigionieri di coscienza”. Secondo alcuni analisti, questo caso è invece un altro esempio della crescente tendenza del governo di Pechino a privare della libertà non solo giornalisti, scrittori e intellettuali tibetani ma anche personalità finora pubblicamente riconosciute per il loro lavoro in campo sociale. “Erano stati pubblicamente riconosciuti come cittadini modello” – ha dichiarato Robbie Barnett – “ciononostante, sono stati messi sotto accusa senza alcuna prova evidente del loro reato”. Fonti: Asia News, South China Morning Post – Phayul, Italia Tibet.