L’anonimo ed eroico “ragazzo col sacchetto”che fermò per alcuni minuti i carri armati del governo mandati in piazza contro i manifestanti.
A 21 anni dal massacro del movimento studentesco, il direttore del TCHRD Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia dice ad AsiaNews: “Celebriamo l’anniversario pregando, affinché i desideri del movimento studentesco possano un giorno divenire realtà”. I tibetani “ricordano il massacro avvenuto in piazza Tiananmen pregando “affinché i desideri del movimento studentesco possano un giorno divenire realtà. Le Madri di Tiananmen chiedono al governo cinese che parli sul massacro. In 150mila a Hong Kong ricordano il massacro di Tiananmen. Li Peng, “macellaio di Tiananmen” era “pronto a morire” contro il caos degli studenti.
Democrazia e diritti umani sono correlati fra loro e, fino ad oggi, la popolazione cinese ha vissuto sotto il tallone di un regime repressivo che ha portato avanti delle continue violazioni ai diritti umani”. Lo dice ad AsiaNews Urgen Tenzin, direttore del Centro tibetano per i diritti umani e la democrazia, in occasione del 21° anniversario della strage del 4 giugno 1989. Secondo l’attivista tibetano, il massacro è una cartina di tornasole per la situazione del Tibet: “Pechino ha ordinato e condotto una strage contro la propria gente, davanti agli occhi dell’umanità intera, nella piazza centrale della sua capitale. …Questo dimostra a tutto il mondo quanto possano essere repressive e violente le misure adottate contro coloro che vivono in Tibet. Ma noi non siamo preoccupati soltanto per la nostra gente: i diritti umani sono un’idea universale che avvolge la persona in quanto tale. Ecco perché soffriamo profondamente anche per le violazioni contro gli stessi cinesi”. Il ricordo della strage, dunque, “ci invita a ricordare che la violenza continua, non soltanto per i tibetani. Dentro la Cina non esistono diritti umani o stato di diritto: la popolazione continua a soffrire. E questo si traduce, a 21 anni dal massacro, con nuove uccisioni di innocenti. Possiamo soltanto sperare che la comunità internazionale decida per l’imposizione di un qualche tipo di sanzione contro il governo cinese a favore della democrazia e dei diritti umani, valori essenziali per i nostri tempi”. (di Nirmala Carvalho, AsiaNews)
LE MADRI DI TIANANMEN CHIEDONO AL GOVERNO CHE PARLI SUL MASSACRO
Lettera aperta dei familiari degli uccisi nel massacro del 4 giugno 1989. Il Partito non risponde e attende che essi “muoiano” per sbarazzarsi del problema. Con l’avvicinarsi dell’anniversario, le famiglie sono sottoposte a controllo, isolamento, blocco del telefono, di internet e della posta. Le famiglie degli uccisi nel massacro di Tiananmen (4 giugno 1989), domandano a Pechino di rompere il silenzio e aprire con loro un dialogo sulla violenza operata dal governo. Come ogni anno, all’avvicinarsi dell’anniversario, un gruppo di 128 membri dell’associazione Madri di Tiananmen, ha diffuso una lettera aperta in cui si critica la leadership per non voler ascoltare le loro richieste di aprire un dialogo franco e aperto su quanto avvenuto la notte fra il 3 e il 4 giugno 1989. “Le autorità comuniste – dice la lettera – dovrebbero ascoltare la nostra voce, eppure non c’è alcuna risposta… Forse che davvero essi attendono che noi ci consumiamo, che moriamo, così che il problema sparisca?”. Da aprile al giugno ’89, fino a un milione di giovani, operai, contadini, hanno manifestato in piazza Tiananamen domandando la fine della corruzione e la democrazia. La notte fra il 3 e il 4 giugno l’esercito cinese è intervenuto con carri armati e armi da fuoco per “liberare la piazza”, occupata ormai da mesi. Centinaia e forse migliaia di giovani sono stati uccisi o stritolati, altri colpiti nelle vie adiacenti alla piazza. Per il Partito comunista, il movimento è stato una “ribellione controrivoluzionaria”, pur essendo stato un movimento non violento. Con l’andare degli anni, di fronte alle critiche delle Madri di Tiananmen, che domandano la revisione del giudizio sui loro figli da “controrivoluzionario” a “patriota”, il governo ha fatto valere l’interpretazione del “male minore”: la soppressione del movimento dell’89 è stata necessaria per portare alla Cina tutto il benessere di oggi. La lettera invece afferma: “Dal sangue e dalle lacrime, siamo giunti a capire che il 4 giugno non è solo un male per ogni famiglia, ma per l’intera nazione”. Il gruppo chiede anche la fine della persecuzione contro i suoi membri. Ormai, per periodi sempre più lunghi durante l’anno, le famiglie sono seguite da poliziotti, isolate e controllate a casa, i loro telefoni tagliati, le connessioni internet azzerate, la loro posta requisita.
IN 150MILA A HONG KONG RICORDANO IL MASSACRO DI TIANANMEN
Oltre 700 giovani cattolici hanno partecipato a una veglia di preghiera, che ha preceduto la fiaccolata al Victoria Park. I ragazzi sottolineano l’importanza della memoria e il valore della fede, che aiuta a capire “l’importanza della vita e la dignità umana”. I giovani cattolici si sono uniti a oltre 150mila persone che hanno partecipato alla fiaccolata al Victoria Park di Hong Kong, organizzata oggi 4 giugno per ricordare il 21mo anniversario del massacro di piazza Tiananmen del 1989. La popolazione ha marciato a difesa del movimento pro-democrazia, per il rilascio di Liu Xiaobo e di tutti gli attivisti per i diritti umani in Cina. I manifestanti hanno sfilato alla presenza delle due statue della Dea della democrazia, protestando contro la persecuzione politica verso l’Alleanza di Hong Kong a sostegno del Movimento patriottico in Cina. La polizia ha restituito le due statue, dopo l’ondata di polemiche sollevata contro il loro sequestro avvenuto nei giorni scorsi. Poco prima della marcia, più di 700 giovani cattolici si sono riuniti nel parco per pregare, riflettendo sul tema: “Beati coloro i quali sono perseguitati a causa della fede” (Matteo 5:10). Tre giovani cattolici, di vent’anni circa, spiegano ad AsiaNews che la fede dona loro la speranza per chiedere la “verità” sul 4 giugno. Essi ricordano le sofferenze patite dagli studenti di Pechino, ma non sono animati da sentimenti di odio o di vendetta. I giovani, invece, li considerano “testimoni di un sacrificio – come ha fatto Gesù sulla croce – per la libertà, la democrazia e la dignità umana e per questo “vanno ricordati con affetto”. Michelle Siu, giovane insegnante e membro della Commissione di giustizia e pace della Chiesa cattolica, sottolinea di aver reso omaggio nel 2004 alle tombe di tre giovani uccisi il 3 e il 4 giugno del 1989 e che ora riposano nel cimitero di Babao Shan, sobborgo di Pechino. Essi erano: Yin Jing, impiegato statale 36enne, Wu Xiangdong, studente di 20 anni e Sun Tie, 26enne bancario. “Quando ero bambina – racconta l’insegnate – i miei genitori mi portavano alle marce per il 4 giugno. Ricordo ancora gli slogan che risuonavano: ‘sangue al sangue’. Sono stata educata dai miei insegnanti delle scuole medie, i quali hanno spiegato a noi alunni l’incidente del 4 giugno. Ora sono io a fare la stessa cosa con i miei, di studenti”. Michelle aggiunge che “oggi non chiediamo una ritorsione, ma difendiamo il movimento e la verità”. Jacky Liu, 21 anni, presidente della Federazione studenti cattolici di Hong Kong, afferma che da metà maggio studenti cattolici di diversi istituti e università hanno organizzato incontri di preghiera e momenti di condivisione, perché “i giovani possano riflettere sugli avvenimenti del 4 giugno”. Nato nel luglio 1989, un mese dopo il massacro, Liu spiega di essersi interessato alle celebrazioni del 4 giugno dopo l’ingresso in università. “La vita è un dono di Dio – sottolinea – le vite di tutti gli studenti e i sostenitori del movimento del 1989 sono preziose e non dovrebbero essere cancellate”. Egli ha tratto ispirazione dagli studenti di Pechino, che hanno voluto cambiare la società e ribellarsi contro le ingiustizie e la corruzione. “I giovani hanno il compito di continuare a raccontare la verità e costruire una società migliore” conclude Liu. Bosco Wong, 25 anni, ha iniziato a simpatizzare con il movimento democratico in Cina nel 2005, unendosi alle attività dei giovani cattolici in università. Egli ricorda un seminario in cui ha riflettuto a lungo sul tema “cosa significa la mancanza di libertà” e questo lo ha spinto ad “approfondire le conoscenze sul movimento per la democrazia in Cina”. “Gli studenti in piazza Tiananmen nel 1989 – dichiara Bosco Wong – desideravano godere di diritti universali quali la libertà e la democrazia. Ideali che sono propri di noi cristiani. In più, grazie alla fede, capiamo quanto siano preziose la vita e la dignità umana, e che non vi sono giustificazioni per omicidi e soppressioni”. La tragedia del 4 giugno non è ancora conclusa, ammonisce il giovane, e “fino a quando non sarà riconosciuta, noi continueremo a diffondere il messaggio alle generazioni future”. (di Annie Lam, AsiaNews)
LI PENG, “MACELLAIO DI TIANANMEN” ERA “PRONTO A MORIRE” CONTRO IL CAOS DEGLI STUDENTI
Il figlio di Bao Tong, Kelvin Bao Pu, ottiene i diari dell’uomo che è considerato il responsabile della strage, l’ex premier Li Peng, datati 1989. Erano pronti per uscire nel 2004, ma il governo impose la censura. Un quotidiano cinese pubblica per la prima volta una vignetta sulla strage.
Li Peng, primo ministro cinese nel 1989, era “pronto a morire pur di impedire le manifestazioni di piazza Tiananmen, un movimento paragonabile alla Rivoluzione culturale”. La rivelazione viene dai diari dello stesso Li, il “macellaio di Tiananmen”, uomo forte di Deng Xiaoping e capo dell’ala intransigente del Partito durante le proteste di piazza. I diari sono nelle mani dell’editore Kelvin Bao Pu. Questi è il figlio di Bao Tong, segretario personale e amico del defunto Zhao Ziyang, segretario comunista nel 1989 che cercò di impedire il massacro. Intitolato “Il Momento critico” e sottotitolato “I diari di Li Peng”, il libro dovrebbe uscire a Hong Kong il prossimo 22 giugno. Secondo l’editore, il testo era finito già nel 2004: Li Peng avrebbe permesso la pubblicazione in occasione del 15esimo anniversario della strage “per fornire anche la sua versione dei fatti”. Li è considerato l’ideatore e l’autore del massacro. Secondo il manoscritto, invece, Li avrebbe sostenuto la repressione violenta del movimento studentesco del 1989 “perché era sfuggito di mano, e rischiava di ripetere gli orrori della Rivoluzione Culturale”. Per il quotidiano South China Morning Post, che ha ottenuto una copia del manoscritto, ora gli editori attenderanno un mese per stabilire l’autenticità del testo. Li Peng, che oggi ha 81 anni e si ritiene non goda di buona salute, descrive anche il dibattito all’interno della dirigenza del Partito comunista cinese a partire dall’inizio delle manifestazioni studentesche, nell’aprile del 1989, e sottolinea che la decisione di imporre la legge marziale e far intervenire l’ esercito per sgombrare piazza Tiananmen occupata dagli studenti fu presa direttamente da Deng Xiaoping. Proprio la figura di Li Peng è stata messa sotto accusa dalle “Madri di Tiananmen” – il gruppo che riunisce i parenti delle vittime del 4 giugno – nella loro lettera annuale al governo e al mondo. Secondo le “Madri”, non è possibile che “nessuno abbia mai chiesto conto all’allora premier per l’accaduto. È forse al di sopra della legge?”. Tuttavia, qualcosa sembra cambiare: nonostante la feroce censura che Pechino attua sull’argomento Tiananmen, due giorni fa è apparsa sul Southern Metropolitan Daily di Guangzhou una vignetta che rappresentava un ragazzo intento a disegnare l’avanzata di alcuni carri armati contro una figura solitaria. Evidente il riferimento al “ragazzo con il sacchetto”, l’anonimo che fermò per alcuni minuti i cingolati del governo mandati in piazza contro i manifestanti.
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